Viaggio (da fermo) al Castello d’If

di NICOLA FANO* 

Tutto è cominciato in cattività, quando i viaggi bisognava inventarseli. Due strumenti, in quei giorni, dominavano la quotidianità di molti: i ricordi e i libri. Nel mio caso, gli uni e gli altri hanno coinciso con un nome, il Castello d’If.

Dal porto di Marsiglia, che oggi sembra lo skyline di un’autostrada, si intravede appena una roccia a picco, lì davanti, in mezzo al mare, che solo la fantasia mutuata da Dumas padre ti fa apparire merlata. Il fatto è che lì dentro, in quella galera appollaiata su un isolotto disperato, fu imprigionato per anni, molti anni, Edmond Dantès. Umberto Eco diceva che Il conte di Montecristo (di cui Dantès è protagonista) è il più bel romanzo mai scritto ma anche il romanzo peggio scritto nella storia; due giudizi eccentrici, come sempre quelli del grande semiologo. Ma che l’avventura di Edmond Dantès sia una delle più avvincenti in cui mi sia mai imbattuto, non ho dubbi. Quasi quanto la saga dei Buendìa, ma quello è un altro discorso.

Ebbene, perché nei miei viaggi da fermo durante la cattività mi si è imposto Dantès? Un accenno alla sua storia, per rispondere.

È un giovane francese, marsigliese, appunto; marinaio, secondo sul mercantile Faraon. Il libro (mille e duecento pagine di Alexandre Dumas padre, quello dei Tre moschettieri, non il figlio, quello della Signora delle camelie) comincia con Dantès all’Isola d’Elba, con l’ombra di Napoleone che si staglia in primo piano (siamo subito prima dei Cento giorni). Dantès ha un messaggio per lui da parte di Murat, e l’Empereur gliene consegna uno da recapitare a un suo fedelissimo a Parigi. Dantès non è un rivoluzionario, non conosce il destinatario del messaggio né il contenuto. Però è buono, e accetta l’incarico.

Lo scrivano del Faraon, che lo detesta perché teme che Dantès possa soffiargli il posto da capitano della nave, vede tutto e, al ritorno a Marsiglia, gli prepara un bello scherzetto. Aiutato da un certo Fernand – un mariuolo spagnolo, innamorato della fidanzata di Dantès, Mercedes – lo scrivano confeziona una denuncia anonima al procuratore del re, tal Villefort. E qui la cosa si complica, perché questo Villefort, burocrate monarchico in carriera, è il figlio del rivoluzionario cui il messaggio di Dantès è destinato: sennonché, arresta Dantès, brucia la lettera per lui compromettente e spedisce il nostro povero marinaio in galera. Al Castello d’If, appunto!

Sepolto in questa prigione terribile, Dantès conosce l’abate Faria, un rivoluzionario italiano, colto e pazzerello, che ha scoperto il tesoro della famiglia romana degli Spada: è nascosto all’Isola di Montecristo e ha un valore inestimabile. I due diventano più che amici, quasi padre e figlio, e quando Faria morirà, lascerà le indicazioni per ritrovare il suo tesoro a Dantès. Ecco, da qui, da questo tesoro, dopo la pazza fuga dal Castello d’If, comincia la vendetta di Dantès: l’ex giovane marinaio si trasforma nel ricco e spietato Conte di Montecristo. E la sua strategia per distruggere i due che l’avevano tradito spedendolo ingiustamente nelle segrete d’If si snoda per le altre mille pagine del romanzo.

Insomma, ora avrete capito perché nella mia cattività ho viaggiato fino al Castello d’If: perché la prigionia di Dantès è stata la nostra Fase 1, quella in cui egli ha preparato la sua Fase 2 (la fuga, magnificamente architettata da Dumas, sicché non ve la svelo…) in vista di una rutilante Fase 3. Saremo all’altezza di Dantès, mi sono detto? Capiremo che la cattività serve a crescere e a cambiare? Capiremo che, senza intendere le vere ragioni della nostra prigionia, non ne usciremo mai?

Insomma, ho riportato – in chiave simbolica, ovviamente – queste domande in una trascrizione videoteatrale della carcerazione e de La fuga di Dantès in quattro puntate che, in crisi d’astinenza di teatro – la mia vita – ho realizzato con la giovane compagnia de iNuovi della Fondazione Teatro della Toscana (Davide Diamanti, Fabio Facchini, Francesco Grossi, Filippo Lai, Claudia LudovicaMarino, Luca Pedron, Lorenzo Volpe). Da martedì 9 giugno il primo episodio è visibile su Youtube, canale Firenze Tv (il link è https://youtu.be/_5LWWhX_m-k): i prossimi seguiranno uno alla settimana, ogni martedì sera.

Se dal nostro lavoro si possano evincere delle risposte, non mi azzardo a dirlo. Ma le domande sono tutte lì: perché in fondo questo viaggio al Castello d’If l’abbiamo fatto tutti. E l’abbiamo chiamato lockdown.


*NICOLA FANO (1959. Vive tra Roma e Torino dove insegna all’Accademia Albertina di Belle Arti l’astrusa materia di Letteratura e filosofia del teatro. Da quarantacinque anni va a teatro quasi tutte le sere e, giacché è recidivo, alla storia del teatro ha dedicato i numerosi libri che ha scritto. Detesta il calcio, ma gioca a pallacanestro: quando smetterà di farlo, con ogni probabilità, morirà)


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