Guida turistica al Purgatorio / 10 La ringhiera e la loggia

di PAOLO BIROLINI*

Nella fretta di arrivare alla sosta e alla comunità del bar abbiamo saltato il luogo per eccellenza: la pesa. Quella che dà il nome al luogo e alla strada. (alla Strada, perché sul Purgatorio e la sua origine la mia interpretazione diverge dalle banalissime descrizioni ufficiali). Ma ormai non c’è più tempo per cantare quel rettangolo di ferro e ruggine che pesava ogni merce all’ingresso della città paludosa e che faceva risuonare i salti del me grillo e formica.

Abbiamo già attraversato. Un’altra farmacia, la seconda, sta nel vuoto di un portico senza senso, in questa architettura squinternata. C’era un angolo lì e un passo dopo la casa bottega del carbonaio Salvatore. Nero e nero e nero.

Nera la casa, che nessuno ci entrava, e nero Salvatore. Nere le donne dell’antro e il carbone. Perché di carbone erano fatti i piatti di cui non ho memoria. Eppure, una memoria era custodita in quel nero e alcune verità rivelate ai prossimi. Via Stadera, 183. Non so se il numero civico è cambiato, dovrei trovare un estratto di nascita credibile. Ma è lì che sono nato il 20 aprile del 1959, il padreterno si era dimenticato dell’acqua e del fatto che mia madre era uno scricciolo provato da altre gravidanze e da due fratelli. Entrai dirompente e se ne accorsero tutti.

Di fianco al carbonaio c’era l’entrata, il portone, che portava ad un cortile aperto e circondato da case di una sola stanza e da centinaia di occhi. Se entrate li potete ancora vedere, affamati e molesti. C’era altra roba laggiù: residui di cantiere, galline, accumuli di carbone, un infernale cesso comune, terra, fango, bambini animaleschi e affamati, occhi.

C’è una scala in fondo ed una scala sulla destra. Io prendo quella a destra e vomito due volte. La prima per il fritto di sugna della sarta che si espande, la seconda per le cosce della sarta che sale le scale davanti a me. Avevo sei anni, troppo giovane per il sesso e per quanto di incomprensibile vi si cela, così vomito e salgo.

Salite con me per queste case di ringhiera. Al primo piano, subito dopo l’inferno del cortile, è il purgatorio. Operai presuntuosi che si fanno costruire il cesso in casa, vigili urbani, sarte che non lo sono ma, vedove di sarti, ne ereditano il titolo e le attenzioni del padre e le gelosie della madre.

Subito a destra il posto delle origini. La radio, la cristalliera, (e io che la frantumo), il nonno incomprensibile e ubriaco, che nelle foto sembra ottuagenario ma ha solo la mia età. Dormiamo insieme, ci laviamo nelle conche, mangiamo sul carbone, ci lanciamo coltelli, accumuliamo crediti col mondo.

Tutto intorno altri ingressi di vetro, le Nunziatine, le vedove, le comari. Mia madre che le ignora, che mi insegna l’oracolo, che mi insegna dignità e parole, inutili entrambe, mi porta da sua madre ad imparare. Io esco di casa, con la camicia bianca e un fucile col tappo. Lo potete vedere il bimbo tondo, col fucile e la camicia bianca, preparato alla fine.

Così è diventato un sogno periodico quel palazzo che non c’è più. Ci torno ed è cambiato, più grande, un labirinto. Mi perdo, mi prendo in braccio, mi accudisco e mi consolo, non piango, canto.

Però voi adesso vedete una farmacia ed un palazzo a quattro piani. Chi ci è nato di sicuro avverte lo spirito del carbonaio e quello della vedova e il mio e cresce carbonaio e vedova e me.

Di fianco all’insegna bisognerà mettere la targa della mia intifada. Un inno al ragazzo che lanciava i sassi sul muro ad ogni esplosione e mostrava gli incisivi cantando.

“Solo me ne vo per la città,

passo tra la gente che non sa…”

(10 - continua)


1) Il prologo
2) Strada o fiume?
3) Praticamente il West
4)Una casa di certo
5)Un tremore, forse
6)Una fabbrica è il fuoco
7) Una lapide e un sasso
8)Entracte
9)Gli ultimi padri


* PAOLO BIROLINI (Napoli, 1959; in lui convivono un fratello furbo e un fratello scemo. Quello scemo fa il Dirigente d'azienda e mantiene quello furbo, che prova a fare il poeta) 


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