UNA FINESTRA SULLA NATURA / 15 - Moveo ergo sum (Mi muovo, dunque sono)

di LUIGI EPOMICENO*

Il ritrovamento di resti animali risalenti a circa 11 milioni di anni fa lascia suppore l’esistenza di un essere capace di alternare nella locomozione un andamento con quattro punti di appoggio ed uno con soli due. Il tratto distintivo di una locomozione bipede sembra invece risalire al genere Homo a circa 2,5 milioni di anni fa. Questa tesi è avvalorata dalla conformazione delle ossa del bacino, anca, gambe e braccia dei ritrovamenti del periodo.

Insomma a un certo punto ci siamo alzati in piedi!

Per millenni l’uomo ha camminato senza scarpe (o plantari). Se considero il fastidio di un sassolino nella scarpa (in senso fisico e non metaforico) immagino che camminare o correre nella savana o nelle foreste poteva procurargli più di un solo inconveniente posturale.

Perché allora, pur indossando scarpe di ogni tipo, mi sono ridotto ad avere una postura errata?

Sono passati già vent’anni da quando l’amica Marisa mi gridò “A Luì, ma non vedi come cammini storto?” “Fai qualcosa!” fu la sua raccomandazione. E come tutte le raccomandazioni date nei corridoi, negli ascensori o sui lettini in spiaggia, anche questa cadde nella categoria “Cose da fare domani.” Ogni giorno, leggendo la lista, rimandavo al giorno dopo.

Oggi la raccomandazione è entrata d’autorità nella categoria “Se l’avessi fatto prima.”


nordic-poles-4607092_960_720png

(foto da pixabay)


Tra tutti i professionisti consultati, uno mi condannò a “una vita di ginnastica.” Un altro mi impose di perdere peso. Poi c’è chi mi prescrisse i plantari, chi fisioterapia e infine chi, con tanta filosofia, mi disse “ormai è troppo tardi.”

Ahi, se avessi dato loro retta…

La nostra posizione verticale non può che scaricare il totale peso del corpo sui piedi e, in successione, su caviglie, ginocchia, fianchi, bacino e la colonna vertebrale. E’ il caso di dire che in postura veritas, e nel camminare il nesso causa-effetto vi trova una inconfutabile spiegazione: poggia male un piede, e il cervello compenserà il mancato equilibrio in altro modo.

                                                               ****************

La vita ha due caratteristiche inseparabili: la crescita e il movimento.

Il movimento rappresenta un aspetto molto intrigante e tutt’altro che semplice da spiegare nella storia dell’evoluzione non solo dell’Uomo ma di tutte le forme di vita sul Pianeta. Tutto si muove: dai batteri ai mammiferi, dai vegetali agli uccelli. Persino la riproduzione di una cellula implica movimento.

Simulando un animale selvatico nella ricerca di cibo, pensate ai movimenti che facciamo quando ci svegliamo la mattina e scendiamo dal nostro letto per andare a fare colazione, e ai muscoli che muoviamo.

Partiamo dal nostro collo quando tiriamo su il capo dal cuscino. Aggiungete poi le braccia, il torace e il bacino. Poi le gambe e i piedi. Nel camminare muoviamo pressoché ogni altro muscolo che abbiamo facendo anche movimenti oscillatori e rotatori. Nel frattempo si sono anche mossi la gabbia toracica per il respiro, le palpebre degli occhi, i muscoli della faccia per uno sbadiglio. Anche il cuore fa la sua parte.


swallow-flying-5228995_960_720jpg
(foto da pixabay)

Anche la rondine apre i suoi occhi, si guarda attorno, si stira le ali e si alza sul bordo del nido. Tuffandosi nel vuoto muove le gambe, le ali, gli occhi, la gabbia toracica, il collo e quant’altro le serve per volare e acchiappare il cibo.

La fisica del movimento si complica quando aggiungiamo alcune variabili. Se ad esempio a scendere dal letto è un bambino di due anni, è probabile che debba fare un piccolo salto e quindi prima dovrà spingersi in caduta e atterrare. Nel farlo è probabile che raggiunga il pavimento sulle punte dei piedi e questo già muove una serie di muscoli in modo diverso rispetto al semplice poggiare del tallone.

Se poi al salto deve seguire una breve corsa verso la cucina per arrivare prima della sua sorellina, si aggiungono altri tipi di movimento. Non solo, ma la sua postura cambia radicalmente quando il camminare si trasforma in corsa.

