Tasmania, storia di poveri Diavoli

di ANNAMARIA PASSARO*

Non so da dove cominciare. La Tasmania ha visto molti tipi di “diavoli”. Vorrei parlare del più simpatico tra tutti, di una bestiola che non è affatto diabolica. Ma non posso dimenticare gli altri poveri diavoli, quelli veri. Conservo indelebile il ricordo di ciò che ho visto e letto riguardo alla storia relativamente recente di quest’isola. Un paese meraviglioso, testimone di ogni genere di violenze dell’uomo sull’uomo, costellato di siti che ricordano la vita (e la morte) di decine di migliaia di deportati dalla madrepatria. Incarcerati, sfruttati e abusati, e alcuni perfino impiccati quand’erano ancora bambini, per gravissimi crimini quale il furto di una pagnotta da un banco del mercato, unico rimedio contro la fame nera.  Per non parlare della sorte degli aborigeni, andati incontro a rapida estinzione dopo l’arrivo dei primi europei. In uno di questi siti, in ricordo della “colonizzazione”, una lapide reca incise queste parole: “More sinned against than sinning” (“Si è peccato contro di loro più di quanto non abbiano peccato loro stessi”).

lapide per deportatijpg(Lapide per i deportati          foto di Annamaria Passaro)

La Tasmania ha anche subìto la devastazione dell’ecosistema originario, dovuta all’introduzione di specie floreali e faunistiche estranee, che ne hanno alterato l’equilibrio con la conseguente estinzione di migliaia di specie endemiche incapaci di competere con quelle intrusive. Non poteva mancare neppure l’introduzione della caccia alla volpe. Ciononostante, rimane una terra affascinante, con una vegetazione lussureggiante e una fauna unica nel suo genere.

 Ma torniamo alla nostra bestiola.

attenti al diavolojpg(Attenti al Diavolo         foto di Annamaria Passaro)

Il diavolo della Tasmania è diventato famoso grazie ai cartoon che lo hanno descritto come un simpaticone, ferocemente affamato. E’ stato disegnato grande, possente e velocissimo. Quando ne ho visto uno dal vero non volevo credere ai miei occhi: non aveva nulla o quasi che corrispondesse all’idea che m’ero fatta.Immaginatevi un cagnolino cicciottello di taglia medio/piccola (quella di un Jack Russel o poco più), con una vista quasi inesistente e un olfatto straordinario. Lo hanno chiamato “diavolo” perché esce prevalentemente di notte, alla ricerca di carogne, di cui sente l’odore a distanza di miglia. Fa un rumore inquietante con la gola, soprattutto quando si avventa sul cibo: “arfff, growl, grumpf…”. Posso immaginare il terrore dei primi occidentali, quando ne udivano nel buio le urla diaboliche e il sinistro suono della carne lacerata e strappata con i denti.

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(Il Diavolo annusa          foto di Annamaria Passaro)

Per di più, questa bestiola ha un pessimo carattere, che il colore del mantello – nero come il carbone – fa sembrare ancor peggiore di quanto in realtà non sia. Eppure, quando l’ho vista per la prima volta, mi ha fatto una tenerezza incredibile. Dopo le stragi dei secoli scorsi (venivano cacciati perché predavano galline e conigli), adesso sono animali protetti, a serio rischio di estinzione. Hanno un sacco di sfortune. Come s’è detto, sono quasi ciechi, e d’altra parte la vista servirebbe pochissimo a un animale notturno che si ciba prevalentemente di carogne di altri animali, spesso finiti sotto le ruote dei veicoli di passaggio, dei quali gli stessi diavolini rimangono poi vittime, quando si fermano a consumare il pasto direttamente sulla strada, lì dove l’hanno trovato.

