Terza tappa, Biella-Canale - Dalla Freccia nera alle "cattedrali" di Canelli
di CLAUDIO MERCANDINO*
Mancano 8700 metri all’arrivo quando il Pirata smette all’improvviso di pedalare e si ferma sul ciglio della strada, mentre gli altri corridori lo superano sulla salita che conduce al Santuario di Oropa, una dozzina di chilometri a nord di Biella. Marco Pantani scende, l’ammiraglia tarda ad arrivare, lui armeggia con la catena uscita all’improvviso dagli ingranaggi, perde una quarantina di secondi, la rimette a posto con le mani, balza in sella e riprende la sua gara. È il 30 maggio 1999. Comincia la rimonta più clamorosa e spettacolare del Giro d’Italia. Il Pirata sembra avere il turbo nelle gambe: davanti a sé ha quarantanove ciclisti, li supera uno a uno senza fatica apparente sull’asfalto ripido che s’inerpica tra i faggi in mezzo a due ali di folla.
Quando raggiunge Jalabert, in testa alla corsa, il
francese non può che guardarlo passare mentre lui sembra pedalare in pianura.
Vincerà per distacco (anche se sei giorni dopo sarà escluso dalla competizione
a causa degli elevati valori di ematocrito), un’impresa che gli varrà
l’intitolazione postuma della salita di Oropa: dopo la sua morte quegli undici
chilometri con ben 750 metri di dislivello saranno ribattezzati “Montagna
Pantani”. Una classica, visto che per sei volte il Giro ha concluso una sua
tappa sul porfido del santuario della Madonna Nera, ora tappa obbligata non
solo di pellegrini e turisti religiosi interessati a ex voto e Sacri Monti, ma
anche di molti appassionati che si cimentano nella scalata, punteggiata dalle
paline che a ogni chilometro ricordano i protagonisti della gara.
(Foto Giampiero Canneddu, Archivio città di Biella)
Il Giro 2021, però, pur nel ricordo del Pirata volge le spalle a Oropa e da Biella dirige le proprie ruote verso sud. Si parte da piazza Duomo, nel centro storico, su cui si affaccia anche il pregiato Battistero romanico del IX secolo, per poi imboccare via Italia, asse centrale della città e strada del passeggio. Sulla destra l’altura del Piazzo, l’antico nucleo medievale raggiungibile anche con una piccola funicolare, dove si possono ammirare diverse dimore nobiliari, tra le quali Palazzo La Marmora, appartenente alla famiglia dei fratelli Alessandro (fondatore dei Bersaglieri) e Alfonso Ferrero della Marmora, primo ministro del Regno. Ed è proprio del suo Gabinetto che fece parte un altro biellese illustre, Quintino Sella, ingegnere e docente di geometria e matematica, accademico dei Lincei, rigorosissimo ministro delle Finanze (sua l’impopolare tassa sul macinato), alpinista e “padre” del Club Alpino e della Società Geologica Italiana, proprietario con i fratelli del Lanificio Sella, un fabbricato ottocentesco in stile manchesteriano che si può vedere a poche centinaia di metri da qui, sulle rive del Cervo. Quasi di fronte, sulla sponda opposta, un altro ex stabilimento tessile, il lanificio Trombetta, ospita Cittadellarte, la fondazione-factory con cui Michelangelo Pistoletto, protagonista dell’Arte Povera e autore dei celebri “quadri specchianti” e delle sculture di stracci (una di queste, Peacock, copre di cenci proprio una bicicletta), ricerca un dialogo tra l’arte e ogni forma di attività umana, dalla moda al cibo.
(Palazzo La Marmora dal sito palazzolamarmora.com)
Pronti, via. A ogni pedalata cambia il paesaggio: dalle montagne i cui torrenti sono costellati da esempi di archeologia industriale, lasciti di un florido passato del settore tessile, ai capannoni che costeggiano la strada in leggerissima discesa verso la pianura padana. Alle porte della città si lambisce il millenario Ricetto di Candelo, un tempo rione fortificato destinato a custodire le scorte alimentari e ad ospitare la popolazione in caso di attacchi esterni, forse più noto al pubblico di oggi per essere stato negli anni 60 location dello sceneggiato La freccia nera e, pochi anni fa, del suo remake.
(Foto Giampiero Canneddu, Archivio città di Biella)
Il percorso della terza tappa passa poi a cinque chilometri dal lago di Viverone, con i suoi insediamenti palafitticoli subacquei risalenti all’Età del Bronzo e dichiarati patrimonio Unesco, e a circa quattro da Maglione, il paese trasformato in una galleria d’arte en plein air dal regista Maurizio Corgnati, ex marito di Milva, negli anni Ottanta inventore del Macam (Museo d’arte contemporanea all’aperto di Maglione): da allora decine di artisti – nomi come Maurizio Cattelan, Giò Pomodoro, Ugo Nespolo, Armando Testa – decorano con le loro opere (ad oggi oltre 160) le mura delle case e gli spazi pubblici del paese. Tra le tante, non poteva mancare una bicicletta: O pneu furou, scultura in ferro di Ricardo Campos Mota. Una passeggiata che vale una deviazione.