Il lupo, con qualche differenza, fa altrettanto.

Innanzitutto, come quadrupede, poggia su quattro punti e non due. Per questo è sicuramente più stabile.

Eppure quando corriamo siamo entrambi instabili perché la caratteristica della corsa è che il corpo è sospeso, cioè nessun punto tocca terra.

Il passaggio dalla camminata alla corsa comporta un meccanismo assai complesso che interessa le tre fasi camminata, trotto e galoppo.

Quando camminiamo noi bipedi umani muoviamo le gambe in modo alterno, accompagnando l’alternarsi delle gambe con l’alternarsi delle braccia. Tenere le braccia ferme sui fianchi è del tutto innaturale, una forzatura.

Se fate attenzione, il movimento delle braccia è a sua volta alterno rispetto alle gambe: nel mandare avanti la gamba sinistra muoviamo in avanti il braccio destro. Gamba destra, braccio sinistro; gamba sinistra, braccio destro.

 



Picture1png

(da https://www.runlovers.it/2019.  Nella corsa il corpo è sollevato da terra.  Notate il sincronismo alterno tra braccia e gambe.)

 

Se ora vi mettete carponi e simulate di camminare “a quattro zampe” farete altrettanto. Gamba sinistra, braccio destro e così via. Nella sequenza avrete per qualche istante tre punti di appoggio mentre il quarto arto è in fase di avanzamento. Questo vuol dire che i punti di contatto degli arti posteriori quasi si sovrapporranno con quelli anteriori.

Anche il cammello lo fa. L’ippopotamo e il bue pure.

L’orso e il leone no.

Spostano il loro peso in modo diverso e quindi le zampe si muovono in modo sincrono ma lateralmente: anteriore e posteriore destro si muovono insieme e fanno un passo a cui seguono, una volta poggiate le zampe, quelle sul lato sinistro che si muovono anche loro insieme. In pratica, la zampa anteriore destra si protende in avanti, il peso del corpo si sposta a destra e l’allungamento della zampa muove in avanti l’animale. Sullo stesso lato la zampa posteriore si solleva e viene spostata in avanti accorciando la distanza con quella anteriore e nel frattempo parte la stessa sequenza sul lato sinistro.

Lo spostamento dell’intero peso del corpo da un lato all’altro, come un pendolo, comporta una fisicità biomeccanica a dir poco complicata. Se guardate bene inoltre, quando le zampe toccano terra vi è un leggero ritardo delle zampe posteriori rispetto alle anteriori, che vanno poi a posizionarsi molto vicino a dove si sono poggiate le anteriori.

Immaginate ora di assistere ad un attacco di un felino ad una preda. L’evento racchiude quelle tre modalità di movimento: la camminata, il trotto e il galoppo. Anche se può sembrare facile immaginare cosa porti il felino a scegliere una modalità rispetto all’altra, da un punto di vista bio-meccanico il cambiamento dalla camminata alla corsa ha una complessità fisica per niente ovvia, soprattutto perché il passaggio comporta un cambiamento di come vengono azionate le zampe.



Picture2png

(Da https://marcopav.weebly.com/ghepardo.html. In questo istante l’animale deve gestire innumerevoli fattori tra cui la velocità in avanti, il peso sbilanciato, le forze centripete e centrifughe,  l’acustica dell’ambiente, l’aderenza al suolo e gli ostacoli lungo il percorso.)

 

L’animale è chiamato a minimizzare l’uso di energia, a massimizzare la resistenza e durata della corsa, a proteggersi da un sovraccarico, ad azionare una meccanica articolata, a considerare tutti i fattori ambientali che lo circondano, a fare i conti con la propria morfologia e quella del terreno su cui si trova ed infine a compiere calcoli matematici complicati in frazioni infinitesimali di secondo, ad esempio per la scelta della direzione o per evitare un ostacolo.

Il coordinamento dell’intero corpo del felino (come anche il nostro) è demandato ovviamente al cervello e alla struttura neurologica di cui siamo dotati, e si basa essenzialmente sulla gestione del peso del nostro corpo nei diversi momenti, guidato da impulsi somatosensoriali. Lo sviluppo e l’uso della muscolatura ne è una conseguenza.

