Venti insidiosi e paesini d'incanto, in canoa fra i segreti del lago di Como

testo e foto di MARINA MORPURGO*

L’antefatto di questo viaggio in canoa canadese (i miei amici) e kayak (io), è che abito sul lago di Como e ce l’ho davanti al naso tutti i giorni, quindi lo conosco e so di non conoscerlo affatto. Il lago è poco democratico, è come i cortili del centro di Milano, possiede bellezze che cerca in ogni modo di non mostrarti. Le rive sono spesso rocciose o irte di boscaglia; i cancelli e i muri delle ville fanno da barriera; le strade e la ferrovia si infilano nelle gallerie, offrendoti pochi scorci fugaci; i monti addossati alle strade costiere ti chiudono l’orizzonte.

lagobisjpg

Di qui l’idea di carpirne i segreti con un viaggio lento e a spinta di braccia, da sud a nord, con partenza da Lenno, verso la metà del ramo di Como, e arrivo sul quieto laghetto di Dascio, nella riserva naturale del Pian di Spagna, che all’alto Lario è collegato con un tratto di fiume, il Mera, che scorre mansueto tra salici e canneti.

Sapevo che non sarebbe stato facile, e che sarebbe stato il lago, con i suoi venti impetuosi, a comandare e a stabilire tappe e tragitti, e non noi. Dovevamo fare i conti soprattutto con la breva, il vento costante che arriva (quasi sempre) in tarda mattinata, e soffia da sud a nord sempre più forte per quietarsi solo a sera, e solleva onde e rende massacrante la progressione, se non lo prendi nel verso giusto (difficilissimo). L’altro vento costante, il tivano, è quello del mattino e soffia da nord a sud ma è assai più delicato e in genere non crea problemi.

canoa 4jpg


L’altro problema del lago è che le tempeste si scatenano nel giro di pochi istanti: così dolce quando è dolce, il Lario diventa una furia pericolosa, specie quando arrivano a tradimento venti temporaleschi dalle valli laterali. E in alcune zone, come sperimenteremo, non ci sono vie di fuga, non ci sono spiaggette sulle quali rifugiarsi in attesa che passi la buriana: insomma bisogna proprio stare attenti.

Mi sono dunque rivolta a un ragazzone, un geologo che il lago lo conosce bene: si chiama Nicolas Martinoli, è un canoista, e lavora per Kailas. “Ci organizzi questo viaggio?” Non mi ha dato della pazza, anzi si è gasato. Ha fatto i sopralluoghi, ha individuato le possibili tappe, e così il 29 giugno siamo partiti in sette, dal delizioso campeggino di La Vedo di Lenno.


canoa 2jpg


PRIMO GIORNO: ATTORNO ALL’ISOLA COMACINA

L’idea è quella di un esordio rilassante, con una prima tappa molto breve, ad anello. Messe in acqua le imbarcazioni giriamo le punte verso sud e ci dirigiamo verso l’isola Comacina, passando davanti a una serie di ville da caduta di mandibola (a cominciare da quella del Balbianello). Che eleganza, questo ramo comasco! Prati all’inglese, colline di ortensie multicolori, darsene private. Peccato per la presenza dei motoscafi, che in questo tratto di lago sono numerosi e molesti come tafani e sfrecciano rumoreggiando e sollevando onde che ci costringono a manovrare in modo da prenderle con l’inclinazione giusta. Sbarchiamo sull’isola Comacina, dove veniamo accolti dal signor Fabrizio, il custode, che probabilmente soffre di solitudine (il celebre ristorante dell’isola è chiuso per assurde beghe burocratiche) perché ci segue lungo il sentiero, prodigo di consigli e indicazioni e ci spiega che di lì a qualche giorno l’isola ospiterà un qualche sontuoso evento – ne prendiamo atto, ciabattando in calzoncini e sandali. Il posto è magnifico e facciamo il picnic all’ombra di grandi alberi. Il ritorno a Lenno (passando questa volta tra la costa e l’isola, e non esternamente) è tranquillo, e arrivati alla spiaggetta di partenza ci concediamo una nuotata nell’acqua dignitosamente accettabile.

 

canoa 3jpg


SECONDO GIORNO: LENNO-NESSO-BRIENNO-LENNO

Il programma prevede di attraversare il lago di fronte a Lenno, raggiungendo la costa della penisola di Bellagio all’altezza di Lezzeno. Da qui andremo a sud per qualche chilometro per andare a visitare l’orrido di Nesso, nel quale si entra direttamente in barca, fin quasi a portarsi sotto l’alta cascata. La traversata è tranquilla, siamo molto veloci e già gongoliamo al pensiero che ci sarà il tempo per tornare a nord a visitare la grotta dei Bulbari, prima di riattraversare su Lenno. Ma… mai fare i conti senza il Lario. La giornata è nerognola, ma non pare minacciosa (prendiamo due gocce di pioggia e poi smette), ammiriamo l’orrido, sbarchiamo nel porticciolo, risaliamo il mezzo miliardo di gradini ripidissimi che porta alla parte alta di Nesso, poi torniamo sul lago a rosicchiare panini, ma veniamo interrotti da Nicolas che guardando la smartphone ha visto che sta arrivando, a tradimento, vento forte da nord – non era previsto.

