Tratturi, bracci e tratturelli, la transumanza a piedi fra Abruzzo e Molise
di TINA PANE*
Sono poco meno di 115 chilometri, e in auto bastano due ore: da Pescasseroli a Campobasso, la prima ridente e nota località turistica in provincia dell'’Aquila, la seconda misconosciuto capoluogo della regione Molise, un toponimo che a volte si fatica a localizzare.
Ed è quasi la stessa distanza, 112 chilometri divisi in sei tappe da un giorno, se questo percorso decidiamo di farlo a piedi, seguendo la storica Via dei Tratturi. Ora si può, in sicurezza e con tutte le indicazioni utili, grazie a un libro pubblicato recentemente da Ediciclo, La via del Tratturo a piedi - Da Pescasseroli a Campobasso in sei tappe, di Bruno Petriccione e Sarah Gregg (pag. 96, € 13,00).
I Regi Tratturi, ricordano gli
autori nell’introduzione, sono “il più imponente monumento della storia
economica e sociale dei territori dell’Appennino Abruzzese-Molisano e del
Tavoliere delle Puglie”. E ci spiegano, ripercorrendo velocemente millenni di
evoluzione, come la transumanza, iniziata con le grandi migrazioni di
ungulati selvatici almeno 12.000 anni fa, non sia altro che un comportamento
“adattivo” determinato dai cambiamenti del clima.
Grazie al fenomeno della transumanza, la pastorizia si sviluppa a partire dal 1400 a.C. nelle regioni montane dell’Italia centrale portando ricchezza e commercio. Nascono le prime grandi città italiche e infine arrivano i soliti Romani che per primi inquadrano quest’attività emettendo leggi che garantiscono l’uso libero delle grandi vie armentizie - tractoria, appunto - da cui è derivato il termine tratturo.
La fine dell’impero Romano, l’alternarsi delle dominazioni in quella zona d’Italia, il lungo governo dei Borbone e poi l’Unità d’Italia scandiscono periodi di maggiore o minore fortuna per la Via dei Tratturi, fino ad arrivare al 1912 quando il “Commissariato per la reintegra dei Tratturi” pubblica l’elenco ufficiale delle vie armentizie demaniali che comprende 12 tratturi, 60 tratturelli e 11 bracci per un totale di più di 3000 chilometri di strade e oltre 20.000 ettari di superficie (e all’epoca nel solo Abruzzo aquilano si contavano 8 milioni di ovini).
Ma un po’ alla volta, con l’avanzare dell’industrializzazione, le attività della pastorizia diminuiscono e cambiano le modalità di trasporto: i tratturi vengono abbandonati e le greggi trasportate con i carri bestiame ferroviari e poi con gli autocarri lungo statali che ricalcano i tragitti degli antichi tratturi.
Anche se è solo dal 2020 che la Via del Tratturo è entrata a far parte della Rete di Cammini della Compagnia dei Cammini, “la varietà di paesaggi, colture e culture, tradizioni, lingue, vegetazione, flora, fauna, climi e cibi che si incontra percorrendo il percorso tratturale è davvero impressionante”, concludono gli autori.
Ma “nei primi anni di vita di un cammino” - spiega nella prefazione Luca Giannotti, coordinatore del progetto - “percorrerlo è ancora più emozionante e avventuroso”. Perché la segnaletica è in via di approntamento e perché è un itinerario nato dal basso e senza risorse.
Nel paradosso, dunque, di un cammino antichissimo che però viene proposto a camminatori e turisti solo da poco tempo c’è anche la sfida di creare opportunità di sviluppo in questo tratto di Appennino in via di spopolamento, ma che ha una storia millenaria di fatica e sudore, di semi-nomadismo e infine di libertà, perché “i pastori abruzzesi e molisani viaggiavano, conoscevano persone e culture diverse, e riportavano a casa il loro vissuto”.
(La via del
Tratturo a piedi di Bruno Petriccione e Sarah Gregg Ediciclo pagg 96 € 13,00)
Per ognuna delle sei tappe, il libro fornisce tutte le indicazioni utili relativamente a descrizione del percorso, distanze e dislivelli, tempi di percorrenza, grado di difficoltà e indirizzi per mangiare e pernottare. Il periodo migliore per cimentarsi è proprio settembre, mese nel quale le greggi partivano da Pescasseroli per poi ritornarvi poco prima dell’estate. Dunque, ad averci ancora uno scampolo di ferie, è proprio ora il momento migliore per andare a conoscere in modo sostenibile questo pezzo d’Italia che merita attenzione e rivalutazione.
* TINA PANE (Napoli, 1962. Una laurea, un tesserino da pubblicista e un esodo incentivato da
un lavoro per caso durato
30 anni. Ora libera: di camminare, fotografare, programmare viaggi anche
brevissimi e vicini, scrivere di
cose belle e di memorie)
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