Nella corsa il movimento delle zampe dei quadrupedi risponde a un diverso modo di gestire il trasferimento del peso. Quando si cammina, si alternano i movimenti tra zampe anteriori e posteriori. Nel galoppo i movimenti delle zampe tra tutte le specie sono uguali: le zampe posteriori si muovono insieme fungendo da molla propulsiva, mentre quelle anteriori da tiranti. Le zampe posteriori spingono, quelle anteriori tirano.

La presenza di artigli e il loro effetto aggrappante, la capacità di allungare ed estendere le zampe o il peso sono variabili che differenziano poi le specie ed influenzano la loro efficacia ed efficienza nella corsa.

Pur usando scarpe ad alto contenuto tecnologico, noi umani, per quanto veloci, siamo sopraffatti nella corsa da altre specie più efficienti di noi.

E con i mille piedi del Millepiedi, come la mettiamo? (A proposito: il Millepiedi non ha 1.000 piedi. Il più lungo finora scoperto, Illacme plenipes, arriva a 750. Si dice mille in senso puerile per significare tanti.)

Per capire come si muove un Millepiedi basta immaginare come noi umani ci muoviamo quando nuotiamo a farfalla. Estendiamo le braccia in avanti e cerchiamo, con una forza tirante, di portare le braccia ai nostri fianchi. Così facendo spostiamo la massa d’acqua, la cui resistenza ci spinge in avanti. Il torace e il capo fendono la superficie dell’acqua facendo da vero spartiacque facilitando poi lo scorrere della parte rimanente del corpo.

Il canottaggio funziona allo stesso modo e se guardiamo dall’alto una gara di “otto con” vedremmo otto paia di remi muoversi in modo sincrono in avanti e indietro, spingendo l’imbarcazione in avanti.

Il Millepiedi non ha la possibilità di sollevarsi da terra per correre. Quando corre lo fa semplicemente muovendo le zampe più velocemente, ma si muove con un trucco.


red-800480_960_720jpg

(foto da pixabay)


Nel muovere una zampa in avanti, quella successiva fa lo stesso movimento con una frazione di secondo di ritardo rispetto alla precedente. Così facendo, dopo una decina di zampe circa, si arriva al punto in cui il movimento di una zampa posizionata più indietro è sincronizzato con la prima, creando un movimento ondulatorio delle zampe. Se si guarda dall’alto, è come se le zampe si muovessero in modo sinusoidale. Mentre alcune sono in fase di spinta all’indietro, altre sono in fase di estensione in avanti, rendendo continuo lo spostamento del corpo in una direzione.

Come dire che non ci sono momenti morti nel movimento e il corpo sembra scivolare sul terreno.

Un altro animale che sembra scivolare sul terreno è il serpente, il cui movimento è il risultato di una incredibile interazione tra struttura ossea, muscolatura, pelle e ambiente esterno.

Come tutti gli animali, anche il serpente cammina e corre. Se l’essere umano, nel farlo, può azionare fino a 600 muscoli, il serpente ne aziona anche più di 10.000.

Come le nostre ossa sono avvolte da tendini, muscoli e pelle, tutto irrorato da vasi sanguigni e comandati da un intreccio di nervature, nel serpente troviamo un susseguirsi di vertebre e costole avvolte da muscoli foderati da squame di diversa forma e misura che formano una pelle con funzione di arto.

Quel che accade quando noi camminiamo o corriamo è identico a ciò che fa il felino: spostiamo il peso e azioniamo gli arti per spostarci su tre dimensioni (in avanti, di lato o in alto) e nel farlo trasmettiamo segnali ai muscoli che si estendono o si contraggono. Questi movimenti consentono di alzare una nostra gamba o di fare forza sul piede per spingere il nostro peso in una direzione.

Il cervello regola ogni forza in base alle condizioni esterne che incontriamo. Ad esempio se il terreno è sabbioso o scivoloso, regoliamo come poggiare il piede o la velocità per massimizzare l’aderenza o per non cadere. Meccanismi complicatissimi a dir poco.

Gli stessi meccanismi azionano le misure correttive quando invece si perde l’aderenza e l’equilibrio: in questo caso le azioni sono protettive finalizzate a minimizzare eventuali impatti, anche con corpi estranei, oppure per riprendere precedenti traiettorie.

Il serpente è in grado di fare altrettanto, muovendosi in quattro modi diversi. E’ in grado di fare movimenti rettilinei, ondulatori orizzontali, con torsioni laterali oppure a fisarmonica, utilizzando i suoi muscoli e la pelle.

Come lo fa è un’altra meraviglia della Natura.

