Europa: economia e liti in famiglia, forse la Storia è altrove

Il primo gennaio del 1999 undici paesi dell’Unione europea fissarono i loro tassi di cambio e adottarono una politica monetaria condivisa sotto il controllo della Banca centrale europea. Quel giorno nacque la moneta comune,  l’euro. All’inizio fu la valuta elettronica usata dai mercati finanziari per pagamenti non contanti. Tre anni dopo,  il primo gennaio del 2002, entrarono in circolazione e nei portafogli le banconote e gli "spiccioli".

Intorno al denaro continua a addensarsi il grande tema dell’Europa unica, politica, giuridica, culturale, civile: una aspirazione visionaria della quale si discute e si discuterà.  Foglieviaggi celebra l’anniversario con questo speciale, "Vent'anni di euro: cosa ci aspettavamo? Cosa è accaduto?".

Racconteremo analisi, fantasie, sogni di futuro, aneddoti… una piccola testimonianza rivolta (anche) alle generazioni successive.

Per loro, andare da Roma a Amsterdam senza fermarsi a tutte le frontiere è la normalità.

Ma non fu sempre così ….


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di LUIGI EPOMICENO* 

All’epoca avevo la responsabilità europea della Finanza di una delle società del gruppo General Electric.

Il passaggio nel nuovo millennio aveva prodotto già nel 1998 la fobia che un milionesimo di secondo dopo la mezzanotte del 31 dicembre 1999 si sarebbe potuta scatenare la fine dell’era moderna.

Il virus di allora era il “Millennium bug” e i progetti sul tema erano chiamati “Y2K”, che stava per “Year 2000” ovvero “Anno 2000.”

In azienda, allora, si era convinti della reale possibilità che i calendari digitali potessero non essere in grado di oltrepassare i confini temporali del ventesimo secolo e, in memoria di Roy Batty, il leader replicante di Blade Runner, “balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser” e perdersi nel tempo alla ricerca dell’anno 2000.

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(Rutger Hauer in Blade Runner)


Per una società finanziaria potete immaginare l’impatto di un disastro del genere nel calcolo degli interessi, i giorni di valuta o per gli ordini di trasferimento milionari.

Eh sì, il passaggio nel nuovo millennio ha tenuto il mondo in ansia. O almeno noi in General Electric.

Ovviamente, il passaggio da 1999 a 2000 andò liscio come l’olio.

                                                                   

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L’anno dopo ci arrivò l’incubo Euro. E l’Euro di incubi ne ha portati tanti.

Saggi, articoli e teoremi, critiche, applausi, pareri a favore o contro la moneta unica e sul perché di un tasso di cambio di Lire 1.936,27 per 1 Euro, quanti ne volete.

Ricordo che il nostro servizio legale non si dava pace su una questione delicata: il cambio doveva fermarsi alla seconda cifra dopo la virgola o continuare? Effettivamente, la domanda aveva un suo perché.

Io invece mi ponevo problemi esistenziali più profondi.

Mi angosciava sapere che il negozio sotto casa “Achille tutto a Mille” poteva prima o poi chiudere! Se non altro avrebbe almeno dovuto cambiare nome. Ma per chiamarsi come? “Achille tutto a 1 Euro?”

Lo charme non sarebbe stato più lo stesso.


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E al mercato? Mauro che urlava “L’uva a 600, du’ chili 1000” sarebbe dovuto diventare “L’uva a 31 cents, du’ chili 52.” Già mi vedevo la clientela allontanarsi ancor prima che si completasse il richiamo promozionale.

E i modi di dire? Che fine avrebbero fatto “Non c’ho ‘na Lira” “Non vali ‘na Lira” “Se potessi avere 1000 Lire al mese?”

Oltre alle vecchie banconote anche tante tradizioni sarebbero andate al macero.

Questi sì che erano problemi.

In quegli anni si vendettero milioni di convertitori di valuta, che non erano altro che calcolatrici bloccate sulla sola funzione di dividere o moltiplicare i valori di Lire o Euro per 1.936,27. Personalmente ci ho messo circa un paio di anni per dare un peso all’Euro. Ho continuato per mesi a calcolare a quante Lire stavo pagando carburante, pizza o l’abbigliamento.

Smisi di scervellarmi quando fu evidente che il vero tasso di cambio usato nella vita quotidiana era di 1000 a 1: ovvero le vecchie 1000 lire erano diventate 1 Euro. Questa pratica implicò che il prezzo di tutto raddoppiò, sebbene gli importi nei cedolini paga fossero trasformati in Euro “alla Lira!”


