Guida turistica al Purgatorio / 7 Una lapide e un sasso

di PAOLO BIROLINI*

Passata la fiumara trovate un luogo di quarant'anni, senza alcuna memoria di sé. C'è stato questo naufragio della polvere, quando tutto si è ridotto a un sasso. Io passeggio e interrompo il pensiero, fatelo anche voi.

Qui gli abitanti hanno sangue misto e cattivo. Una migrazione costante dalla città verminosa ha confuso le lingue e le espressioni. Ora quelli dei motorini che scivolano sulle rotaie abbandonate nei giorni di pioggia, sono gli stessi che ritrovate in qualsiasi incrocio al di là dei tre ponti, anzi peggiori, insertati male sul male. I capelli immutati, le ragazze bellissime come glicini e come i glicini caduche e invadenti.

Da qui in poi la storia è sulla destra, sulla sinistra questo esperimento sociale malriuscito. Un tempo era il contrario. C'erano persino sezioni di partito. Un passo indietro, dalle parti del cinema, c'era il MSI, una sezione violenta in trasferta, silente nel quartiere. Ad ogni esplosione oltre i tre ponti, diventava un bunker, ad ogni esplosione nel paese c'era un ragazzo che lanciava un sasso che finiva sul muro. Sognava una lapide sulla casa natale che ricordasse la sua personale intifada e la sua propensione alle parole. Ma neanche il tufo della casa natale ha resistito alla terra tremante. Più avanti vi mostrerò dov'era e vi parlerò del carbonaio e delle galline, di Nunziatina e della loggia, della sezione dei comunisti e di quella dei democristiani. Adesso limitiamoci a passeggiare tra questa folla figlia di pulizia etnica.

Qui dovrebbe cominciare un muro e dietro al muro un dolore felice, un privilegio, una tuta da lavoro, un lavoro pagato. E dietro la tuta e il lavoro, un cinema, dentro al cinema un teatro, dove recitavano gli operai e dietro al teatro un campo di calcio dove giocavano operai e figli, dove si entrava senza pagare solo nel secondo tempo, dove si entrava dopo il cinema per incontrare lo sguardo severo dei padri, virili e di tabacco, addolcivano le espressioni, le bestemmie, prendevano i figli tra le gambe, soffiavano il fumo di lato.

Sapevano di bagni pubblici al Ponte di Casanova, di brillantina e tanghi argentini. Gerani, balconi, vino ghiacciato e limoni. Erano già i fantasmi che sarebbero diventati, loro e la fabbrica, il cinema, il campo di calcio. Ma intanto mostravano i figli maschi come in un testamento.

Se venite da questa parte potrete fotografarne il suono, l'onnipresente tufo e la sua corruzione, tutte le facce come se fosse una foto di famiglia: solo le donne col grembiule, solo gli uomini in tuta. I bambini per la befana. I bambini in fila per il proseguimento prima visione nelle domeniche di paga. (Poi finirono anche quelle, con l'avvento delle parodie di Lando Buzzanca e con le femmine scollate. Mia madre non apprezzava, mi preservava, impavida e inconsapevole).

E dovunque, il lunedì, si facevano cose. Voi siete al cospetto di un luogo dove si facevano cose invisibili e umane. Ma ovunque, ovunque giriate lo sguardo, potete avvertire il rumore delle cose: i cerini, le corde di chitarra, il cotone, il legno, il vetro. Sentite i passi e le mani, i gesti e gli amori. Le mani frantumate e i polmoni tristi. Lo vedete che non sono passati invano, che ancora ci osservano da quella foto. I grembiuli, le tute, i baffi, le milonghe.

Le sentite le milonghe?


1) Il prologo

2) Strada o fiume?

3) Praticamente il West 

4)Una casa di certo

5)Un tremore, forse 

6)Una fabbrica è il fuoco


* PAOLO BIROLINI (Napoli, 1959; in lui convivono un fratello furbo e un fratello scemo. Quello scemo fa il Dirigente d'azienda e mantiene quello furbo, che prova a fare il poeta)



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