Ulisse, Figaro, Bach, Don Chisciotte ... così l'Euro dimenticò le icone europee

Il primo gennaio del 1999 undici paesi dell’Unione europea fissarono i loro tassi di cambio e adottarono una politica monetaria condivisa sotto il controllo della Banca centrale europea. Quel giorno nacque la moneta comune,  l’euro. All’inizio fu la valuta elettronica usata dai mercati finanziari per pagamenti non contanti. Tre anni dopo,  il primo gennaio del 2002, entrarono in circolazione e nei portafogli le banconote e gli "spiccioli".

Intorno al denaro continua a addensarsi il grande tema dell’Europa unica, politica, giuridica, culturale, civile: una aspirazione visionaria della quale si discute e si discuterà.  Foglieviaggi celebra l’anniversario con questo speciale, "Vent'anni di euro: cosa ci aspettavamo? Cosa è accaduto?".

Racconteremo analisi, fantasie, sogni di futuro, aneddoti… una piccola testimonianza rivolta (anche) alle generazioni successive.

Per loro, andare da Roma a Amsterdam senza fermarsi a tutte le frontiere è la normalità.

Ma non fu sempre così ….


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di CARLO PONTORIERI*

Negli ultimi giorni del 2021 una lettera dei membri dell’Eurogruppo – cioè i Ministri delle finanze dei 19 Stati membri che adottano l'euro, la cosiddetta “eurozona” – ha voluto celebrare ufficialmente i 20 anni dell’euro, ricordando che la moneta europea è oggi la seconda valuta più utilizzata al mondo, che circa l’80% dei cittadini europei ritiene sia un bene, e che in questi 20 anni si è passati da 11 a 19 Paesi che la utilizzano, e altri verosimilmente verranno.


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Un bilancio ufficiale nel quale, comprensibilmente, sono messe in evidenza le luci e taciute le ombre: dal dimezzamento del potere d’acquisto di salari e pensioni in Italia, grazie alla sciagurata leggerezza della nostra classe politica all’epoca della transizione tra vecchia e nuova valuta (ma si tratta di un documento europeo, in fondo è comprensibile), ai famigerati “compiti a casa”, che hanno depauperato le economie e travolto i sistemi di protezione sociale soprattutto dei Paesi mediterranei, innescando un sentimento opposto antieuropeo, del quale si sono avvantaggiati movimenti xenofobi, sovranisti o populisti di diversa matrice, che dura fino ad oggi.

Certo, l’euro ha costituito anche un potente freno agli effetti della crisi del 2008 in Europa ed oggi costituisce il presupposto del Next Generation Europe, il grande piano Marshall post-pandemico, che forse cambierà il volto del Continente, ma la storia di questi anni non credo sia stata quella che avevano immaginato i Padri della nuova Europa dopo la caduta del Muro: Helmut Kohl e François Mitterrand. Nonostante il successo costituito dalla nuova moneta, che unisce i cittadini europei da Helsinki ad Atene, da Lisbona a Vilnius, passando ovviamente per Berlino, Roma e Dublino, abbiamo di fronte un panorama molto più frastagliato della celebrazione di un trionfo, non fosse altro perché la pandemia appare ancora lontana dall’esaurire i propri nefasti effetti.

Ma non è degli esiti politici che voglio parlare, piuttosto dell’iconologia dell’euro, se davvero questa rappresenta un’identità europea comune, come scrivono nel documento ancora i Ministri delle finanze dell’eurozona.

È veramente così?



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(L'Ulisse di Sperlonga)


Non sono un appassionato di numismatica, ma credo che l’euro, anche per questo profilo, segni una novità ma mostri pure una linea d’ombra. Chi ha infatti una certa età ricorda le vecchie lire, coi volti di Giuseppe Verdi, Michelangelo, Raffaello, Caravaggio: l’Italia repubblicana celebrava così la sua identità attraverso la storia dell’arte e della musica, mettendo da parte volti e simboli della politica e delle istituzioni, come accaduto in epoca sabauda e fascista, con una scelta precisa di definizione di immaginario e di autorappresentazione.

Tutti poi conosciamo la forma cartacea del dollaro, la valuta a maggior corso nel mondo, che celebra i valori repubblicani della storia americana, con i volti di George Washington, Thomas Jefferson, Benjamin Franklin, Abraham Lincoln, Alexander Hamilton ecc. La moneta da 2 dollari rappresenta anche la Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti d'America, così come quella da 10 dollari le parole con cui si apre il preambolo della Costituzione: We the People. Il dollaro dunque racconta i valori politici su cui si fonda la democrazia americana, e i protagonisti principali della sua storia.

Si potrebbe continuare con esempi dalle valute di altri Paesi nel mondo. Invece, l’euro così come lo abbiamo visto in questi anni è stato evidentemente frutto di scelte diverse.


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Come si sa, l’euro si distingue, innanzitutto, tra monete e banconote. Ciascuna delle monete è caratterizzata da un lato comune a tutti i Paesi europei, mentre l'effigie sull'altro lato è rimasta di competenza dei singoli Stati nazionali. Le banconote sono invece comuni a tutta la zona euro, con un aspetto identico, da entrambi i lati. Questo doppio regime in realtà rappresenta bene la particolare architettura istituzionale dell’Unione, che non è né una federazione né una confederazione di Stati, tanto meno uno Stato unitario, ma qualcosa di nuovo e originale.