Avendo, nel cammino evolutivo, perso le zampe, il serpente utilizza la pelle per ancorarsi alla superficie. La pelle è un suo arto. Quando si protende in avanti, la pelle dell’addome si estende di più di quella sul dorso e sui fianchi e le squame della pelle consentono di aggrapparsi al suolo. Nel frattempo i fasci muscolari tirano lo scheletro in avanti. Come se noi, stesi per terra, ci tirassimo in avanti con le braccia ancorandoci su un punto fermo.

Quando si muove assumendo una forma ad “S” la pelle e i muscoli all’esterno o all’interno della parte curva delle “S” si muovono in senso contrario, quasi alterno, agevolando il trascinamento. Facendolo in modo ondulatorio, il serpente cammina sui terreni in modo fluido e continuo, rendendolo in grado, ad esempio, di entrare in spazi contenuti come nelle tane degli animali sotterranei per nutrirsi.





Picture3png

(Da “A study of snake-like locomotion through the analysis of a flexible robot model” Cicconofri-DeSimone. Le forze fisiche di spinta che consentono lo spostamento del tratto scuro verso destra - sequenza dall’alto in basso - vengono esercitate nei punti convessi e concavi della curva)

 

Oltre che per spiegare l’evoluzione della Natura, la scienza, da tempo, si è orientata ad applicare i fenomeni naturali a beneficio dell’Uomo. Gli studi nella bio-ingegneria hanno portato ad invenzioni notevoli in molti campi, dalla cardiologia all’ortopedia. Lo studio del movimento degli animali trova applicazione nella robotica “bio-ispirata.” Gli arti meccanici di nuova generazione possono consentire di riacquistare movimenti impensabili anche solo 30 anni fa.

Oggi lo sviluppo tecnologico e la ricerca consentono (e siamo solo all’inizio!) il collegamento dell’arto meccanico al nostro sistema nervoso. Azionando il nostro cervello si è in grado di muovere le dita della mano robotica. Come abbiamo visto nel caso del felino in corsa, le variabili che entrano in gioco da quando ci solleviamo da terra per intraprendere prima la camminata e poi la corsa vengono elaborate con rapidità dal cervello e trasformate in movimenti muscolari: vista, udito, olfatto e tatto si intrecciano per fornire dati, che, elaborati, ci guidano nel movimento.

La possibilità del serpente di muoversi su piani orizzontali e verticali (in lungo e in largo, ma anche in alto e sott’acqua) grazie a come controlla la struttura muscolare, lo rende unico, e apre infinite possibilità di studio sia nella robotica che nel campo delle neuroscienze.

Ogni movimento di un animale che ci può sembrare banale è invece il risultato di milioni di anni di evoluzione. Già Leonardo da Vinci, osservando la Natura, ha dato iniziali spiegazioni a fenomeni come il volo. Lo studio del movimento del serpente ha consentito il perfezionamento di strumenti in grado di infilarsi in spazi contenuti, essenziali ad esempio nei crolli di edifici durante eventi sismici distruttivi.

Gli studi sui circuiti neurali che sono alla base dei nostri sensi, il coordinamento motorio e i nostri riflessi procedono anche grazie al contributo di quel serpente che spesso genera repulsione.

La prossima volta che avete la possibilità di osservarne uno pensate ai milioni di anni che sono stati necessari per creare quella macchina perfetta davanti a voi.

 

*LUIGI EPOMICENO (Nato nel 1957. Sono mezzo americano e mezzo italiano, pugliese di origine, forse greco di stirpe, romano di adozione, con soste prolungate a Firenze, Milano, Genova, Chicago e Londra e continue a Parigi, Marsiglia, Madrid, New York, Amsterdam, Eindhoven, Dusseldorf, Monaco di Baviera, Praga, Amburgo, Bruxelles e Lisbona. Ho girato tutta la Grecia, l’Albania, la Francia, la Spagna, la Turchia e gli USA e ho messo piede in tanti altri posti che neanche ricordo, da Seul a Iguazù, dal Canada al Marocco passando per le isole Lofoten. Ora sono in un altro mondo. Un mondo nel Mondo. Da quasi un anno e mezzo sono il Direttore Generale del Bioparco di Roma. Prima ho fatto tante altre cose. Alcune divertenti, altre meno)


clicca qui per mettere un like sulla nostra pagina Facebook
clicca qui per seguirci su Twitter
clicca qui per consultarci su Linkedin
clicca qui per guardarci su Instagram