Berlinguer in Messico, quando l'eurocomunismo affascinò l'America

di GIORGIO OLDRINI*

Da Cuba in Nicaragua, poi breve passaggio all’Avana e infine il Messico. Era il primo segretario del Pci che visitava l’America latina. Lì formalmente eravamo ospiti del Partito comunista, in realtà Berlinguer doveva incontrare il Presidente Lopez Portillo, che di lì a poco avrebbe ospitato una riunione al vertice dei Paesi non Allineati.

Mi ha sempre affascinato arrivare a Città del Messico di notte, con la distesa di luci di quella capitale infinita che si vede dall’aereo che atterra in un aeroporto in mezzo alla città. Il segretario del Pcm Arnoldo Martinez Verdugo sembrava il fratello di Berlinguer. Stessa statura, uguale modo di inclinare la testa di lato, un parlare tranquillo. Verdugo in spagnolo significa boia, e Renato Sandri gli disse “il tuo cognome in Messico è una minaccia e una speranza”. Era un pittore strappato a quadri e pennelli per la politica e dirigeva un piccolo partito che sfidando la geografia era “eurocomunista”.

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(Berlinguer a Mirafiori)

Avevano persino mandato in Cina il responsabile esteri, il mio amico Gilberto Rincòn Gallardo, che aveva incontrato Deng Xiao Ping. Gilberto era gravemente focomelico, ma le sue braccia quasi inesistenti non gli avevano impedito una militanza fatta di arresti, fughe, esili, ma anche di successi. Era un uomo geniale e pieno di autoironia. Mi aveva raccontato la scena dell’incontro a Pechino con Deng, una stanza infinita, un tavolo enorme, le due delegazioni schierate ai due lati. Da una parte Deng con una ventina di dirigenti del Partito cinese, dall’altra la delegazione messicana, cioè il solo Rincòn Gallardo. I sovietici e una parte dei messicani non l’avevano presa bene.

La mattina successiva al nostro arrivo fummo ospiti di un Congresso del Pcm che si svolgeva in un palazzo dello sport. Quando Martinez Verdugo e Berlinguer entrarono sul palco, dall’alto uno cominciò a gridare “eurocomunisti di merda, traditori”. Venne allontanato. Ma più tardi un imperturbabile Verdugo spiegò a Berlinguer: “Volevo tranquillizzarti. Non era un provocatore, è un compagno che la pensa così”. Enrico sorrise.

Il discorso di Berlinguer fu bellissimo. Ne aveva discusso con Renato Sandri, l’italiano che più sapeva di America Latina. A un certo punto disse: “Da questo continente che ha visto morire assassinati un socialista come Salvador Allende e il vescovo Arnulfo Romero può nascere un’idea nuova di futuro, capace di unire culture diverse”.

Il giorno dopo era prevista una conferenza stampa. Il Partito messicano era abituato ad incontri con due o tre giornalisti al massimo, ma non aveva pensato che quella era la conferenza del segretario del più grande partito comunista dell’Occidente che arrivava al confine stesso con gli Stati Uniti d’America. Quando entrammo nella sala fu come un colpo nello stomaco. C’erano decine di giornalisti, molte tv e radio, tanti venuti apposta dagli Stati Uniti. Berlinguer chiese a Martinez Verdugo: “Chi è l’interprete?” ”Per la verità non l’abbiamo previsto”. Guardarono me, e fu una delle fatiche più immani della mia vita.

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(Città del Messico)

Poi l’incontro con il Presidente della Repubblica Lopez Portillo. Con Sandri lo avevamo incontrato 3 anni prima, in una situazione da realismo magico latinoamericano. Allora eravamo, Renato il capo delegazione io il ragazzino al seguito, i rappresentanti del Pci al primo congresso del Pc messicano non illegale. Nel senso che dopo decenni di illegalità non era più illegale, ma non era nemmeno legale. Il secondo giorno vennero da noi un dirigente del Pc e due figuri enormi e minacciosi. “Siamo del Ministero de Gobernaciòn e il ministro Reyes Heroles vuole parlare con voi”. In Messico, Paese con costituzione presidenzialista, il ministro de gobernaciòn è il responsabile degli interni e premier. Sandri ed io li seguimmo con curiosità e anche con una certa preoccupazione. Quando arrivammo davanti all’ufficio, il ministro uscì con un rassicurante sorriso “Ho molto desiderio di parlare con voi italiani, perché io sono gramsciano”. Mi sembrò fantastico passare un pomeriggio a discutere del concetto di egemonia, di classe operaia, di Quaderni dal carcere con il ministro che avrebbe potuto arrestarci per partecipazione a un congresso non legale. O non illegale. Ma Reyes Heroles ne fu così contento che il giorno dopo vennero a prenderci altri due omoni e ci portarono dal Presidente Lopez Portillo.

Che dopo 4 anni si ricordò, o finse di ricordarsi, di quell’incontro. Con Berlinguer parlarono a lungo del rapporto tra Paesi sviluppati e del Terzo Mondo, di scambi ineguali e di classe operaia, di futuro del mondo.

Ripartimmo la sera, Berlinguer, Rubbi, Sandri, Baduel per Roma, io per tornare all’Avana. Sorvolando quella affascinante, infinita distesa di luci che offre Città del Messico la sera, vista da un aereo.

 ( 3 - fine)

(2 - Nicaragua, i preti ministri)

(3 - Cuba, quando Fidel ci svegliò)


*GIORGIO OLDRINI (Sono nato 9 mesi e 10 giorni dopo che mio padre Abramo era tornato vivo da un lager nazista. Ho lavorato per 23 anni all’Unità e 8 di questi come corrispondente a Cuba e inviato in America latina. Dal 1990 ho lavorato a Panorama. Dal 2002 e per 10 anni sono stato sindaco di Sesto San Giovanni. Ho scritto alcuni libri di racconti e l’Università Statale di Milano mi ha riconosciuto “Cultore della materia” in Letteratura ispanoamericana)

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