Se si osservano le monete, si scopre come molti Paesi, quasi a contrappunto del processo di integrazione europea, abbiano mantenuto, sul lato di competenza nazionale, i volti e i simboli propri, spesso le monarchie, i volti dei reali: così il Belgio, il Lussemburgo, l’Olanda, la Spagna. Se diverse sono state invece le scelte dei Paesi europei a regime repubblicano, le cui monete non recano i volti dei rappresentanti politici dello Stato, i simboli scelti hanno comunque quasi sempre rinviato a una decisa caratterizzazione nazionale.

Il che peraltro è pure comprensibile e spesso realizzato con grande sapienza ed eleganza. Incluso il nostro Paese, che ha voluto celebrare sulle sue monete i geni italiani ma universali di Dante e Leonardo.


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(Johann Sebastian Bach)


Rimarchevole anche la scelta della Grecia, che se per la moneta da 1 euro ha riprodotto un tetradramma ateniese del V secolo a.C. con la civetta, l’uccello di Minerva, per la moneta da 2 euro ha scelto invece la scena di un mosaico spartano del III secolo d.C., raffigurante Europa rapita da Zeus in sembianze di toro: un’immagine tanto indiscutibilmente greca quanto assolutamente europea; anzi, alle radici dell’Europa.

Se le monete dovevano rappresentare nell’unità dell’euro la dimensione nazionale, le banconote, viceversa, avrebbero dovuto definire quello spazio immaginario europeo comune, che corrisponde al corso comune di identiche valute per l’intera Unione.

E qui però le scelte sono state, francamente, deludenti. Scartata infatti l’ipotesi di raffigurare i volti dei padri politici dell’Europa unita – da Mazzini a Mitterrand, passando per De Gasperi, Adenauer e Schuman – sul modello del dollaro americano; ma esclusa anche l’idea di rappresentare i volti dei grandi artisti europei, si è preferito uno stile asettico e indeterminato, spesso poco significativo.


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Proviamo a guardare con attenzione le banconote in corso, che rappresentano ormai già la seconda serie dell’euro: abbiamo la cartina geografica dell’Europa e poi la raffigurazione stilizzata degli stili architettonici, dal classico al Novecento, passando per il romanico, gotico, barocco ecc., a seconda del taglio. È chiara la volontà di raffigurare qualcosa che appartenga all’insieme della cultura dei Paesi europei - le varie fasi della storia dell’architettura, appunto - tuttavia, si tratta una rappresentazione riconoscibile solo dagli esperti, con scarsa capacità di suscitare identità ed emozioni. Si potrebbe anzi dire che, in barba a Montesquieu, come funzioni e competenze degli organi centrali dell’Unione sono comprensibili solo da chi ha studiato con profitto un esame di Diritto dell’Unione europea (il normale cittadino ha idea di che cosa sia il Consiglio europeo, quali le competenze della Commissione sempre europea, quali i poteri del Parlamento europeo?), allo stesso modo le banconote che rappresentano l’Unione appaiono astratte e disincarnate: una moneta senza popolo di istituzioni senza popolo, una moneta che non rappresenta in modo facilmente percepibile l’identità comune dei popoli europei e neppure partecipa a definirla, mancando, per questo profilo, alla sua missione.

Questa questione credo sia ormai chiara persino ai “piani alti” dell’Unione: dopo 20 anni, è tempo di aggiornare l'aspetto delle nostre banconote, in modo che gli europei di tutte le età e origini possano identificarsi con esse, ha affermato infatti recentemente la presidente della BCE Christine Lagarde.


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Se si volesse davvero invertire questa rotta, in effetti, ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta.

Mettendo da parte statisti e uomini politici, guardando solo alla storia, all’arte, alla letteratura e alla musica, figure e personaggi della cultura comune europea non sono difficili da immaginare, appartenendo già da secoli all’immaginario comune europeo: ad es. una fuga di Bach, la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, Monna Lisa, un valzer di Chopin, il David di Michelangelo, Candide o gli scritti di Goethe, sono davvero patrimonio delle sole nazioni di appartenenza dei loro creatori?

Per non parlare del mitologico Ulisse, forgiato dal greco Omero, che attraversa la letteratura italiana e poi ricomincia le sue avventure con l’irlandese Joyce; o Figaro, nato da una penna francese, che fu fatto cantare prima dall’austriaco Mozart poi dall’italiano Rossini.

E don Chisciotte? Variamente ripreso nella storia della letteratura (Sterne, Dumas), della musica (Paisiello, Mercadante, Massenet) e dell’arte, si staglia ormai da secoli nell’immaginario degli europei (e non solo). Non sarebbe appropriata la celebrazione di quell’hidalgo, magari riprendendo il Don Chisciotte di Picasso?

Sarebbe bello se il processo di integrazione europea passasse da quel paese della Mancia, di cui non voglio fare il nome, [dove] viveva or non è molto uno di quei cavalieri che tengono la lancia nella restrelliera, un vecchio scudo, un ossuto ronzino e il levriero da caccia…


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CARLO PONTORIERI*  (E' nato a Napoli, davanti al mare di Posillipo, ed è cresciuto a Materdei, nel centro storico della città. Ha il vizio della teoria e della storia del diritto, insegnando freelance in varie università meridionali. Se gli si domanda: ma chi glielo fa fare, risponde indefettibilmente: smetto quando voglio - e non si capisce se fa sul serio o ammicca al film. È convinto di capirne anche di musica, vino, politica e soprattutto pallone)

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