Un treno per Londra
di GIUSEPPE CASCIARO
Andiamo a Londra, dissi serio a mia moglie una sera di un paio d’anni fa, agli inizi di maggio, mentre toglievo dalle piantine di gerani i fiori rinsecchiti e l’acqua ribolliva dentro la pentola che da lì a poco avrebbe ospitato per la cottura un etto di rigatoni senza glutine.
Mia moglie non mi rispose. Continuò ad apparecchiare il tavolo in giardino: la sera era calda e l’albero di limoni già regalava il suo profumo se solo avevi l’accortezza di accarezzarlo.
LA GUIDA“Ma sei sicuro?”, rispose mia moglie mentre condivo la pasta con un paio di cucchiaini di parmigiano.
“Sicuro… sicuro è una parola grossa”, le risposi, dando fondo ai miei dubbi e a un bicchiere d’acqua fresca.
Sorrise. Non parlai per tutta la durata della - breve - cena, per un paio di motivi: il primo è che non mi piace parlare, attaccare discorso, partecipare a discussioni inutili mentre mangio i rigatoni; l’altro è che temevo il viaggio, anche se ormai ne ero convinto.
E che sarà mai, un viaggio a Londra. I più informati – già li sentivo – avrebbero tirato fuori tutta la loro conoscenza per ricordarmi che il volo dura due ore e diciotto minuti, 138 minuti, esattamente come “L’aquila solitaria”, il film di Billy Wilder del 1957 sulla storia di Charles Lindberg (James Stewart), giovane aviatore che vuole “attraversare l’Atlantico, senza fare scalo, a bordo di un aereo monoposto”. O meno di una partita di calcio decisa ai tempi supplementari.
Non temevo la durata del volo. Non temevo Londra. Il guaio (eh sì, un vero guaio per chi ama viaggiare) è che mia moglie ed io non siamo mai saliti su un aereo da quando ci conosciamo, più di 35 anni.
Ho sempre inseguito un biglietto per un altro mondo, “staccando l’ombra da terra” (cit.), un decollo, allacciate le cinture di sicurezza, l’idea di andare al bagno restando con i piedi per aria, una hostess che mi porta un Negroni, un applauso mentre le ruote toccano la pista dell’aeroporto d’arrivo (ma sarà vera ‘sta storia dell’applauso?). Inseguimento vano. Per la paura, la paura di volare.
Solo una volta, spinto da un collega, una trentina d’anni fa, andai a Fiumicino ospite dell’Alitalia per una simulazione di volo. Beh, dirà qualcuno, hai visto che non era niente? La notte prima non chiusi occhio ma andai per non deludere la persona che mi aveva invitato. Prima di salire “a bordo” (in realtà solo la cabina a grandezza naturale ben saldata a terra e sostenuta da enormi bracci mobili) ricordo di aver fatto ritardare la prova perché ebbi un bisogno impellente di andare al bagno. Con i piedi per terra. A bordo, a parte il momento del decollo, non ho avuto paura, perché mi ero accertato che quella “scatola” fosse ben saldata a terra. Me ne ero sincerato. Ma nonostante questo, in seguito non sono mai salito su un aereo vero.
I RISTORANTIOgni tanto, in prossimità del periodo delle vacanze, sogno (sì, quelli veri, durante la notte) di fare un check- in, lasciare un bagaglio, salire quella scaletta, un Negroni da una mano gentile e rassicurante, la voce del comandante, quel fottuto applauso che forse non esiste.
Che vuoi che sia, mi ha detto di recente il papà del compagno della mia figlia piccola, pilota in pensione. E che vuoi che sia per lui che ha trasvolato il mondo da comandante per più di trent’anni. Che vuoi che sia. Ma vaglielo a spiegare all’altro che è dentro di me, agli altri che sono dentro di me. Vai a dirglielo che sono più pericolosi il marciapiede, il treno, la strada. La vita.
…
“Andiamo in treno”, dissi a mia moglie mentre era già arrivata l’ora di poggiarsi su un letto per il riposo della notte.
“In treno? Ma è un’isola”, rispose mia moglie.
“Anche sulle isole si arriva in treno”, risposi. E non andai oltre pur conoscendo tutte le possibilità di trasferimento.
La soddisfazione di aver preso una decisione si scontrava però con alcuni elementi che provo a spiegare.
La soluzione più semplice per arrivare in treno a Londra da Roma è questa: bisogna salire sul convoglio notturno per Parigi (non c’è più il diretto da Roma che ho preso tre volte, bisogna salire su un treno veloce per Milano e da lì si arriva a Parigi in sei/sette ore); arrivati a destinazione, dalla Gare de Lyon è necessario trasferirsi alla Gare du Nord e da lì salire su un Eurostar che ti porta a Londra – attraverso il tunnel immerso (!!!) nel Canale della Manica, in meno di tre ore. Facile, no?
