Stiffe d'Abruzzo, la grotta bambina

testo e foto di GABRIELLA DI LELLIO*

Il Parco Regionale del Sirente e del Velino prende il nome dai due massicci, entrambi alti più di duemila metri. Ma è anche la casa di un mondo sotterraneo spettacolare, le Grotte di Stiffe, un complesso di origine carsica. Ci arrivo facilmente percorrendo una strada piuttosto selvaggia e poco curata, ma il percorso è breve, solo 15 chilometri da L’Aquila. 

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Della montagna ho sempre privilegiato la parte “di superficie” e in verticale, rispetto a quella ipogea, e delle grotte ho poca esperienza. Associazioni libere di pensiero attraversano la mente: dal mito della caverna di Platone alla favola di Aladino. La grotta è altrettanto magica. Il suo ingresso è molto ampio e coincide con il punto di uscita in superficie del fiume  Rio Gamberale, che nasce nell’altopiano delle Rocche e poi scorre sotterraneo per sei chilometri creando delle cavità carsiche, per ritornare alla luce con grande potenza proprio qui.

arrivando verso lingresso della grotta foto GabryJPG(L' ingresso delle grotte)


Sono arrivata venti minuti prima della mia prenotazione, come richiesto, e indosso scarpe antiscivolo, maglione e k-way, perché all'interno la temperatura è di 9°C costanti tutto l’anno e c’è dappertutto una terribile umidità. Ho appuntamento ad orario di apertura con Alessia Salvi, speleologa, una delle sei guide delle grotte, che mi dà il casco di protezione obbligatorio per entrare. 

Siamo all’inizio della forra, la gola profonda dove il fiume comincia a scorrere dalla grotta fino al paese di Stiffe. “Di questa grotta conosciamo solo la fine. E’ una ‘risorgenza’ attiva - dice Alessia, indicando di guardare in alto per vedere che la grotta segue la frattura della montagna - E’ diversa dalle grotte  di Frasassi o di Castellana che si formarono milioni anni fa. Questa è una grotta in piena evoluzione, una grotta ‘bambina’ perchè  il fiume 600.000 anni fa è entrato nella ‘frattura di faglia’ e ha cominciato a creare ‘doline’, le cavità carsiche”.


la curiosità   IL PANE DI CAPPELLI
 

 “Circa 10.000 anni fa - spiega - qui c’era un lago Pleistocenico che riempiva tutta la Valle dell’Aterno e abbassandosi di livello ha iniziato la sua azione erosiva portando l’ingresso della grotta al di sotto del lago. L’acqua defluiva al di sopra dove c’è una piccola grotta, la grotta dei Briganti, probabilmente l’uscita del fiume al tempo del lago Pleistocenico.” 

Il percorso è di di 700 metri in lunghezza e 695 di altezza, la visita dura circa un’ora. E’ possibile fotografare solo in alcuni punti perché la luce danneggia la grotta e qui il flusso di turisti è di 60.000 persone l’anno.

 Alessia Salvi Speleologa foto GabryJPG

(La speleologa Alessia Salvi)


Chi abita qui ha sempre saputo dell’esistenza della grotta, motivo per cui si parla di esplorazione recente. Agli inizi del ‘900 il marchese e senatore Cappelli di San Demetrio ne’ Vestini aveva pensato di utilizzarne l’acqua per costruire una centrale idroelettrica e chiuse l’ingresso della grotta con una diga,  facendo costruire una tubatura lungo tutta la forra,  la parte esterna che il fiume continua a scavare nella vallata.  Alla fine della seconda guerra mondiale i tedeschi in ritirata minarono diga e centrale e la grotta fu riaperta. I resti di quel progetto si possono vedere ancora oggi.


vecchie tubature ancora presenti allingresso della grotta foto GabryJPG

(Le vecchie tubature)

Nello stesso periodo in Italia nacquero i primi gruppi speleologici,  e nel 1956 iniziarono le prime vere e proprie esplorazioni con un  gruppo romano e uno marchigiano. Solo in un secondo momento si formò  un gruppo aquilano, ma è grazie a loro che si è scoperto quello che si conosce ora della grotta. Le esplorazioni sono proseguite in varie fasi e la parte più complicata del percorso turistico attuale è quella finale.