canoa 5jpg


Attraversare il lago con il vento di traverso è molto pericoloso. Anche se qui è più largo che non davanti a Lezzeno, dobbiamo portarci subito sull’altra riva, in modo da poter pagaiare poi sottocosta e controvento. Remiamo come ossessi, mentre il vento rinforza e il lago si fa scuro. Aiuto! Raggiunta Brienno, dobbiamo riposarci un attimo, perché è una vera battaglia. Il mio kayak è leggero e veloce, ma ballo veramente la samba. Le case di Brienno, vecchie case paesane, sono affacciate sul lago e una signora dal balcone cerca di darci indicazioni per sbarcare illesi, ma noi non siamo molto convinti. Nicolas abbranca la scaletta di un molo, riesce a salire e poi aiuta gli altri a mettere al sicuro se stessi e le canoe. Io mi aggrappo disperatamente al pontile e mi trascino a forza di braccia fino al muro di una casa, gli altri mi afferrano al volo (i 97 chili di muscoli di Nicolas per fortuna sono una garanzia) e acchiappano il kayak, finisco a mollo ma senza danni e riesco poi in qualche modo ad arrampicarmi sul pontile. Uff! La signora viene a chiederci se abbiamo bisogno di asciugamani, siamo bagnati e il vento è freddo. Dopo pranzo ripartiamo (abbiamo trovato un vicolo che sbuca in acqua, evitando il periglioso pontile), ma è una lotta impari, non c’è tregua, facciamo di tutto per restare vicinissimi a riva. Un paio di chilometri dopo ci arrendiamo, sotto gli occhi degli avventori di un ristorante molto elegante, che mangiano e bevono al riparo della vetrata, mentre noi cerchiamo di sbarcare senza danni – cosa che ci riesce con qualche difficoltà. Nicolas va a Lenno a recuperare il furgone, mentre noi occupiamo abusivamente la spiaggia del ristorante (il personale si è impietosito e si mostra assai gentile). Che bellezza essere di nuovo al campeggio!


canoa 6jpg

 

TERZO GIORNO: LENNO-MENAGGIO

Il tempo è molto bello, bellissimo, limpido. Ci soffia ancora in faccia il vento da nord (maledetto! E noi che temevamo la breva… ora ci farebbe comodo, spingendoci alle spalle) ma la sua intensità è molto diminuita, per cui pagaiare è leggermente faticoso, ma non stressante, e riesco a scattare parecchie foto. Passiamo davanti a Mezzegra, Tremezzo, Cadenabbia, Griante… destreggiandoci abilmente tra aliscafi e traghetti. È uno dei punti di maggior traffico, ma ormai siamo dei professionisti e non ci vengono le palpitazioni all’approssimarsi di quelle imbarcazioni tanto più grosse di noi. È un’altra zona di turismo lussuoso, ci sono le piscine galleggianti, le terrazze, ma per fortuna anche spiaggette sassose che ci permettono di sostare per fare un tuffo o fare merenda (pagaiare mette appetito e mangiamo tutti come cinghiali) – o nel caso di Tremezzo di andare a girellare nell’ombroso parco di villa Meier.

Scopro che i promontori lungo la costa mi danno la stessa emozione dei colli e dei passi in montagna: che cosa ci sarà di là? Che cosa vedrò?
Arriviamo a Menaggio all’ora di pranzo, il vento non si capisce che cosa voglia fare, e decidiamo di fare tappa qui. Il campeggio è proprio in riva al lago, sembra uscito da un film cecoslovacco anni Cinquanta, però è molto pulito. La spiaggia è lunga e ci concediamo ripetuti bagni, poi aperitivo e gelato nel centro di Menaggio, che sembra una bomboniera dove però nessuno fa caso al nostro abbigliamento da naufraghi. Il lago qui si allarga e diventa assai più luminoso, finalmente vediamo anche la riva lecchese. Una meraviglia.


canoa 7jpg

 

QUARTO GIORNO: MENAGGIO-DERVIO

Il vento da nord si è quietato! In una mattinata radiosa puntiamo a settentrione. La costa è meno densamente abitata, ma continuiamo a fare il gioco delle ville: che ne dite, questa la compro, o è un po’ troppo impegnativa? Passiamo davanti a villa Gaeta ad Acquaseria, sono indecisa sull’acquisto: quello stile neomedioevale non è un po’ pacchiano? Bella è bella, ci hanno girato la scena finale di Casino Royale con mister White che striscia sul ghiaino sotto lo sguardo di James Bond.