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La moneta comune sarebbe stato lo strumento che avrebbe nel tempo unificato i paesi europei. L’abolizione delle frontiere e il libero scambio e movimento delle merci di fatto avrebbe facilitato la creazione degli Stati Uniti D’Europa, sulla falsa riga di quelli d’America.

Un Europa unita ma con decine di lingue diverse.

Per me fu come la negazione della Storia: come se Martin Lutero, Giovanna d’Arco, la Guerra dei Cent’Anni, il Sacro Romano Impero o la Linea Maginot non fossero mai esistiti.

Viaggiando per lavoro in tutt’Europa, posso dire che noi italiani non fummo gli unici ad essere confusi e notai che nell’uso della nuova moneta avevamo qualche difficoltà in più, specie nell’uso degli spiccioli.


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(La vecchia banconota da cinquantamila lire)


Il taglio dato alla Lira era in unità e non in centesimi,  per cui all’improvviso fummo chiamati a fare (complicati) calcoli specie nel controllare il resto che i negozianti davano. Un conto era pagare lire 3.500 con una banconota da lire 5.000 e ricevere come resto una banconota da lire 1.000 e una da lire 500 e un conto era dover verificare, pagando con una banconota da euro 5.00, il resto di euro 3,19, soprattutto quando non si è abituati alle nuove monete color oro e rame.

La transizione portava con sé una componente inflazionistica di natura bivalente, psicologica e pragmatica, data dall’effetto dell’arrotondamento del prezzo che presto vi spiego. Altrettanto è accaduto per il tasso di cambio Lira/Euro per cui € 1, nell’uso comune, veniva approssimato a £ 2.000 (anziché £1936,27.)

Che l’Euro potesse cambiare usi e costumi mi fu evidente quando entrai in uno di quegli antichi ascensori che richiedevano il pagamento di 5 o 10 Lire. Al cambio ufficiale bisognava inserire 2,5 millesimi di Euro. Un taglio della nuova moneta inesistente. Un argomento da litigio acceso in un’assemblea condominiale.


                                                                

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In Economia il prezzo di equilibrio è raggiunto quando quanto si è disposti a spendere incontra il prezzo a cui si è disposti a vendere. E’ impossibile però stabilire in quanto tempo questo prezzo viene raggiunto.

Dall’introduzione della nuova moneta abbiamo assistito a un percorso alquanto contorto per raggiungere nuovi prezzi di equilibrio.

Nonostante l’indicazione iniziale del doppio prezzo, il negoziante aveva gradualmente trasformato il prezzo della banana di 360 Lire in 36 centesimi di Euro (primo aumento) e l’ha poi arrotondato, a causa del conio, a 40 centesimi (secondo aumento).

Da parte dell’acquirente, il prezzo in Euro veniva prima trasformato in Lire e una volta paragonato al prezzo relativo del passato veniva poi valutata la sua convenienza. Fatto il calcolo approssimativo, l’acquirente si accorgeva che l’attuale prezzo della banana era diventato di 7-800 delle vecchie Lire con conseguente esclamazione di meraviglia e commento conclusivo: “Ladro!”


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(Martin Lutero)


A lui poco importava sapere che una banana costava 36 centesimi di Euro in Italia, 48 in Germania oppure 52 in Olanda e che il superamento dei confini e dell’uniformità delle politiche agrarie avrebbero un giorno portato a una armonizzazione dei prezzi per cui la banana sarebbe costata lo stesso ad Atene e ad Amburgo. Un giorno…

Tutto ciò durò finché la Lira rimase nella nostra memoria RAM. Col tempo, il nuovo equilibrio fu raggiunto. Qualcuno ricorda quanto costava una banana nel 1998? Del resto cosa importa? Tanto quel mondo non esiste più.

I “millennial” non hanno mai dovuto passare per queste forche, così come non hanno neanche dovuto fare i conti con i surrogati di conio quali erano i Miniassegni, i gettoni telefonici o le caramelle frizzanti date come resto negli infausti anni Settanta.

Oggi, le monete non mancano e nel mio portamonete (articolo vintage da boomer tornato di moda nelle nostre tasche) ho monete della Germania, della Spagna e della Francia.

E’ questa l’Europa unita della domanda profetica di Riccardo Ehrman?


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Indubbiamente l’adozione di una moneta unica ha portato innumerevoli benefici, specie sul piano macro economico. La gestione unica delle politiche monetarie ha consentito una migliore gestione della volatilità valutaria con il resto del mondo costringendo i paesi aderenti a dare molto peso sia alle proprie politiche fiscali che industriali. La competitività internazionale dei paesi europei non è più gestibile con individuali svalutazioni o aggiustamenti dei tassi di interesse.

