Un "Carnevale" sannita, la caccia al Cervo di Castelnuovo a Volturno

foto e testo di STEFANO ARDITO*


Nei giorni più freddi dell’anno, in un borgo di montagna del Molise va in scena una rappresentazione suggestiva. Siamo a Castelnuovo a Volturno, ai piedi delle Mainarde, al margine meridionale del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Ma il paesaggio, qui, è molto diverso da quello intorno a Pescasseroli o a Scanno.

Al posto delle faggete imbiancate dalla neve dell’inverno, si estende un paesaggio mediterraneo, con campi, lecci e ulivi. Più in alto, circondate da boschi di querce, sono le rocce del Monte Marrone, che nel marzo del 1944 ha visto la prima battaglia degli Alpini, schierati a fianco degli Alleati, nella campagna per la liberazione dell’Italia dalle armate di Hitler.


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(Martino e i due cervi)


Nella celebrazione de Gl’ Cierv’, “il Cervo” nel dialetto della zona, le cannonate di settantotto anni fa non ci sono. L’ultima domenica di Carnevale, poco dopo il tramonto, la musica di fisarmoniche e zampogne accompagna una battaglia diversa, più antica. L’attacco di un cervo infuriato, che simboleggia la natura selvaggia, contro la vita e il lavoro dell’uomo.  

Forse il rito del cervo era già celebrato venticinque secoli fa, quando l’alta valle del Volturno è stata duramente contesa tra i Sanniti e le legioni dell’Urbe. Certamente, un uomo che indossava un copricapo con le corna partecipava ai Lupercalia, le feste dell’antica Roma che si svolgevano a febbraio, e che invocavano la protezione delle greggi dai lupi.


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(La vestizione del Cervo)


“Nei Pirenei, l’uomo-cervo era uno stregone che imitava un comportamento animale per propiziare una proficua caccia. Figure di questo tipo, in altre culture rurali, sono diventate il diavolo, il mostro o l’uomo selvatico” spiega l’antropologo e musicista Mauro Gioielli nel suo libro L’Uomo Cervo.

Fino a un secolo fa, riti come quello di Gl’ Cierv’ si celebravano anche in altri paesi. A Castelnuovo a Volturno la tradizione è stata ripresa nel 1986, dopo anni di abbandono, grazie a un gruppo di appassionati di tradizioni locali coordinati dal musicista Ernest Carracillo.

Negli anni successivi, anche grazie al regista Pierluigi Giorgio, la rappresentazione è stata arricchita. Il risultato è un rito di grande suggestione, che si svolge sullo slargo all’ingresso del borgo medievale.



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(Il Cacciatore e il Cervo abbattuto)


Prima dell’entrata in scena, una truccatrice trasforma due giovani nel Cervo e nella Cerva, le maschere principali del rito. Concludono la vestizione del Cervo una giacca di pelliccia e un pesantissimo copricapo sul quale sono state fissate delle corna raccolte nei boschi.

Lo spettacolo va in scena alla luce di riflettori e fiaccole, dopo che l’ultima luce ha lasciato le rocce del Monte Marrone. Ernest Carracillo (che suona l’organetto, una piccola fisarmonica) e altri musicisti accompagnano lo spettacolo.

Il rullo dei tamburi prepara all’arrivo del Cervo infuriato, che scende dalla montagna e si scaglia contro uomini e donne del villaggio. Poi arriva la Cerva, che calma il maschio, e intreccia con lui una danza d’amore. Poi il Cervo si ribella di nuovo, e la sua furia contagia la Cerva, che inizia a sua volta a devastare i campi e ad attaccare gli umani.

Per placare i due animali entra in scena Martino. In altre rappresentazioni questa maschera, simile a Pulcinella, serve a far ridere. A Castelnuovo a Volturno simboleggia la forza benefica che la comunità chiama a propria difesa contro l’aggressione del Cervo.  


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(Il falò finale)


Martino, armato di un bastone, lotta a lungo contro il Cervo e la Cerva. Alla fine, aiutato dai paesani, riesce ad accalappiare i due animali, che cadono a terra stremati. Quando il Cervo e la Cerva si ribellano ancora una volta, l’unico modo per fermarli è la morte.

Per eseguire la sentenza entra in scena il Cacciatore, un uomo in costume che si avvicina lentamente, imbraccia il fucile e uccide i due animali ribelli. Ma l’immagine ne nasconde un’altra. Il Cacciatore è in realtà uno sciamano, che sa dare la morte e restituire la vita.

Dopo averli abbattuti, si avvicina al Cervo e alla Cerva, e soffia loro nelle orecchie. I due animali si rialzano, si guardano intorno. Poi, storditi ma purificati dal male, tornano verso il bosco.

Alla fine del rito, nella piazza di Castelnuovo a Volturno viene acceso un enorme falò. Intorno alle fiamme ballano le Janare, le streghe, vestite di pelli e campanacci. Dirige la danza il Maone, uno stregone vestito di pelli.


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(Castelnuovo a Volturno)


Secondo la tradizione le Janare sono creature feroci. Hanno poteri soprannaturali, sono parenti dei lupi mannari, succhiano come vampiri il sangue dei bambini. Nella festa di Castelnuovo, però, non sono una minaccia ma arricchiscono con un’ultima coreografia lo spettacolo.

A un ordine del Maone, le streghe abbandonano la piazza. Tra qualche settimana, la primavera tornerà a colorare l’alta valle del Volturno e i suoi monti. Per un anno, grazie al rito celebrato a Carnevale, l’uomo e la natura potranno convivere in pace.

 

Quest’anno, in ossequio alle norme contro il Covid-19, la rappresentazione di “Gl’ Cierv’” non avrà luogo. Una scelta probabilmente inevitabile, ma dura da accettare per la gente di Castelnuovo a Volturno, che intorno alla festa ha ritrovato la sua identità. Appuntamento al Carnevale 2023!

 

 *STEFANO ARDITO (E' noto ai camminatori per le sue guide dedicate ai sentieri dell’Appennino e delle Alpi. Giornalista, scrittore, documentarista, scrive per Il Messaggero, Meridiani Montagne, Plein Air e il sito Montagna.tv e Plein Air. Ha lavorato per Airone, Repubblica, il Venerdì, Specchio de La Stampa e Alp. E’ autore di circa 60 documentari, in buona parte trasmessi da Geo&Geo di Rai Tre. Tra i suoi ultimi libri sono Alpi di guerra, Alpi di pace, Premio Cortina Montagna 2015, e Alpini, finalista al Premio Bancarella 2020, entrambi editi da Corbaccio. Ha raccontato di Darjeeling e della cima più alta della Terra in Il gigante sconosciuto - Corbaccio, 2016 - dedicato al Kangchenjunga, e in Everest - Laterza, 2020 -, che celebra i cent’anni della prima spedizione britannica).


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