I corridori si sono appena scaldati quando la corsa rosa tocca Livorno Ferraris, che deve il suo nome allo scienziato Galileo Ferraris, studioso dell’elettromagnetismo e inventore del motore elettrico a corrente alternata, cui la cittadina ha dedicato un museo. Siamo sul limitare della zona delle risaie, che proprio tra aprile e maggio vengono allagate creando una spettacolare distesa di campi ricoperti d’acqua. La bicicletta, qui, è un oggetto ancora molto popolare, mezzo di trasporto diffuso sulle strade pianeggianti e associata alla memoria radicata delle mondine.
(Armando Testa, dal sito Macam.org)
La carovana del Giro punta decisamente verso il Monferrato, varca il Po a Crescentino e affronta le colline che la separano da Asti, un “Barberashire” fatto di piccoli borghi abbarbicati su pendici e cocuzzoli, campi e vigneti, chiese e cascinali (capannoni pochi), castelli e palazzotti. Lasciatasi alle spalle Portacomaro (comune di origine dei nonni di Papa Francesco, dove metà degli abitanti si chiama Bergoglio), si giunge infine ad Asti, città dove ogni cosa parla del figlio illustre Vittorio Alfieri (la sua casa museo merita una visita, sulla piazza triangolare a lui intitolata si corre il Palio), ma dove in questi giorni si evoca soprattutto il leggendario Giovanni Gerbi, vittorioso pioniere delle due ruote, il “Diavolo rosso” così ribattezzato per l’invettiva di un parroco che se lo vide piombare in bicicletta, con la sua maglia vermiglia, nel mezzo di una processione («Chiel-lì a l’è ‘n diau», costui è un diavolo), e che viene celebrato dall’omonima canzone dell’astigiano Paolo Conte: «Diavolo Rosso dimentica la strada / vieni qui con noi a bere un’aranciata».
(Ricetto di Candelo dal sito ricettodicandelo.it)
Con nelle orecchie il sottofondo dell’avvocato-chansonnier –
dal «naso
triste da italiano in gita» di Bartali ai sax che «spingevano a fondo / come ciclisti
gregari in fuga» di Boogie fino alla bici che «si declama / come una
poesia per volare via» di Velocità silenziosa – e negli occhi
l’istantanea mossa e colorata del corteo a pedali che sfreccia per le vie del
centro, si può approfittare per uno sguardo alla bella Cattedrale gotica di
Maria Assunta e San Gottardo e alla Collegiata di San Secondo, una visita al
maestoso Palazzo Mazzetti (che, oltre alla Pinacoteca Civica, ospita
attualmente una mostra delle arazzerie astigiane Scassa e Montalbano), un
passaggio alla torroneria-cioccolateria Barbero, gestita dai nipoti di Gerbi
nei locali che ospitavano la fabbrica di biciclette del “Diavolo rosso”, del
quale sono anche esposti i cimeli.
(Giò Pomodoro, dal sito Macam.org)
Usciti da Asti, il tracciato di tappa comincia un percorso assai mosso, con i saliscendi collinari tra borghi e vigneti che risalgono fino all’Alta Langa per poi tornare a nord verso il traguardo descrivendo una sorta di “ricciolo”. I luoghi attraversati sono punteggiati di castelli e campanili e densi di storia e di cultura enogastronomica (non per nulla i paesaggi vitivinicoli di Langhe e Monferrato sono da alcuni anni patrimonio Unesco) e, mentre i fondovalle appaiono urbanizzati e abbastanza trafficati, basta scartare dalla strada principale e salire sui colli un po’ più fuori mano per ritrovarsi in un mondo sospeso tra presente e passato.
Ma il presente incombe, e ha l’aspetto di una carovana di corridori che pedalano per raggiungere Canelli, la capitale dell’Asti Spumante. Ai piedi del Castello Gancia vi si può visitare il suggestivo rione medievale Villanova ma, nonostante il richiamo di chiese e edifici storici, il vero tesoro di Canelli è nel sottosuolo: sono le sue “cattedrali sotterranee” scavate nel tufo, venti chilometri di cantine dove milioni di bottiglie riposano a temperatura costante. Se ci si capita all’ora di pranzo, vale la pena assaggiare qualcuno dei piatti tipici della zona: dalla finanziera alla lingua al verde, dal vitello tonnato ai ravioli del plin, dalla batsoà (dal francese bas de soie, calza di seta, zampetti di maiale bolliti, fatti a tocchetti, impanati e fritti) alla torta di nocciole.
