Napoli in penombra / 3 Un cuore che spacca Napoli

di VINCENZO CROLLA

Se mi chiedete di aiutarvi a trovare un buco dove alloggiare nel vostro soggiorno a Napoli, non avrò dubbi. Vi chiederò prima delle condizioni dei vostri menischi e rotule e, se mi confermerete il loro buono stato di salute, vi indicherò quel B&B posto a metà della Pedamentina, antica pertinenza dell’abbazia benedettina lì, sulla cima di San Martino,  che la mia amica Giovanna e il suo garbato compagno hanno mutato in luogo di accoglienza.

 In “nome e per conto” vostro chiederò, se libera, di darvi la piccola camera in penombra illuminata da quella minuscola finestra, quasi un oblò, che si affaccia sulla Neapolis greco-romana avendo in faccia il Vesuvio e, a destra, il porto e la Stazione Marittima. Vi consiglierò di non ascoltare, per ora, le sirene che vi invitano a risalire quel centinaio di scale per visitare Castel Sant’Elmo e l’abbazia, che quello potrete farlo domani. Vi inviterò invece a scendere verso quella ferita aperta nel corpo di Napoli che già avete intravisto mentre sistemavate il bagaglio.

 E’ via San Biagio dei Librai, il decumano inferiore, Spaccanapoli per i vecchi napoletani. Conoscerla vi servirà. Se e quando deciderete di ripartire doveste faticare a trovare un taxi, vi accorgerete che in un quarto d’ora vi porta dal punto più alto della collina del Vomero alla Stazione Centrale. Certo però non è questo il momento di pensare al ritorno,  ma di concentrarvi su quelle antiche pietre e sull’anima che racchiudono. Conviene tendere l’orecchio al loro racconto che vi arriva quasi come un sussurro. Una storia differente da quella che siete abituati a sentire e che racconta solo di panorami mozzafiato e di indimenticabili armonie.

 Lì, li tra quelle pietre, scoprirete le radici di uno dei pezzi più importanti della filosofia italiana. Seguitemi. Subito dopo aver attraversato il corso Vittorio Emanuele - primo tentativo di “tangenziale” a sfuggire il pullulare della città vecchia - imboccate la discesa del vecchio ospedale militare; passato il quale, piegate a sinistra in via Pasquale Scura; una ripida discesa alla fine della quale incrocerete il mercatino della Pignasecca.  Non lasciatevi ammaliare dalle mille botteghe e bancarelle di pescivendoli e ortolani; resistete al fascino dei mille colori dei peperoni e dal profumo di arance e meloni. Proseguite dritto. E senza saperlo, all’ improvviso, vi troverete nel cuore della “Napoli fedelissima”, dentro quei quattro chilometri quadrati che contenevano ben settantasei chiese, quarantadue conventi e una moltitudine di cappelle gentilizie.

 Appena dopo aver attraversato la piazza del Gesù Nuovo, accantonando per ora la basilica del Gesù Nuovo e resistendo alla tentazione di visitare il chiostro maiolicato del Monastero di Santa Chiara posto di fronte, subito dopo l’incrocio con Via San Sebastiano, al numero 12 della strada che prende il suo nome, trovate Palazzo Filomarino della Rocca, la casa di Benedetto Croce. Il palazzo, usato come fortezza dai lazzari durante la rivoluzione di Masaniello, subì notevoli danni nella sua parte superiore in seguito al cannoneggiamento degli spagnoli. La parte andata distrutta fu ricostruita in seguito e abbellita anche con una galleria di dipinti famosi del XVII secolo. 

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Ancora qualche decina di metri e sarete investiti dalla luce di Piazza San Domenico Maggiore. La cosa che vedrete subito di fronte a voi, prima di volgere lo sguardo a sinistra, è il palazzo di Raimondo di Sangro principe di Sansevero; uno spirito inquieto, scienziato e alchimista, i cui passi, si racconta, ancora di notte rimbombano sul selciato dei vicoli e dei fondachi. A mano manca troneggia la basilica di San Domenico Maggiore e il suo convento, nei secoli passati uno dei centri artistici e culturali più vivaci della città. Lì al primo piano potrete raccogliere il pensiero nella cameretta di Tommaso d’Aquino, l’Aquinate, alla cui scuola si nutrirono personalità del calibro di Giovanni Pontano, Giordano Bruno e Tommaso Campanella. 

Il nutrimento dell’anima è pratica importante, ma ineludibile è il bisogno di offrire sostentamento al corpo. Perciò all’uscita, se afflitti da vertigini come vittime di un’improvvisa Sindrome di Stendhal, fermatevi un attimo di fronte, da Scaturchio, e riprendetevi consumando un babà e un caffè ristretto. Non abbiamo finito, c’è da riprendere il cammino; non tanto cammino, ancora pochi passi. Un po’ più avanti, prima di incrociare San Gregorio Armeno, l’ormai fin troppo nota strada dei pastori, allertate i sensi. Il luogo, lasciato un po’ a se stesso, potrebbe sfuggire alla vostra vista. Potreste, distratti, non far caso a quella piccola bottega sopra la cui insegna una lapide ricorda che la finestrella soprastante era quella della cameretta del giovane Giovanbattista Vico che lì cominciò a mettere ordine nei suoi pensieri basando le sue intuizioni sull’ insegnamento di Tommaso d’Aquino.

 Tommaso d’Aquino, Giordano Bruno, Giovanni Pontano, Tommaso Campanella, Benedetto Croce. Una filiera per molti inedita; o forse solo un percorso cui non avevamo troppo badato, vittime come siamo dell’immagine oleografica che mortifica la vera natura più autentica della città. Dove forse, non casualmente, ha sede l’Istituto italiano per gli studi filosofici che, ospitato nel palazzo Serra di Cassano, ha il suo accesso dalla porta posteriore essendo quella principale, che guardava davanti a sé il Palazzo Reale, stata chiusa per sempre dal padre del giovane Gennaro Serra che offrì la sua giovane vita agli ideali della Repubblica Partenopea. Ma di questo magari diremo un’altra volta.

1 - Capodimonte

2 - Posillipo



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