Slow tour da Milano, con la Guzzi fino al Po

Da domenica 29 novembre (per sei puntate alle 14,15 su Rete4) Patrizio Roversi racconterà il suo Slow tour padano a bordo di una Moto Guzzi Astore.
Per foglieviaggi ha scritto un pezzo che anticipa gli spunti del primo itinerario. intorno a Milano.


di PATRIZIO ROVERSI*

Tra i rarissimi lati positivi – si fa per dire - del Covid c'è il fatto che, impedendoci di viaggiare e addirittura di immaginare viaggi a lungo raggio, ci costringe a guardarci attorno, vicino a casa, e a rivalutare destinazioni che, in un altro momento, avremmo ritenuto banali. A me in questi giorni è capitato di ri-avviare la moto che era stata di mio padre, una Guzzi 500 Astore del '49, e di avviarmi a mia volta lungo un itinerario slow dalle mie parti, cioè lungo la pianura Padana. Un viaggio slow per vari motivi: innanzitutto perchè la vecchia Guzzi ha una velocità di crociera di 50 km all'ora, e poi perchè l'obiettivo era realizzare una serie di puntate televisive dedicate all'agricoltura, al territorio e ai prodotti agroalimentari. Quindi un viaggio “da gustare” a piccoli sorsi. Ma non intendo infliggervi l'ennesimo itinerario gastronomico, semplicemente raccontare le tappe di un breve viaggio che, almeno nelle sue fasi iniziali, è stato soprattutto agricolo nel senso storico/monumentale.

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Non sembri un paradosso: sono partito da Milano. Apparentemente la città meno agricola d'Italia. Solo apparentemente: non solo la storia, ma proprio il suo sviluppo (e quindi i tratti salienti della sua “immagine”) derivano dall'agricoltura. A parte che il Duomo è stato fatto coi soldi delle rendite terriere (i Visconti li hanno presi dall'agricoltura, più che dal commercio di armature); a parte quello che scrive alla fine del 1200 Bonvesin da la Riva riguardo al contado milanese, descrivendo  “prati irrigati e infiniti fiumi fecondatori che offrono fieno eccellente, vigne numerose e fertili territori che producono ogni sorta di granaglie”, c'è Carlo Cattaneo che, a metà dell'800, descrive il miracolo delle marcite: “Abbiamo preso le acque degli alvei profondi dei fiumi (…) e le abbiamo diffuse sulle aride lande e una parte del piano, per arte che è tutta nostra, verdeggia anche nel verno”.

Campi sempre irrigati uguale erba a volontà, uguale vacche che producono latte a mai finire.   Dopodichè, se Milano oggi è capitale della Moda, il merito va a Galeazzo Sforza e Ludovico il Moro che hanno sviluppato la coltura dei gelsi, e poi l'allevamento dei bachi da seta. E merito di Leonardo, che ha sviluppato una rete di canali per alimentare telai e tessiture. A proposto di Leonardo: la tappa iniziale del mio giretto agro-storico è stata proprio la sua vigna, a Casa degli Atellani, a pochi passi da Santa Maria delle Grazie dove ha dipinto il Cenacolo.   Attilio Scienza (nomen-omen) enologo e professore, ha scavato nel brolo della Villa e ritrovato la vite che Leonardo aveva piantato nel 1499 nell'orto che si era fatto regalare da Ludovico il Moro in cambio dei suoi servigi. Poi, col Dna, Scienza è risalito alla varietà specifica del vitigno (Malvasia di Candia) e ha ricostruito filologicamente la vigna originale. E' interessante notare che anche Leonardo era un ortolano metropolitano, come i pensionati che oggi coltivano gli orti comunali a Quarto Oggiaro.

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(La Casa degli Atellani)

Ma per risalire ancora più indietro nella storia dell'agricoltura padana e quindi italiana bisogna andare all'Abbazia di Chiaravalle, che sta nella primissima periferia della città.