I cultori di Cesare Pavese non possono evitare una diversione a Santo Stefano Belbo, paese natale dell’autore de La luna e i falò, per una sosta alla casa museo dello scrittore e al Santuario della Madonna della Neve, da dove il 4 agosto di ogni anno viene dato il segnale per i suggestivi falò propiziatori che, raccontati nel capolavoro pavesiano, illuminano le colline tutto intorno: «”Chi sa perché mai”, dissi, “si fanno questi fuochi”. Cinto stava a sentire. “Ai miei tempi”, dissi, “i vecchi dicevano che fa piovere… Tuo padre l’ha fatto il falò? Ci sarebbe bisogno di pioggia quest’anno… Dappertutto accendono il falò.” “Si vede che fa bene alle campagne”, disse Cinto. “Le ingrassa.”»
(Maurizio Cattelan, dal sito Macam.org)
Ripresa la via e sfiorate Cortemilia, patria della nocciola “tonda gentile”, e Roccaverano, con le sue rinomate robiole Dop, i manubri piegano verso nord. I “girini” costeggiano le colline del Barolo sotto lo sguardo del Castello Grinzane-Cavour (che ospita un piccolo museo dedicato all’antico proprietario Camillo Benso e la prima Enoteca regionale, fondata nel 1967) e sbarcano ad Alba, città del tartufo ma anche dello scrittore Beppe Fenoglio e di Pinot Gallizio, artista situazionista creatore della “pittura industriale”: entrambi sono raccontati dalla casa museo di piazza Rossetti dove l’autore de Il partigiano Johnny viveva e ha scritto buona parte dei suoi libri, e della quale un piano è stato dedicato al pittore. Ma anche qui, malgrado la bella Cattedrale e le superstiti delle antiche “cento torri”, Alba conserva sotto terra le sue sorprese più curiose: sono i trentadue siti archeologici romani e medievali di “Alba Sotterranea”, i resti di templi, selciati, mosaici, del foro, dell’anfiteatro visitabili sotto le strade e i marciapiedi.
(Le "cattedrali" di Canelli dal sito paesaggivitivinicoliunesco.it)
Attraversando velocemente la città, poco dopo la piazza dedicata a Michele Ferrero (anima dell’omonima industria dolciaria e “padre” della Nutella) i corridori sfiorano il leggendario sferisterio Mermet, definito da Giovanni Arpino “il Maracanà delle Langhe”, teatro di epiche sfide di pallapugno celebrate anche dai grandi scrittori subalpini; come Fenoglio, che descrive «il suono della palla battuta e ribattuta contro la muraglia, le voci e lo scalpiccio degli spettatori eccitati» e racconta che «a veder le partite e a scommettere c’era sempre tanta gente, tutti oziosi, vecchi e giovani». Fino a pochi anni fa non era infrequente sbucare sulla piazza di un qualunque paesino delle Langhe e imbattersi con sorpresa in una partita alla pantalera, la versione “di strada” del balon: uno spettacolo ormai raro, anche se questo sport, che nell’immaginario di questo pezzo di Basso Piemonte è stato soppiantato ormai da decenni proprio dai nuovi campioni del ciclismo, ha avuto i suoi eroi, grazie ai quali anche un minuscolo paese come Gottasecca, patria del dodici volte campione Felice Bertola, poteva sentirsi capitale a dispetto dei suoi neanche quattrocento abitanti.
(Ugo Nespolo, dal sito Macam.org)
La tappa volge al termine, i ciclisti passano non lontano da Pollenzo, con la storica Agenzia sede dell’Università di scienze gastronomiche promossa da Slow Food, per poi tagliare il traguardo a Canale, patria del vino rosso Roero e del bianco Arneis, famosa per la coltura delle pesche, alcune varietà delle quali sono inserite nell’Arca del Gusto di Slow Food. A pochi chilometri da qui, a Bra, si può visitare un piccolo Museo della Bicicletta che, tra bici d’epoca, fotografie, articoli e tanti altri oggetti, espone la maglia della Ursus indossata da Bartali e quella della Bianchi del rivale Coppi, quelle iridate di Saronni, Roche, Bugno, Cipollini e Bettini, le maglie gialla e rosa del Tour e del Giro vinti da Pantani nel 1998. L’anno prima della storica rimonta del Pirata a Oropa.
*CLAUDIO MERCANDINO (Otto anni a l’Unità, trenta a Repubblica la maggior parte dei quali trascorsi al desk. La sahariana di Marcello Alessandri gli ha mostrato da bambino il fascino del giornalismo, la predilezione per il gioco oscuro del mediano ha fatto sì che sul focoso Mercandin-Chisciotte prevalesse un Mercandin-Sancio da scrivania. Ha abbracciato effimere passioni tardive per lo sci e l’arbitraggio, ne coltiva di più solide per i gatti, la panificazione domestica e i viaggi in moto. La più coinvolgente e duratura, però, è quella per le rime e i giochi di parole)
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