Guida turistica al Purgatorio / 6 Una fabbrica è il fuoco

di PAOLO BIROLINI*

 Una fabbrica è una cosa continua. E' il fuoco alimentato da una bestemmia. Una fabbrica è Norina, zio Bruno ubriaco, le comari col grembiule, la Befana, la loggia dell'acqua. Ma voi neanche lo sapete cos'è, esattamente, una fabbrica.

Per arrivare alla prima fabbrica dobbiamo superare la farmacia e i sogni erotici dell'adolescenza, le cosce sulle scale, intraviste e fasciate. La farmacia era già oltre cortina, poi veniva il vicolo dei poveri.

L'avete già fissato il vuoto del tufo? Tra dieci metri c'è la prima fiumara sul vuoto del tufo. Porta in alto, all'origine della lava, un affluente difficile e misterico. Dobbiamo superare anche questo se vogliamo arrivare alla prima fabbrica, al teatro, al falansterio inventato. Ma forse volete immaginarvi quel passaggio, quella risalita leggera. Si chiamava, e si chiama, via Cupa del Principe, porta ovunque e c'è dentro di tutto, qualsiasi peccato, qualsiasi perdizione. Comincia male all'angolo, l'Havana Bill: il biliardo, le carte, i liquori, le scommesse, le troie immaginate, le sarte notturne, i cattivi. E di fronte il bar De Rosa, (lo troviamo più in là, spostato dalle scosse, e ne parlerò a lungo), che è luogo intermedio di schedine, segatura, operai della domenica mattina, cattivi in pausa. Luogo di connessione tra mondi.

Girate e comincia il tufo, le vecchie alle finestre e le Marlboro, le figlie delle vecchie e le esperienze, un meccanico, uno spiazzo, una torre spezzata, una via di fuga, una selva e le sue radure di coperte e preservativi, di brave massaie perdute e guardoni. Niente principi alla cupa del Principe. Né una volta né adesso. Se andate dritti c'è San Pietro a Patierno e Nino D'Angelo, una vecchia filosofia del riscatto. Se vi fermate troppo la ragnatela delle massaie e tradimenti vi tratterrà per secoli. Cadrete nella voragine delle finestre spalancate sulla creolina, sulle prime ragazze. Immaginate di esserci stati e andiamo avanti. Riprendiamo la passeggiata.

Se attraversate la strada ve la trovate davanti la bancarella delle palle di segatura e dei fichi d'India da infilzare col coltello. Il primo azzardo, la prima scommessa. Io la incrociavo al contrario, (mi avreste incrociato nel secolo scorso, un fanciullo con gli occhi persi e il sorriso cattivo), puntavo all'essenziale. L'essenziale era la ragazza con gli occhi di ciliegia, la figlia del titolare, dalle gonne cortissime, dalle gambe vertiginose, dal volto di commedia. Volevo essere il primo a offrirle da fumare, guardando Maciste o Ercole, volevo quelle gambe, per primo, tra i tanti.

La bancarella era il primo confine tra il quartiere delle fabbriche e la deviazione, all'andata e al ritorno, pesanti e leggeri. Nella Cupa del Principe si entrava giusto un attimo per le sigarette da offrire alla ragazza dalle gambe vertiginose. L'Havana Bill era uno sguardo veloce e desiderante, il bar De Rosa la bolla del padre, il social che lo ha accompagnato fino alla fine delle sue abitudini nordiche. Poi c'erano due case, una foresta, un salto e un platano, il suo ricordo, il moncone da cui spiccare il salto.

Ma sto tornando indietro, vi confondo. Invertiamo la rotta, passiamo, sfiorandolo, il muro perimetrale della fabbrica, del fuoco, della Saffa. Entriamo nel quartiere.

(6 - continua)


1) Il prologo

2) Strada o fiume?

3) Praticamente il West 

4)Una casa di certo

5)Un tremore, forse 


* PAOLO BIROLINI (Napoli, 1959; in lui convivono un fratello furbo e un fratello scemo. Quello scemo fa il Dirigente d'azienda e mantiene quello furbo, che prova a fare il poeta)


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