Storia dei Rolli, foresterie per re e regine nella Genova dei Dogi

di MASSIMO RAZZI*

I rolli sono uno squarcio meraviglioso di Genova.  E, per pura combinazione, nella settimana 19-23 maggio 2020 sono “virtualmente” visitabili nell’ambito della Rolli Days Digital Week  

 

C’è una Genova misteriosa e poco nota (in parte anche ai genovesi), una Genova nascosta dietro le facciate di splendidi palazzi un po' come "i lini e le vecchie lavande" di Creuza de ma. Anzi, una Genova fatta proprio di quei palazzi: belli per l’architettura e l’arte che racchiudono, ma anche significativi per il pezzo di Storia che rappresentano.

E’ la storia dei  Rolli, i 163 palazzi nobiliari genovesi che tra il 1576 (52 palazzi) e il 1644 (95 edifici) vennero iscritti nei Rolli (ossia rotoli) tenuti presso la Repubblica di Genova. Queste splendide magioni nobiliari venivano messe a disposizione della Repubblica perché vi potessero essere ospitati personaggi di passaggio in città. Gli elenchi sono cinque, gli altri tre risalgono al 1588 (111 palazzi), 1599 (150)  e 1614 (96).

rolli 40JPG

(Palazzo Gambaro          foto di Fabio Bussalino)

I rotoli erano divisi in quattro "bussoli" che, praticamente, identificavano una categoria (in base a una specie di "tripadvisor" dell’epoca). Nella prima si potevano ospitare re, papi o principi del sangue; nelle altre (due o tre) venivano accolti duchi, marchesi, cardinali e via scendendo di lignaggio fino ai facoltosi commercianti ai quali la Repubblica teneva come e più che ai nobili. La settimana dal 19 fino al 23 maggio è stata dedicata al Rolli Days Digital Week con una serie di iniziative e visite virtuali che raccontano la magnificenza di alcuni di questi palazzi. Dal gennaio del 2007, i rolli e il sistema storico-sociale che rappresentano sono stati messi sotto la protezione dell’Unesco. Una targa in via Garibaldi (la famosa Strada Nuova o via Aurea i cui palazzi sono quasi tutti rolli) recita: "Le maggiori dimore, varie per forma e distribuzione, erano sorteggiate in liste ufficiali (rolli) per ospitare le visite di Stato. I palazzi, spesso eretti su suolo declive, articolati in sequenza atrio - cortile - scalone - giardino e ricchi di decorazioni interne, esprimono una singolare identità sociale ed economica che inaugura l'architettura urbana di età moderna in Europa".

Nel rollo del 1588 (quello a cui di solito si fa riferimento) i palazzi che potevano ospitare re e papi erano tre: quello di Gio Batta D'Oria, in salita Santa Caterina all’angolo con via Roma, oggi sede della Provincia di Genova; il Palazzo Doria-Tursi in via Garibaldi da sempre sede del Comune di Genova e noto a tutti i genovesi semplicemente come "Palazzo Tursi" ( o "Tursi") e il Palazzo Lercari, all’inizio di via Garibaldi sullo stesso lato di Tursi, forse meno famoso ma che nasconde al suo interno chicche meravigliose, compresi un giardino pensile, un ninfeo e un minareto arabeggiante.

I palazzi  hanno quasi sempre un cortile interno cui si accede attraverso una scalinata marmorea o un passo carrabile (allora nel vero senso della parola). Da lì parte un'altra scalinata che porta alla loggia principale, in genere una balconata rettangolare sulla quale si aprono meravigliosi saloni. Nel caso di via Garibaldi, gli edifici vanno poi a "incastrarsi" (spesso tramite meravigliosi giardini pensili) nella collina di Castelletto che sovrasta la strada Aurea nel lato a monte. Sale e saloni esprimono la magnificenza e la ricchezza di Genova, che a quel tempo dettava legge nel Mediterraneo, batteva moneta e aveva in mano (attraverso i suoi banchieri) il "debito" di principi e re di mezza Europa.

rolli 35JPG

(Palazzo Pantaleo Spinola         foto di Fabio Bussalino)

Ma dietro agli edifici c’è una concezione assolutamente originale di città, di comunità e di potere politico. Quella dei rolli è la Repubblica aristocratica di Andrea D’Oria in cui nobili, banchieri e possidenti dettavano legge. Ma tutti questi potenti avevano un limite nel potere e nell'interesse della Repubblica e la storia dei rolli ne è la plastica rappresentazione. Intanto, se avevi un bel palazzo (e, quindi, eri ricco) era nel tuo interesse - ne avevi in cambio prestigio - "iscriverlo" nei rolli e metterlo a disposizione della comunità per ospitare i grandi di passaggio. E, siccome eri genovese e un tornaconto da qualche parte doveva esserci, sapevi che ospitando un potente qualcosa te ne sarebbe venuto. Cosa? Ad esempio il fatto che la Repubblica ti chiedeva di osservare discretamente comportamenti, vizi e virtù del tuo ospite e di riferire a chi di dovere in modo che Genova potesse trarne vantaggio politico o economico. Ma lo scambio poteva essere anche bidirezionale: entrare in buoni rapporti con un re di passaggio poteva essere molto profittevole, e trasmettergli informazioni sugli usi e costumi locali poteva servire a guadagnarsi la sua regale riconoscenza.

Detto questo, va comunque sottolineato che gente straricca e strapotente doveva mettere casa sua a disposizione della Repubblica e dell’uso che questa decideva. Non male, per quei tempi, come senso dello Stato. 

rolli ge 59JPG

(Palazzo Doria De Fornari            foto di Fabio Bussalino)

Quei palazzi racchiudevano straordinarie ricchezze in termini di opere d’arte, vere e proprie pinacoteche note in tutto il mondo. La regina Elisabetta quando veniva in Italia voleva sempre fare un passaggio a Genova per visitare la fantastica quadreria conservata nel rollo di via Balbi 1 (Palazzo Durazzo Pallavicini) della marchesa Carlotta Cattaneo Adorno, quadreria contenente capolavori di Van Dyck, Rubens e persino Leonardo e Raffaello, che pochi studiosi al mondo hanno avuto l’occasione di vedere. Quasi sicuramente è a quella che fa riferimento Stendhal nelle "Mémoires d'un touriste" del 1838, quando racconta di essersi molto offeso perché, avendo chiesto di visitare una pinacoteca privata di via Balbi, gli venne risposto più volte che la marchesa era in casa e "oggi non si può…. Riprovi domani". Stendhal ci rimase molto male perché aveva poco tempo (ahi, il turista frettoloso….) e parlò male dei nobili genovesi nei loro palazzi.

Non sapeva, il grande scrittore francese, che ai tempi della Repubblica anche la marchesa Cattaneo Adorno (sui cui beni si diceva non tramontasse mai il sole) si sarebbe piegata ad ospitarlo se gliel’avesse chiesto il Doge.  


*MASSIMO RAZZI (Sono un giornalista genovese - l’Unità, Corriere Mercantile, Il Lavoro, La Repubblica, Kataweb - trapiantato a Roma. Dal 1999 mi sono molto divertito a creare insieme a tanti altri colleghi Repubblica.it. Credo ci abbiano lasciato fare quello che volevamo anche perché nessuno ci capiva granché. E questo, nell’unica vita che hai, vi assicuro che non è poco)


clicca qui per mettere un like sulla nostra pagina Facebook 

clicca qui per seguirci su Twitter 

clicca qui per consultarci su Linkedin

clicca qui per guardarci su Instagram