Per contendersi il cibo, si mordono tra loro: questo ha provocato la diffusione di una malattia, un raro cancro trasmissibile che colpisce il musetto. Per loro somma sfortuna, i morsetti sul muso sembrano essere anche una forma di socializzazione e di corteggiamento, il che contribuisce alla rapida diffusione del morbo. È questa attualmente la minaccia più grave alla loro sopravvivenza. Fortunatamente esistono numerosi centri di riproduzione in cui vengono allevati esemplari non colpiti dal tumore, e a est di Hobart (la capitale regionale) lo stretto istmo che conduce a una estesa penisola è stato tagliato da un canale, in tal modo creando una vasta area isolata dove vengono ospitati esclusivamente esemplari sani, che possono così vivere e riprodursi in un ambiente per loro più naturale, anche se protetto. 

benevenuti a Hobartjpg(Gemellaggio con L'Aquila. A Hobart nacque Errol Flynn            foto di Annamaria Passaro)

Nei vari centri di riproduzione che ho visitato, la cosa che mi ha colpito di più è la quasi totale cecità di questi animaletti. Non mi vedevano, ma mi annusavano. Anche al di là della bassa staccionata che delimitava il loro recinto, il loro naso palpitava per capire chi fossi. Se qualcuno si avvicinava a me per osservare la scena, le bestiole rimanevano chiaramente disorientate dal sovrapporsi di diversi odori: muovevano in continuazione la testa da una parte all’altra, continuando ad annusare, per cercare di capire quante diverse persone si trovassero lì in quel momento. Lo stesso ranger, entrando nel recinto con la razione quotidiana di cibo, aveva dovuto allungare la punta di un piede verso di loro, per farsi riconoscere dall’odore delle suole dello scarponcino. Sono totalmente indifesi in questo mondo di strade, automobili e luci.

 Un ranger ci ha voluto dare una dimostrazione della potenza del morso di questi animaletti. A uno di loro ha fatto addentare un grosso osso, che ha poi sollevato a un metro da terra. Il diavolino non ha mai pensato per un solo istante di mollare la presa, lasciandosi sollevare insieme all’osso. Pare che la forza esercitata dai muscoli della mandibola sia paragonabile a quella delle iene: gli ossi delle carogne sono parte integrante del pasto, e vengono triturati e ingeriti finché non ne rimane piú nemmeno l’ombra. 

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(Il morso del Diavolo       foto di Annamaria Passaro)

Nonostante la propensione di queste piccole belve ad addentare tutto ciò che di commestibile capiti loro a tiro, alcuni temerari sono riusciti a conquistare la loro fiducia, e addirittura ad accarezzare i piccoli nel marsupio senza ritrovarsi con un dito troncato di netto, o con un braccio fratturato dal potente morso della madre. 

La Tasmania, come l’Australia, è abitata da animali straordinari: canguri, wallaby, vombati, opossum, echidne, ornitorinchi e molte altre specie meno note, ma non per questo meno interessanti. La maggior parte dei mammiferi sono dotati di marsupio, il rifugio sicuro che i piccoli – nati allo stato embrionale – devono riuscire a raggiungere da soli subito dopo il parto, aggrappandosi al pelo della madre, per rimanervi fino al completamento dello sviluppo.

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(Cucciolo di vombato      foto di Annamaria Passaro)      

 Innumerevoli volte ci è stata ricordata la procedura di pronto soccorso da seguire quando ci si imbatte in un animale investito da un veicolo: mai estrarre gli eventuali cuccioli dal marsupio, perché non riuscirebbero a sopravvivere; la vittima va portata, morta o ferita che sia, al più vicino “Wildlife Sanctuary”, dove il personale specializzato si prenderà cura dei piccoli – e della loro mamma, se ancora viva. Frequentissimi, purtroppo, gli investimenti di animali, e di conseguenza assai capillare la rete dei “Wildlife Sanctuary”.In uno di questi ho fatto un incontro del tutto improbabile. Appena entrata nella baracca di legno che funge da biglietteria e da negozio di souvenir, il ranger mi squadra e mi dice: “Tu sei italiana”. Al che io: “Sì, certo, ma come hai fatto a capirlo?”. Questa la sua pronta spiegazione: “Sai, ho una fidanzata a Bergamo...”. E io ancora: “Non posso crederci. Ma ti voglio mettere alla prova. Come si dice ‘vino’ in dialetto bergamasco?”. Risposta immediata: “Vì”. Prova superata.

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(Echidna       foto di Annamaria Passaro)

E’ divertente vedere come il marsupio di alcune specie di animali si sia adattato alle loro abitudini di vita. Mi hanno sorpreso soprattutto i vombati: hanno la tasca a rovescio, con l’apertura che guarda verso la coda,invece che verso il petto. Essendo abituati a scavare lunghi cunicoli sotterranei dove rintanarsi, se il marsupio si aprisse sul davanti esso si riempirebbe rapidamente di terra, durante lo scavo, e i piccoli finirebbero sepolti vivi...