“L’efficiente allocazione delle risorse” di cui si era convinti tra le stradine di Maastricht negli anni Novanta non ha considerato (e forse non lo poteva fare) il ruolo che lo sviluppo tecnologico avrebbe poi avuto nel mondo moderno.

La ripetitività delle crisi economiche e finanziarie degli ultimi vent’anni ha evidenziato forti contrapposizioni e interrelazioni tra blocchi contrastanti, e la geopolitica di oggi deve fare i conti con una domanda di materie prime diverse ma essenziali per lo sviluppo del futuro: non più materie prime tradizionali come l’acciaio, il rame, il carbone o il petrolio, essenziali nelle varie rivoluzioni industriali degli ultimi 200 anni, ma altre,  e di cui la Cina figura tra i maggiori produttori planetari.

Non si può negare che fu la Storia a condurre la Guerra dei Cent’anni o che ha costruito la Linea Maginot. L’etica protestante del capitalismo è un dato di fatto e ci sarà un motivo per cui il pensiero di Martin Lutero non è nato a Benevento.



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(Giovanna D'Arco)


La nuova moneta però doveva fare da collante a cui sarebbero dovuti seguire le revisioni “comunitarie” del diritto commerciale internazionale, il diritto civile, le norme sui brevetti, disposizioni sanitarie e quant’altro. Insomma sarebbe stata ridefinita la co-esistenza nel Vecchio continente.

Ho l’impressione però che l’approccio generale sia stato del tipo NIMBY (“not in my backyard”). Toccatemi tutto ma non la mia economia. Da questo punto di vista il collante è stato deboluccio.

Mi vengono in mente le discussioni abbastanza recenti sul debito degli stati. Persino l’acquisto di vaccini ha dato spunto ad un confronto acceso con decisioni prese “nel nome dell’Unione Europea.”

Ho fantasticato su come il nostro attuale Primo Ministro Mario Draghi, e allora Governatore della BCE, (con cui in comune ho ricordi dello scomparso Prof. Federico Caffè) abbia trovato la formula che avrebbe poi salvato l’Europa dalla recente crisi economica e valutaria. L’ho immaginato steso su un lettino a bordo piscina mentre ascoltava il gruppo Imagine Dragons cantare il loro brano “Whatever it takes”.

Una formula convincente e che poi si è rivelata vincente. Da buon economista conosceva “l’effetto annuncio”, le teorie quantitative di Friedman, quelle di Keynes e di tutti i loro eredi.



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Quel “Whatever it takes” ha davvero salvato un’Europa o ha fatto semplicemente da antiacido?

Il proclama di Draghi significava che il treno dell’Europa non poteva permettersi il distacco di qualche carrozza. Sappiamo però che basta sfilare un perno e la carrozza se ne va per conto suo.

Di perni ne abbiamo a iosa: il petrolio, la frutta, il legname, il vino, gli elettrodomestici, le componenti di auto e le auto stesse. Anche i migranti, purtroppo.

Poi entrano in gioco anche i minerali fondamentali per il “nostro” Green Deal quali il vanadio, il litio, il molibdeno e tanti altri. Tutti provenienti da aree calde (non in senso climatico) del pianeta.

Questioni su cui non sono ottimista e non credo possibile un’unità di veduta europea, proprio a causa della Storia.

Il 9 novembre del 1989 l’Europa che si sognava era un’Europa politica. Come quando parenti distanti si incontrano i primi abbracci sono sempre stretti, e poi si allentano; e come spesso accade, sono gli interessi economici a gettare scompiglio nelle migliori famiglie.

L’unica consolazione è che per andare in vacanza non mi devo munire di dracme, pesetas o franchi francesi.

Basta il mio portamonete.

Evviva l’Euro.


Leggi anche:    Quando dai bancomat spuntarono gli euro   di GAD LERNER


*LUIGI EPOMICENO (Nato nel 1957. Sono mezzo americano e mezzo italiano, pugliese di origine, forse greco di stirpe, romano di adozione, con soste prolungate a Firenze, Milano, Genova, Chicago e Londra e continue a Parigi, Marsiglia, Madrid, New York, Amsterdam, Eindhoven, Dusseldorf, Monaco di Baviera, Praga, Amburgo, Bruxelles e Lisbona. Ho girato tutta la Grecia, l’Albania, la Francia, la Spagna, la Turchia e gli USA e ho messo piede in tanti altri posti che neanche ricordo, da Seul a Iguazù, dal Canada al Marocco passando per le isole Lofoten. Ora sono in un altro mondo. Un mondo nel Mondo. Da quasi un anno e mezzo sono il Direttore Generale del Bioparco di Roma. Prima ho fatto tante altre cose. Alcune divertenti, altre meno)


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