IL SITO DELLA VISITA

 

Stiffe è diventata turistica nel luglio 1991; fino al 1996 si arrivava solo alla cosiddetta Sala della prima Cascata; nel 1997 è stata aperta la seconda parte fino al Lago Nero. L'ultimo tunnel artificiale è stato  aperto nel 2007. In alcuni tratti la roccia è stata messa in sicurezza e sono stati realizzati in tutto 150 scalini e tre tunnel artificiali, con micro-cariche, per nascondere l’impianto elettrico che illumina la grotta.

tunnel artificiale foto Gabry JPG

(Uno dei tunnel artificiali)


Oggi la zona attiva è quella turistica, la zona fossile è speleologica. L’esatto contrario di quello che avviene nelle normali grotte turistiche. In superficie, l’acqua che arriva  nei  campi coltivati, nei pascoli e nei centri abitati  è costantemente monitorata, anche per proteggere l’interno della grotta. Il fiume è stato interrato negli anni ’70 nella attuale piazza del comune di Rocca di Mezzo generando più inquinamento. Tutta l’area è sotto il monitoraggio dell’A.R.T.A (l'Agenzia Regionale per la Tutela dell’Ambiente della Regione Abruzzo)  in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Ambientali dell’Università dell’Aquila, il progetto “Acqualife”, a cura della professoressa Galassi, biologa ed esperta di aree carsiche, per i campionamenti in grotta e lo studio delle evoluzioni. 

Siamo nel trentennale che non si potrà festeggiare a causa della pandemia, ma è stata appena deposta una targa FAI (Fondo Ambientale Italiano) come riconoscimento di “luogo del cuore”. 

 

Il percorso

 

Entriamo in corrispondenza di una grande cavità di otto metri,  che si apre su una parete rocciosa alta circa cento metri. Il fragore dell’acqua e l’uso della mascherina rendono difficoltoso l’ascolto ed il colloquio e procediamo  sulle passerelle dove prima si passava sulle rocce. Ci sono luci artificiali perché la grotta è buia.

“L’ingresso è sempre stato di queste dimensioni e gli abitanti del paese ci  entravano per scopi ludici o anche di esplorazione ma con tecniche non speleologiche. Siamo nella parte ‘giovane’ della grotta dove  le concrezioni non si sono ancora formate”, racconta Alessia.

 ingresso in grotta foto GabryJPG

(L’ingresso in grotta)


Siamo nella prima di una serie di sale. “Una grotta si crea per due azioni - spiega ancora la guida-speleologa -: quella di erosione del fiume, che può entrare da fratture orizzontali creando tunnel o da fratture verticali della montagna creando veri e propri canyon, e quella dei movimenti tettonici del passato  che hanno causato crolli importanti, dando origine alle cinque Sale. Ora la grotta è  geologicamente stabile.”


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L’età della grotta è “scritta” sulle sue pareti. “Una delle caratteristiche di questa  grotta sono i tre colori che ne raccontano la storia: il bianco è il colore della roccia carsica, il nero è dovuto al biossido di manganese (lasciato 10.000 anni fa quando il lago Pleistocenico si abbassò con l’ultima deglaciazione) ed il rosso dell’ossido ferrico dell’ultima era geologica” . In un punto preciso noto che il colore della parete rocciosa diventa quasi luccicante e ne chiedo il motivo. “Sono i ‘cristalli di calcite’  che si formano  quando l’anidride carbonica evapora insieme all’acqua e con la luce dalle lampade luccicano sembrando cristalli di sale.”



i tre colori della grotta foto GabryJPG

(I colori della grotta)


E’ difficile tenere gli occhi sulla passerella perché la geometria delle colate stalattitiche è veramente affascinante, per non dire dello spettacolo di passare all’improvviso da un canyon ad un ampio spazio: la Sala del Silenzio. Qui il fiume scorre sottoterra ed il rumore dell’acqua scompare.

Procedendo nella grotta lo spazio si allarga di nuovo e dal rumore che aumenta si intuisce che stiamo arrivando alla Sala della prima Cascata. Lo spettacolo è mozzafiato per la potenza dell’acqua che si getta nel laghetto sottostante. Per superarla ci sono 90 gradini da salire, con un dislivello di circa 20 metri che conduce al belvedere al culmine della scalinata. Dall’alto si riesce ad avere la giusta percezione delle dimensioni della sala.