 Altra curiosità sono i monotremi, mammiferi ovipari – ossia che depongono le uova! L’echidna adulta è coperta di aculei come i ricci, ma alla nascita sembra un omino di plastilina completamente nudo, che pare uscito da un cartone animato. Le uova vengono incubate in una borsa cutanea, dove i piccoli rimangono dopo la schiusa, nutrendosi del latte materno. L’ornitorinco, invece, le uova le cova nel nido, proprio come se fosse un uccello. Alla schiusa i “pulcini” si aggrappano al pelo della madre, dove trovano un luogo sicuro dove crescere e nutrirsi del latte secreto dalle ghiandole mammarie.

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(Tigre della Tasmania        foto di Annamaria Passaro) 

Nel museo di storia naturale di Melbourne mi ha molto colpito la sezione dedicata agli animali estinti. Tra questi, impagliato, l’ultimo esemplare di tilacino, o tigre della Tasmania, morto negli anni Trenta del secolo scorso. In realtà è da tempo che si sente parlare di tilacini sopravvissuti miracolosamente fino ai giorni nostri, nelle aree più remote e selvagge della Tasmania (la cui metà occidentale è quasi del tutto disabitata e priva di strade), ma finora nessuno dei presunti avvistamenti è stato documentato in maniera convincente. Comunque, le speranze di scoprirne qualche esemplare vivo non sono del tutto perdute, neppure per i naturalisti più scettici.

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(Piccoli di emù      foto di Annamaria Passaro)

 La mia visita della Tasmania è stata costellata dai resoconti della visita ufficiale di Carlo d’Inghilterra e della moglie Camilla, trasmessi a tutte le ore del giorno e della notte dai telegiornali locali. Ogni mattina la prima pagina dei quotidiani era occupata dalle foto della coppia reale che reggeva e coccolava ora un canguro, ora un koala, ora un vombato, ma mai un diavolino (evidentemente all’erede al trono serviranno tutte e dieci le dita, quando dovrà far fronte al gravoso compito di tenere unito il regno). Visita faticosissima, per il principe di Galles e la consorte: non so quante birrerie siano stati richiesti di inaugurare, quanti ettolitri di vino siano stati invitati a degustare, e di quante pecore siano siano stati costretti a iniziare la tosatura. I sudditi del Commonwealth sembravano elettrizzati dalla loro presenza nel paese. Ovunque sventolavano striscioni di benvenuto.

port arthur deportatijpg(L'ex colonia penale di Port Arthur       foto di Annamaria Passaro)

Non così unanime, invece, il consenso per la contemporanea visita di Hillary Clinton all’università di Perth, dov’era stata invitata a tagliare il nastro del neonato centro di studi geopolitici (orientato ai paesi affacciati sull’Oceano Indiano), che si sarebbe affiancato a quello pre-esistente di Sydney (orientato invece ai paesi affacciati sul Pacifico). Negli stessi minuti in cui la Segretaria di Stato affermava che“it's important that we make absolutely clear we are here to stay” (ossia “è importante mettere bene in chiaro che siamo venuti qui per rimanerci” – con grande enfasi su quello “stay”), all’altro capo del continente l’ex primo ministro Paul Keating attaccava duramente la politica estera del governo, orientata a costruire insieme con l’alleato americano una sorta di “cordone sanitario” intorno alla Cina, del quale i due centri di studi geopolitici erano diretta espressione. Quando invece – a suo parere – sarebbe stato assai più produttivo intensificare i rapporti di partnership con i paesi vicini, per creare una comunità indo-pacifica di stati insulari.

 Chissà quale delle due tesi avranno deciso di sposare, dopo approfondita discussione, i poveri diavolini della Tasmania...


*ANNAMARIA PASSARO (nata a Milano nel 1955 da famiglia napoletana. Laureata in Filosofia, illustratrice. "Onirico ironica" è la definizione che amo e che mi diede l' amatissimo agente Marcelo Ravoni (Quipos) ) 


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