Sono scomparsi i malefici motoscafi di radica che imperversano nella zona di Tremezzo, spesso condotti da tizi abbronzati e canuti che per fare colpo corrono come pazzi incuranti dei nostri gestacci. Da Menaggio in su il lago è meta di sportivi, è più selvaggio ed esposto ai venti, per la gioia dei velisti e di chi fa kite-surf. Ci sono molti più campeggi, e più si sale e più sono numerosi. Arrivati a santa Maria Rezzonico decidiamo che le condizioni sono molto favorevoli all’attraversamento (onde assenti, calma di vento) quindi senza perdere tempo e pagaiando energicamente ci dirigiamo verso la sponda lecchese, dove ci aspetta la deliziosa Dervio, con il suo prato alberato lungo il lago, una piccola insenatura e una miriade di vele. La fretta è dettata dal fatto che dobbiamo assolutamente raggiungere Dervio prima dell’arrivo della breva: siamo in una specie di tunnel del vento e non a caso Dervio è una base nautica. Facciamo appena in tempo, il vento si alza, il nostro campeggio è più a sud e quel chilometro contro la breva si rivela più faticoso dei dieci chilometri precedenti!

Piazziamo le tende sull’erba, a nostro agio perché qui non siamo più pesci fuor d’acqua, qui c’è un turismo sobrio e meno leccatino. A sera la riva si popola di pescatori che camminando su strettissime passerelle di legno vanno ad appollaiarsi sullo sgabello posto a qualche metro dalla spiaggia e lanciano la lenza per prendere gli agoni, le sardinelle del Lario.


canoa 9jpg

 

QUINTO GIORNO: DERVIO-PIONA DI COLICO

Punta della canoa ancora verso nord – la meta si avvicina. Poco dopo la partenza ci fermiamo a visitare lo strepitoso borgo medioevale di Corenno Plinio, con le sue casette in pietra aggrappate al pendio e incredibilmente sfuggite all’infighettamento e al proliferare di locali, con il castello e l’antica chiesa intitolata a San Tommaso di Canterbury.

Quella di oggi è una tappa molto bella sotto tutti i punti di vista, la costa è verde e selvaggia, e prima di entrare nella baia di Piona, che è così protetta da essere chiamata “laghetto”, c’è la possibilità di andare a visitare la meravigliosa abbazia cistercense posta sulla penisola di Piona, con il chiostro e i frutteti (per farlo bisogna infilarsi con le canoe sotto il pontile del piroscafo, gli altri accessi sono molto difficoltosi). I frati producono un liquore in grado di far stramazzare un toro, e altre prelibatezze.

canoa 10jpg

Tornati in acqua entriamo nella baia, girando sotto le pareti rocciose, e approdiamo a quella che io chiamo “la spiaggia dei Caraibi” perché c’è una sabbia bianca e fine al posto dei soliti ciottoli che ti maciullano i piedi quando vai a nuotare. Purtroppo è sabato ed è colonizzata da una famiglia numerosa e urlante, il che rovina l’idillio.

Il campeggio è a poche decine di metri, ma non appena risaliamo in canoa si alza un vento violentissimo che ci sbatte di traverso contro la riva, che qui per fortuna è bassa ed erbosa: impossibile proseguire senza rovesciarsi, quindi scendiamo e tiriamo su le imbarcazioni. Siamo sull’alto Lario che mantiene fede alla fama di essere il reame delle tempeste. La cosa più difficile però è trovare un posto dove mangiare, Colico è strapiena e i ristoranti non hanno un buco libero – finiamo in un ipermercato a scofanarci americanate, ma se non altro non andiamo a dormire digiuni.


 canoajpg


SESTA TAPPA: PIONA-DASCIO

Partiamo ancora una volta di buon mattino, con lo spauracchio del tempo che sta per cambiare. Questo è il punto più esposto del lago: l’Alto Lario durante i temporali fa veramente paura, può diventare un inferno. Il percorso è ancora una volta molto bello perché dopo aver passato Colico transiteremo di fianco alla piana alluvionale dell’Adda, addentrandoci nell’oasi naturalistica del Pian di Spagna con i suoi canneti. Ho una certa apprensione perché un mese fa l’attraversamento del punto nel quale l’Adda si immette nel lago non era stato facile: la corrente del fiume era molto impetuosa (si stavano sciogliendo le nevi), c’erano onde disordinate che andavano a cozzare contro quelle create dalla breva, e il kayak tendeva a scappare via. Questa volta invece è tutto tranquillo, la corrente è mite e non incontriamo difficoltà, anche se alle nostre spalle si accumulano nuvole nere.


canoa1jpg

Possiamo però rilassarci quando usciamo dal lago e iniziamo a risalire il fiume Mera che in un paio di chilometri ci porterà al laghetto palustre di Dascio: qui l’ambiente è bucolico, l’acqua scorre placida e ci sentiamo protetti, navigando accanto ai cigni (tenendoci a discreta distanza perché hanno un brutto carattere). Vengo spesso a pagaiare da queste parti, e mi sento a casa in questo specchio d’acqua dominato da due montagne, il Legnone e il Sasso Manduino.
Il nostro viaggio termina qui. Per ora, s’intende! Ci resta da esplorare il ramo lecchese, se ne riparlerà l’anno venturo.


*MARINA MORPURGO (Ex giornalista, ora traduce romanzi, scrive libri di storia per le scuole, pascola cani e va in montagna)


clicca qui per mettere un like sulla nostra pagina Facebook
clicca qui per rilanciare i nostri racconti su Twitter
clicca qui per consultarci su Linkedin
clicca qui per guardarci su Instagram