Avvertiamo un po' di fatica perchè c’è poca concentrazione di ossigeno.

 stalattiti 1 Foto GabryJPG

(Stalattiti)

Il percorso continua e la vista si modifica man mano, ci troviamo a circa 150-200 metri di profondità e si apre un altro scenario, quello delle concrezioni. Spiega Alessia che “le prime formazioni di stalattiti, i ‘capelli d’angelo’, sono tubicini sottili chiusi dal calcare dell’acqua che cola di continuo fino ad aumentare di spessore per diventare ‘tubolare’, la concrezione vera e propria, come se il soffitto roccioso si ricreasse. Alcune sono  ‘eccentriche’, di forma insolita e ci sono  poche ‘colonne’ (l’unione della stalattite alla stalagmite) e poche stalagmiti  perchè le gocce cadono nell’acqua del fiume e non a terra. Questa è  la differenza tra grotta attiva e grotta fossile. Il  futuro di una  grotta è quello di richiudersi”.


stalattite eccentrica foto GabryJPG

(Una stalattite eccentrica)

 

Arriviamo alla Sala del Lago Nero, così chiamata dagli speleologi quando scoprirono questo lago profondo, al buio e dalle pareti nere. Alessia indica in punto in cui il fiume arriva qui, dietro il quale si trova “il ramo fossile” della grotta,  un corridoio abbandonato dall’acqua perché un crollo a 150 metri ha deviato il percorso del fiume.  “I crolli” spiega “avvengono o lungo la frattura orizzontale o lungo la frattura verticale, per questo  sono così squadrati.” Infatti qui  si vede  perfettamente com'è strutturato l’interno della montagna. È un laboratorio perfetto per gli studenti. "Abbiamo sempre tenuto laboratori per le scuole  che abbiamo dovuto interrompere in questo periodo".

Ci sono continue variazioni di ambiente all’interno della grotta soprattutto nell'ultimo tratto   che ha subito un cambiamento relativamente recente, di  4.000 anni fa. Le  differenze   sono evidenti perché qui si vedono le rocce così come sono cadute, rivelando la natura sedimentaria della montagna, caratteristica di tutto l’Appennino. I giunti di strato, i piccoli spazi  tra i blocchi rocciosi, sono perfettamente visibili delle linee orizzontali delle pareti da cui sono caduti.

blocchi squadrati foto Gabry 1JPG

(Blocchi squadrati)

 

Andando ancora avanti l’intensità del suono aumenta, stiamo entrando nell’ultima Sala.  E’ il rumore della seconda Cascata che fa un salto di 25 metri per gettarsi in un lago profondo cinque, creando un effetto impressionante per i suoni e per le immagini.  A fianco della Cascata c’è una enorme concrezione , la “Vela”, che racchiude tutti i colori della grotta.

Ed è qui che finisce il percorso, non c’è che da percorrerlo al contrario. Dopo la Sala della seconda Cascata la grotta prosegue in alto da dove proviene l’acqua. Ma non vi si può accedere. Ci arrivarono due speleologi aquilani e due speleo-sub francesi nel 1993, ed esplorarono  altri 2.300 metri. Trovarono una strada nel  “sifone”, un passaggio pieno d’acqua, che inizialmente attrezzarono per ripetere il percorso nelle tre estati successive. Trovarono anche altre sette cascate ed altre sale di crollo all’interno, ma dovettero fermarsi perché la zona è completamente priva di ossigeno ed il rischio è troppo alto. E’ rimasta oltre a questa una parte completamente sconosciuta, di una lunghezza che potrebbe variare dai 3 ai 10 chilometri attraverso cui il fiume si è fatto strada.  L’alternativa sarebbe creare un tunnel, ma il canyon che si sta allargando per la forza di erosione dell’acqua produrrebbe l’implosione della grotta.

 Canyon e gradini foto GabryJPG

(Canyon e gradini nelle grotte)

Al ritorno all’aria aperta non posso non avvertire una sensazione di “inebriamento” per la prolungata mancanza di ossigeno e per il freddo accumulato per l’umidità, che all’interno della grotta oscilla da un minimo del 70% fino al massimo del 100%.  “Per questo” - conclude Alessia -  “soprattutto  in questo periodo in cui siamo costretti ad indossare la mascherina, la visita alla grotta viene fortemente sconsigliata a chi ha problemi di respirazione o cardio-vascolari.”


*GABRIELLA DI LELLIO (Sono aquilana e sorella minore di nascita. Mi sento ottimamente a Roma e meno a L' Aquila dal terremoto del 2009. Ho insegnato lingua e letteratura inglese nel Liceo Scientifico della mia città. Sono maestra di sci perché amante della montagna e della neve. Mi piace la fotografia analogica in bianco e nero, che ho ripreso a fare dopo trent'anni e a cui intendo dedicare il mio tempo. Sono cresciuta nella FGCI e nel PCI fino alla “deriva occhettiana")