Yankee go home, non si tradisce l'Atalanta

di GIORGIO OLDRINI*

(foto dalla pagina Fb Atalanta Bergamasca Calcio)


No, l’Atalanta agli americani no.  Un tradimento inaccettabile, tanto più perché frutto di puro desiderio di speculazione. Abito da sempre a Sesto San Giovanni, tifo (moderatamente) per il Milan e sono rimasto fedele anche quando è arrivato Berlusconi. Avevo adottato lo slogan lanciato dal grande milanista e musicista Fabio Treves, “Se vince, vince il Milan, se perde, perde Berlusconi”.

Ma da sempre passo le mie vacanze e molto di più in Alta Val Brembana, provincia di Bergamo. I miei nonni sono stati i primi turisti “stranieri” in valle, a partire dal 1924 quando l’aria buona salvò un mio zio da una malattia dei polmoni, che allora era morte quasi certa. Poi ci sono andati i miei genitori, io da piccolissimo e dal 1979 abbiamo una casa di famiglia nella minuscola frazione di un paesino dell’Alta valle. Mia moglie è bergamasca, anche se della pianura. Quindi sono un po’ bergamasco anche io, almeno nel cuore.

Nel tempo sono diventato tifoso dell’Atalanta, con i riti del caso. Quando siamo su in valle e c’è la partita, vado a vederla dal nostro vicino amico Ivo, lui sempre seduto su un divano in fondo alla stanza, io su una sedia vicino alla tv e un po’ defilato. Per tutti i bergamaschi, quelli natii e quelli come me acquisiti, l’Atalanta è la Dea ed è uno dei simboli della “bergamaschità”. Come le Mura antiche che avvolgono la bellissima Città Alta, e il Sentierone, il grande viale che inizia ai piedi della collina e attraversa la parte nuova e pianeggiante della città fino alla stazione.


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Si sa che i bergamaschi sono muratori, lavoratori abili e instancabili e l’Atalanta, soprattutto da quando l’hanno presa i Percassi, sembrava proprio una azienda di capaci “magùt”. Un mattone dopo l’altro, senza fretta e con precisione quasi chirurgica. Un vivaio di giovani che diventavano immancabilmente campioni o comunque degni della serie A o B, poi una ricerca di ragazzi in giro per il mondo, comprati per 4 soldi e rivenduti dopo poco o tanto tempo per milioni e milioni. Come l’ultimo, il tedesco Gosens acquistato sconosciuto in Germania per nemmeno un milione di euro, diventato un asse portante della squadra meraviglia dell’allenatore Gianpaolo Gasperini e persino della nazionale teutonica e venduto all’Inter a gennaio per 25 milioni.

L’Atalanta era diventata in questi anni la vera Dea. Niente più fondo della classifica, ma addirittura al vertice della serie A, davanti al Milan o alla Juve, all’Inter e al Napoli, per non infierire ulteriormente sulla odiata Roma. Era il riscatto della provincia, come se la polenta taragna, i casoncei, il formaggio della Val Taleggio e il Branzi che fanno a due passi dalla nostra casa avessero conquistato la cucina di Cracco. Come se i vini della Val Caleppio dove vivevano e lavoravano i nonni di mia moglie avessero preso il posto del Barolo e dello Champagne. O per lo meno si alternassero con loro sulle tavole di regnanti e vip.

I Percassi sembravano il simbolo della bergamaschità. Il capofamiglia Antonio ex calciatore di ottimo livello, all’Atalanta e alla Juventus, non aveva sperperato i soldi guadagnati con il pallone nel solito bar sport o in attricette, ma ci aveva edificato un impero. Costruzioni, centri commerciali come l’immenso l’Orio center di fianco all’aeroporto, le terme di San Pellegrino con il disegno di far ritornare questa cittadina gioiello del liberty allo splendore dei primi del ‘900. E poi addirittura la nuova sede dell’azienda nel Villaggio Crespi, patrimonio dell’umanità secondo l’Unesco, costruito ai primi del ‘900 da imprenditori visionari sulle rive dell’Adda di Leonardo da Vinci e ora recuperato dai Percassi.


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L’Atalanta era la ciliegina sulla torta di questo successo bergamasco. Aveva restituito un motivo di orgoglio alla città e alle sue valli, una identità che aveva resistito anche alla drammatica tragedia del covid che proprio da una mitica partita dell’Atalanta col Valencia in Champions League era dilagato in valli e in pianura.

Ancora a gennaio l’Eco di Bergamo, il giornale della Curia che ogni bergamasco che si rispetti legge ogni mattina, scriveva con orgoglio che l’Atalanta era l’unica società di calcio che non solo aveva resistito alla crisi da pandemia, ma che in pochi anni aveva guadagnato 300 milioni e stava rifacendo a spese proprie lo stadio. Quanti “bocia” nati o passati dalla Dea riempivano le squadre principali? Persino all’estero, il Papu Gomez a Siviglia, Castagne al Leicester, Gollini al Tottenham e via elencando, nomi, cifre di acquisto e di vendita, tutte sempre in straordinario attivo. Grazie anche al lavoro del sergente di ferro Gasperini, cittadino onorario di Bergamo, amato per il suo lavoro e per la sua durezza con giocatori, arbitri e avversari.

Poi, come una bomba da qualche giorno la notizia. I Percassi vendono ad un fondo americano. Per un piatto di ricche lenticchie, di cui per altro non avrebbero nemmeno bisogno, sottraggono lo strumento di riscatto e di identità a tutta la bergamasca. Come se si vendesse Città Alta, come se crollassero le Mura, come se si facesse la taragna senza formaggio o se il vino della Val Caleppio diventasse aceto.

Non sarà più lo stesso vedere la partita da Ivo, lui sul divano in fondo, io sulla sedia sotto la tv. E il Giò che quando giocava l’Atalanta chiudeva l’unico negozio del paese, adesso che farà? Un tradimento, ancora più doloroso perché innecessario e volgarmente venale. No agli americani l’Atalanta no. Yankee go home.


*GIORGIO OLDRINI (Sono nato 9 mesi e 10 giorni dopo che mio padre Abramo era tornato vivo da un lager nazista. Ho lavorato per 23 anni all’Unità e 8 di questi come corrispondente a Cuba e inviato in America latina. Dal 1990 ho lavorato a Panorama. Dal 2002 e per 10 anni sono stato sindaco di Sesto San Giovanni. Ho scritto alcuni libri di racconti e l’Università Statale di Milano mi ha riconosciuto “Cultore della materia” in Letteratura ispanoamericana)

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