Siamo nel 1135, i Cistercensi prima si dedicano alle bonifiche, quindi “inventano” le famose marcite, grazie alle quali c'era appunto erba tutto l'anno e conseguente grande produzione di latte. Per non sprecare questa ricchezza, compiono il miracolo e inventano il Caseu vetus, antesignano del formaggio grana. Che diventa la vera fonte della ricchezza di Milano e della pianura Padana. Ricchezza che i milanesi investiranno nelle Fabbrichette (da pronunciare rigorosamente con la E bella aperta) e Milano diventa... Milano. Grazie alla terra. La rivincita del settore primario, che ha prodotto l'industrializzazione (secondario) che poi a sua volta ha generato la capitale del terziario. Una evoluzione liquida, con l'acqua delle marcite che si è trasformata in latte, che ha creato la ricchezza che ha creato gli aperitivi, da cui... la Milano da bere.

Dopo Chiaravalle mi sono concesso qualche sosta nelle diverse cascine che resistono ancora miracolosamente nelle immediate vicinanze del centro città, in quello che oggi si chiama Parco Sud. Per esempio la cascina Battivacco, il cui nucleo risale al 1200 e che sta a 4 km in linea d'aria dal Duomo. Oppure la cascina Campazzo, teatro di una lotta durata qualche lustro fra il costruttore Ligresti che su quelle aree voleva fare dei condomini e il comitato del Ticinello che voleva mantenere il parco agricolo. Per fortuna ha prevalso quest'ultimo. E oggi i milanesi possono andare in queste cascine a comperare uova fresche, riso, insalatine e grana. E soprattutto a far vedere ai bambini delle vere galline, e delle bellissime vacche in corna/carne&ossa, che ormai sono animali esotici per la cultura media metropolitana.

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(L' Abbazia di Chiaravalle)

Proseguendo verso la Lomellina, un'altra tappa storica vicino a Vigevano è la cascina Sforzesca. Siamo sempre alla fine del '400. Ludovico il Moro avrebbe potuto farsi costruire la classica villa di campagna dove andarsi a sollazzare con qualche fidanzata, invece ci ha tenuto a realizzare quella che è riconosciuta come il primo esempio di corte chiusa, l'archetipo delle moderne aziende agricole, con le abitazioni dei contadini, le torri per i colombi, il mulino con le “scale d'acqua” leonardesche e soprattutto la stalla-modello. Modello nel senso che per i tempi era una novità. Pare che ci sia anche qui lo zampino di Leonardo. La novità era tenere le bestie al chiuso, anziché lasciarle pascolare libere, alimentarle, controllarle e mungerle.

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(La cascina Sforzesca)

La Sforzesca oggi è abbandonata, in attesa di un restauro. E questo abbandono la rende forse ancor più affascinante, muta testimonianza di una storia che si ritrova nelle fattorie vicine, a cui l'umidità padana ha già inflitto le screpolature, le macchie e le crepe del tempo. Per cui gli edifici del 1400 della Sforzesca sono uguali a quelli delle cascine otto-novecentesche. Con tutta evidenza c'è continuità fra la terra del Rinascimento e quella di oggi, salvo qualche trattore che passa per strada. Ma l'odore delle stalle (latte&letame) è lo stesso. 

Un'ultima tappa in Centro a Vigevano, in Piazza Ducale, per godersi l'armonia del progetto del Bramante che Arturo Toscanini ha definito “Una sinfonia su quattro lati”. In realtà l'armonia riguarda solo tre lati, dove insistono le 84 colonne dei portici, perchè il quarto lato adesso è chiuso da una facciata barocca, ma nessuno è perfetto.

Il viaggio slow per la pianura continua, lungo il Parco del Ticino, fino a Piacenza dove inizia tutta un'altra storia, quella del Po.


*PATRIZIO ROVERSI (Nato a Mantova, trapiantato a Bologna dove si è laureato al 24° anno fuori corso al DAMS. Ha fatto Teatro di Strada, ha gestito un Varietà in un Circolo Arci. Alla Festa Nazionasle dell’Unità di Bologna del 1987 ha battuto il Record Nazionale di durata in diretta televisiva (100 ore su Rete7 Emilia Romagna). Ha collaborato con Cuore e Satyricon di Repubblica. In TV ha fatto Lupo Solitario, Turistipercaso, Velistipercaso il Giro del Mondo, Evolutipercaso sulle tracce di Darwin, Linea Verde. Ora in edicola con Turistipercaso) 

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