No, non è per niente facile.
Mia moglie odia i viaggi notturni; mia moglie odia i lunghi trasferimenti. Mia moglie odia i tunnel sottomarini. E anche quelli terrestri.
A proposito. Una volta, durante una gita in Abruzzo, era previsto l’attraversamento del tunnel del Gran Sasso. Niente da fare. “Trova una soluzione alternativa”, mi suggerisce (ammonisce) mia moglie, fermandosi in una piazzola d’emergenza a pochi chilometri dall’ingresso del tunnel. Apro la mappa del Touring, studio, seguo con l’indice strade a zig zag, poi finalmente capisco. “Bisogna fare questa strada, torniamo indietro”, dico soddisfatto a mia moglie. Ci attendeva un viaggio lento e lunghissimo, fra tornanti interminabili e paesaggi incantevoli, Poi, quasi alla meta, una piccola galleria: 400 metri, annunciava l’apposito cartello. Entriamo. Piano. Silenzio. All’improvviso, mentre già s’intravvedeva la luce, un cavallo nero - non al trotto, non al galoppo - passeggiava beato tra una corsia e l’altra. Mia moglie (è lei che guida quando viaggiamo in macchina) inchioda. La macchina sbanda. Siamo fermi, a pochi centimetri dalle zampe del cavallo nero che ci regala uno sguardo. Anche noi gliene regaliamo uno.
…
Tutte le volte che siamo partiti per una destinazione estera ho dovuto organizzare tutto per rispettare i suoi odi. Che sono anche i miei.
Così l’impresa per andare a Londra mi apparve, prima di andare a letto, ben più ardua del previsto. Ma non mi persi d’animo. Dovevo, dovevamo andarci. Ma come, se volevo rispettare paura e desiderio?
Già, non mi persi d’animo.
Dal mattino dopo comincio a studiare soluzioni, date e itinerario. Dopo le prime ricerche mi imbatto in una sigla magica: Interrail, un mito low cost per i giovani di qualche anno fa, una certezza – capii subito - per quelli (cretini, poveri cristiani) come me. Mi lasciai ispirare da un Global Pass: 15 viaggi compresi nel prezzo (475 euro a persona, prima classe) da fare in un mese. In realtà i giorni di vacanza erano una dozzina ma a me serviva più o meno quel numero di tratte comprese nel prezzo. Il prezzo, 950 euro, non è quello reale, perché poi bisogna pagare a parte altri trasferimenti, le prenotazioni, i supplementi. Altri 500 euro. Certo, la formula conviene ma solo se si sale su treni lenti e notturni e se non si ha la necessità di essere certi del posto a sedere.
Studio l’itinerario per esaudire le volontà di mia moglie (le mie volontà). Partenza il 5 luglio, 8 del mattino. Roma-Milano; Milano-Ginevra, notte a Ginevra. Ginevra-Parigi, notte a Parigi, Parigi-Calais.
E’ il 7 luglio, ore 11.46. Siamo già in viaggio da due giorni, destinazione Londra. A Calais vedo sfrecciare un Eurostar. No, non è per me, non è per noi. Ho due biglietti per il traghetto (75 euro a persona, extra Interrail) che porta a Dover, sul suolo inglese. Alla stazione di Calais non ci sono taxi, almeno nei minuti successivi al nostro arrivo. Ci sono solo soldati in tenuta da guerra e pochi passeggeri. Ci incamminiamo. Intravvedo un ufficio del turismo. Scusi, ma un taxi, un autobus, per arrivare al porto? La signorina dietro il banco parla con un accento del Nord che comprendo a malapena. Alla fine l’unica cosa che afferro è questa: quinze minutes. E mi scrive su un foglietto il numero del taxi. Ringrazio. E’ l’ora di pranzo, accanto c’è un supermercato, compriamo un paio di insalate già pronte per il breve viaggio che ci porterà a Dover. Un’ora d’attesa prima di essere chiamati per l’imbarco. Siamo una dozzina gli sfigati appiedati che aspettano di prendere un traghetto per arrivare a Londra. Due coppie di anziani, una famiglia con quattro figli. E noi due, io e mia moglie.
“Vedi – dico a mia moglie mentre ingoio l’ultimo boccone di insalata e un mucchio di camionisti con la barba lunga e in canottiera spegnendo le ultime sigarette si avviano a riconquistare i loro bisonti stivati – vedi, quelle sono le bianche scogliere di Dover”. Un uomo, sulla cima di uno di quegli alti scogli tiene in braccio un bambino indicandogli un punto nel mare. Tengo mia moglie per mano dopo avere abbandonato nel cestino dei rifiuti la vaschetta ormai vuota dell’insalata e le indico con il dito quell’uomo che ci guarda passare.
…
Siamo partiti da Roma alle 8 del 5 luglio, siamo arrivati a Londra alle 17.58 del 7 luglio. Cinquantotto ore (meno due minuti).
