A Cuba con Berlinguer, quando Fidel ci teneva svegli per parlare dell' Italia

di GIORGIO OLDRINI*

“Verrà a Cuba quest’anno Berlinguer?” “Ma no”. ”Guarda che lo aveva promesso”. “Se per quello, aveva promesso anche di conquistare il socialismo. Lo ha fatto?”. Quando ero a Cuba come corrispondente dell’Unità ogni anno tornavo in Italia per le ferie e andavo a trovare Giancarlo Pajetta, responsabile degli esteri, uno dei grandi personaggi del Partito. Oltre all’ammirazione e al rispetto che provavo per lui come dirigente, avevo anche una sorta di vicinanza quasi parentale, nel senso che era originario di Taino, sul Lago Maggiore, a pochi chilometri di distanza da Castelletto Ticino, il paese di mio padre. Di cui era stato amico.

Pajetta era famoso per le sue battute fulminee e spesso dissacranti. Ne avevo avuto una prova quando era venuto all’Avana come capo della delegazione del Pci al Congresso del Pc cubano. Un giorno aveva parlato il nicaraguense Humberto Ortega, ministro della difesa del Nicaragua da poco sandinista e fratello del Presidente Daniel. Aveva fatto un discorso noiosissimo, nel tono e nei contenuti. Pajetta si era rivolto alla giovane, rossa ed entusiasta rappresentante del Labour Party inglese. “Chi è questo Humberto Ortega?”. “E’ uno dei nove comandanti” rispose la rossa con gli occhi che le brillavano. “Speriamo negli altri 8”, rispose Giancarlo. Nei corridoi del palazzo del congresso ebbe uno scontro con il responsabile esteri del Pc francese Maxime Gremetz. “L’unica auto che manca nel garage del Comitato centrale del Pc francese è l’autocritica” lo liquidò.

Ma su Berlinguer si sbagliò. Non conquistò il socialismo, ma a Cuba arrivò con una delegazione che comprendeva Antonio Rubbi, Renato Sandri e Ugo Baduel, oltre a me. Il primo segretario del Pci a visitare l’America latina.

All’aeroporto José Martì dell’Avana c’era Fidel Castro a riceverlo, ed era un onore riservato a pochissimi. Ci portarono in una delle residenze di protocollo del Laguito, riservate ai capi di stato in visita. Poche ore dopo eravamo a cena al Palacio della Revoluciòn con Fidel e i massimi dirigenti cubani. Berlinguer e Fidel cominciarono a discutere subito dell’idea che il Pci aveva lanciato: una alleanza strategica tra la classe operaia dei Paesi sviluppati e le Nazioni in via di sviluppo. Fidel era molto interessato e in quegli anni era uno dei leader del Movimento dei Paesi Non Allineati.

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Per alcuni giorni rimanemmo all’Avana. Di giorno avevamo riunioni, visitavamo fabbriche e fattorie, partecipavamo ad assemblee di studenti. La sera tornavano al Laguito, cena, incontri in qualche quartiere, poi a casa. Non appena ci eravamo messi il pigiama, si apriva la porta ed appariva Fidel. “Ho proprio voglia di parlare con voi. L’Italia e il Pci mi interessano moltissimo”. E si passava la notte discutendo di politica e di varia umanità. Fidel, che era maniaco dei numeri, chiedeva “quanti abitanti ha l’Italia, quanto guadagna un giornalista, quante mele dà un albero in Emilia, quanto grano si produce per ettaro in Pianura Padana?” Non sempre noi sapevamo rispondere. Una notte, quando già albeggiava, Renato Sandri prese il coraggio a due mani e gli chiese “in Italia si vocifera che tu abbia ricevuto Gina Lollobrigida con entusiasmo”. Lui alzò la mano destra: “Parola di gentiluomo non è successo nulla”.

Il lungomare dell’Avana è il Malecòn e sul muro la sera si siedono centinaia di persone. Le coppiette amoreggiano, i pescatori cercano di catturare qualche pesce, molti semplicemente vogliono chiacchierare o guardano il mare. Fidel quando faceva i suoi comizi spesso alzava l’indice della mano destra per sottolineare, ammonire. Una sera passavamo in auto con lui lungo il Malecòn. Si rivolse a Berlinguer e gli disse: “Per trascorrere un’ora seduto su quel muro senza essere riconosciuto darei il dito con cui faccio i comizi”.

Una mattina partimmo tutti per andare su un’isoletta. Fuori dalla casa del Laguito Fidel, Berlinguer e un’interprete salirono su una enorme auto sovietica, noi su altre vetture poco dietro. Il colonnello capo della scorta di Fidel teneva aperta la portiere dell’enorme vettura in attesa del segnale di partenza. Berlinguer incautamente chiuse la portiera e si udì un raggelante crac. Era la mano del colonnello maciullata. Lui non disse nulla. Lo portarono all’ospedale e quando stavamo salendo sul battello arrivò con la sua mano ingessata e nessuna espressione. “Sei riuscito dove ha ripetutamente fallito la Cia. Far fuori il capo della scorta di Fidel”, sussurrò Sandri a Berlinguer.

La gita fu bella, il tempo meraviglioso, il mare straordinario. Ma ci fu un dibattito molto intenso. Berlinguer assicurava che la democrazia era un principio ormai ineludibile, Fidel faceva presente che Cuba era da decenni attaccata in ogni modo dagli Usa e che il multipartitismo aveva dato pessima prova lì. Discussero dell’Urss, e Castro ad un certo momento se ne uscì con una mezza ammissione “ci danno un aiuto per noi fondamentale”.

Tornammo all’Avana e andammo tutti al ricevimento dell’ambasciatore italiano. Il menù comprendeva frutti di mare. “Attenti – sorrise Fidel – sono afrodisiaci e voi di donne non ne avete qui”.

La mattina partimmo per la successiva tappa, il Nicaragua.

(1 - continua)



*GIORGIO OLDRINI (Sono nato 9 mesi e 10 giorni dopo che mio padre Abramo era tornato vivo da un lager nazista. Ho lavorato per 23 anni all’Unità e 8 di questi come corrispondente a Cuba e inviato in America latina. Dal 1990 ho lavorato a Panorama. Dal 2002 e per 10 anni sono stato sindaco di Sesto San Giovanni. Ho scritto alcuni libri di racconti e l’Università Statale di Milano mi ha riconosciuto “Cultore della materia” in Letteratura ispanoamericana)

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