Londra ti ammalia. Dovevamo restare solo per tre notti, abbiamo deciso di raddoppiare la durata del soggiorno eliminando alcune tappe successive.
…
Londra.
La costosa metropolitana, i primi biglietti singoli per i quali in un giorno ho speso 50 euro, la scoperta dell’abbonamento, duecento gradini, le piastrelle gialle, le file ordinate, le stazioni all’aperto, l’odore acre del ferro.
Il caos delle cinque del pomeriggio nella City, nugoli di giovani vestiti tutti nello stesso modo e tutti diretti nei mille pub intorno al fiume, gli autobus a due piani che prima rallentano, poi si fermano.
L’abbondanza di colori, profumi, oggetti nei mercati variopinti e stracolmi.
Venti chilometri percorsi in media ogni giorno per tutta la durata del soggiorno. Le gambe stanche.
Harrod’s, che a un certo punto dici basta, voglio uscire da qui, dopo aver speso trecento euro e consapevole di dover trascorrere il resto della giornata con un mucchio di buste in mano da trascinare fino alla sera fino all’albergo.
Il quartiere cinese alle 8 del mattino, con le strade invase da decine di furgoni bianchi per il rifornimento dei negozi.
L’eleganza affievolita di Savile Row, Myfair, con le sue sartorie simbolo dello stile anglosassone. Ripenso alle visite dell’ammiraglio Nelson e di Winston Churchill, sostituite oggi, 10 luglio 2018, da arabi e cinesi senza alcun apparente appeal.
L’albergo (The Tower) e la direttrice italiana, le finestre sigillate che però lasciano spaziare sul maestoso Tower Bridge, un gruppo enorme di ragazzi italiani che sul ponte intonano Fratelli d’Italia.
La nemesi: una mastodontica e bellissima esibizione di aerei militari sopra i tetti della città per i 100 anni della Royal Air Force. Passa di tutto sulle nostre teste di rapa che non hanno mai preso un aereo. Resto affascinato.
Un pomeriggio dopo un piatto di pasta in un ristorante italiano, con la schiena a pezzi e la necessità di fermarsi un po’, magari prendendo un autobus che dal centro della città ti porta su a nord, lunghissimi chilometri di strade e palazzi, vita e vite, cento città nello stesso luogo: bambini che escono da scuola, la comunità yiddish, un quartiere musulmano, il bar dei poliziotti con il caffè più cattivo di tutta la permanenza a Londra.
Le guardie reali e Buckingham Palace, Westminster e la Torre dell’Orologio incartata per il restauro, Downing Street, gli immensi parchi.
I grattacieli della City, i mille cantieri aperti ovunque, una nuova architettura che non aggredisce la storia ma ne conserva le facciate.
Piccadilly, la gioia di esserci di migliaia di persone; un pranzo a Kensington; Notting Hill, il West End e CamdenTown.
E chissà quant’altro.
…
E’ ora di tornare. A casa. 13 luglio 2018; ci svegliamo alle cinque del mattino. Il ritorno è sempre mesto. Facciamo l’itinerario al contrario: Londra, Dover, Calais, Parigi. Un altro treno, questa volta per Strasburgo: di corsa, dalla Gare du Nord a Gare de l’Est. Dopo 14 ore di viaggio siamo a Strasburgo, dove ci fermiamo due giorni. Una capatina a Colmar (no, non ci fanno i piumini): un gioiello dell’Alsazia con le sue antiche costruzioni e i suoi canali adornati da antiche e variopinte case in legno. Bellissima.
Poi ancora più a Sud. Da Strasburgo a Basilea, da Basilea a Berna. Sosta di una notte. L’Italia è dietro l’angolo: il 16 luglio Berna, Milano, Roma. Casa.
Certo, se avessimo preso un aereo a Fiumicino sarebbe stato tutto diverso. Già, sarebbe stato tutto diverso. Non avremmo attraversato l’Europa da Sud a Nord e ritorno su treni maleodoranti e scioperi improvvisi dei ferrovieri francesi, non ci saremmo imbattuti nei volti di centinaia di viaggiatori e non avremmo affrontato la calca del viaggio, gli alberghi vicino alle stazioni e le storie silenziose, i paesaggi dal finestrino e i fischietti del capotreno. La vita. Perché il viaggio è vita e la paura talvolta è un alibi per vivere come si vuole.
*GIUSEPPE CASCIARO (Sono nato il 17 maggio 1960 a Corigliano Calabro, in provincia di Cosenza. Vivo a Roma dal 1979 e faccio il giornalista dal 1981. Lavoro a Repubblica dal 1989, da sempre deskista, uno di quelli che organizzano il lavoro degli altri, senza mai scrivere una riga se non titoli o sommari. Sono caporedattore da 16 anni. Mi piace viaggiare. Ma, come avrete capito, a modo mio)
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