Siracusa / 2 Un Medicane alla fonte Aretusa

foto e testo di ROBERTO ORLANDO*

Così il giorno dopo, per mantenere la gita liquida, siamo andati alla Fonte Aretusa. E qui torna in gioco il nostro Ulisse. Perché pare che nel mondo conosciuto da Omero le fonti aretuse fossero otto, una delle quali proprio a Itaca. Questa di Siracusa piaceva a Ovidio che nelle Metamorfosi eleva nell’empireo dell’amor deluso la storia della ninfa riottosa di Diana e dell'ardimentoso e cocciuto spirito del fiume, il dio Alfeo, figlio nientemeno che di Oceano. 

Una leggenda davvero fantastica: Aretusa era una ragazza timida che viveva al seguito della dea Artemide nei boschi del monte Olimpo. Un bel giorno, durante una battuta di caccia la ragazza si allontana dal gruppo. Accaldata, credendo di non essere vista, si spoglia e si immerge nelle acque del fiume Alfeo. Il cui spirito scalpitante, attratto dalla bellezza della ninfa, si mostra a lei nelle sembianze di un bel giovane biondo. Aretusa però si sottrae, non ne vuol sapere, lui insiste, lei non molla e fugge per i boschi, finché non crolla esausta. Allora interviene in suo soccorso Artemide che trasforma la ninfa in una fonte appunto, ma qualche centinaio di chilometri più in là, sull'altra sponda dello Ionio, lungo la costa di Ortigia appunto. Alfeo si dispera tanto che Zeus commosso lo fa tornare fiume, consentendo così alle sue acque di attraversare lo Ionio e di mescolarsi infine con quelle della fonte Aretusa.   


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Sul lungomare di Ortigia ora si vede poco della fonte più celebrata nei secoli dai poeti di mezzo mondo: da Omero fino a John Milton, passando per Ovidio, il cui brano delle Metamorfosi è citato in duplice copia (l'una accanto all'altra e non si capisce sinceramente perché) sul lungomare che sovrasta il minuscolo laghetto aretuseo in riva al mare. Qui i lucchetti degli innamorati inevitabilmente si sprecano, anche se della fonte in realtà si vede ben poco. Però un papiro prospera nelle sue acque come vuole la tradizione del luogo e sembra godere di buona salute come il cigno che gli nuota placido intorno. Ma insomma non stiamo a sottilizzare: io non ce l'ho un laghetto sotto casa che sia stato cantato da Ovidio. E invece questo è piaciuto a decine di altri poeti, ma anche a tanti navigatori non necessariamente italiani. Per esempio a Horatio Nelson che qui ebbe modo di approvvigionare la sua flotta di cibo e acqua nel 1798 prima di andare a sconfiggere Napoleone nella battaglia del Nilo. L'ammiraglio inglese ringraziò i siracusani per l'assistenza e concluse: "...Poiché abbiamo bevuto alla fonte di Aretusa, ho tutte le ragioni di credere che riporteremo la vittoria".

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Il filo conduttore dell'acqua conduce me invece verso i resti del tempio di Apollo (del IV secolo a.C.), non lontano dalla sorgente mitologica. Che c'entra Apollo con l'acqua?

C'entra invece, perché i meteorologi hanno chiamato Apollo il nuovo uragano che sta per abbattersi sulla mia testa. Ma Apollo non è quello che guida il carro del sole? Che cosa ci fa ora a cavallo di un cumulonembo? Evidentemente il clima sta davvero cambiando e anche gli dei nel loro piccolo si adeguano. Così Apollo mi concede appena il tempo di visitare il mercato che sta proprio accanto al tempio...

Non è come Ballarò o la Vucciria di Palermo, però i pesci che ho visto qui non li avevo mai visti dal vero, ma solo in Dad: sembrano barracuda, però più tozzi e striati con due diverse sfumature di grigio metallizzato, come se fossero appena usciti da una carrozzeria. Qui li chiamano fanfole, sarebbero fanfule in continente, ma ancor meglio fanfani oppure, per essere chiari, pesci pilota.


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Che mi guidano inevitabilmente verso la camera dell'albergo, mentre il mare monta sempre più e il miraggio della Città del Sole sfuma definitivamente. Mi viene in mente che forse proprio da qui, da un qualche punto del Porto Grande, Archimede (non Pitagorico) bruciò le navi dei romani che cingevano d'assedio Siracusa (212 a.C.), concentrando con una parabola a specchio la luce del sole sul fasciame in legno. Archimede era anche il matematico del "datemi una leva e vi solleverò il mondo" e io torno a chiedermi se da queste parti non vi sia il genius loci dell'intelligenza, dell'arguzia, dell'inventiva.

Forse sì, per forza. Perché poi sempre a Ortigia c'è la cattedrale di Siracusa, intitolata alla Natività di Maria Santissima, la prima chiesa cristiana in Occidente, la seconda al mondo dopo quella di Antiochia. Fu costruita incorporando il tempio che i greci di Gelone avevano dedicato ad Atena dopo che avevano battuto i cartaginesi nel V secolo a.C.. E da allora qui sul punto più alto dell'isola di Ortigia si è sempre concentrato il senso del sacro di tutte le religioni dominanti nel corso dei secoli: i bizantini, i musulmani, i normanni, i cattolici adattarono quel luogo alle proprie esigenze di culto. E nemmeno il tremendo terremoto che nel 1693 rase al suolo buona parte della Sicilia orientale ebbe ragione di quel tempio: crollò solo la facciata normanna e i siracusani la ricostruirono in un meraviglioso stile tardo barocco.

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Se non fosse piovuto sarei sceso nell'ipogeo che sta proprio lì accanto nel giardino dell'arcivescovado e conduce fino al mare, e poi magari nelle catacombe, una rete sotterranea che a quanto pare è seconda per estensione soltanto a quella di Roma. Si scende anche dalla chiesa di San Filippo Neri, nel cuore della Giudecca: proprio qui sotto a 18 metri di profondità, dove sgorga una sorgente, la comunità ebraica aveva allestito un ambiente per il bagno rituale, il mikveh. Ancora l'acqua, nella Città del Sole, e laggiù non si scende, avverte il parroco che regola il traffico turistico sotto la chiesa: la pioggia si infiltra e crea un pantano non frequentabile.

Il mare romba sempre più forte, il vento fortissimo disperde la schiuma bianca delle onde e la schizza sulle facciate delle case di prima linea sul lungomare. I carabinieri chiudono la strada, noi aggiriamo il blocco imboccando la parallela. Così scopriamo la "casuzza" di Elio Vittorini, e poi proseguendo troviamo le tracce di altri grandi narratori della tradizione popolare siciliana, quelli dell'Opera dei Pupi che qui ha radici solide, ha un teatro-bomboniera che affascina soprattutto gli ospiti stranieri e ha persino un museo e un laboratorio che sforna a ciclo continuo il mio paladino preferito, per ragioni evidenti: quell'Orlando Innamorato, Furioso alla bisogna, che deve pure lui piegarsi al ciclo impazzito dell'acqua: se piove troppo forte il pubblico resta a casa. Noi però siamo colti di nuovo per strada dal nuovo rovescio e il teatro diventa rifugio. Domani però si cambia: volto i cavalli della mia Panda a noleggio verso ovest e vedremo se Medicane riuscirà a starmi dietro. E mi conforta sapere che Ulisse dovesse vedersela con Poseidone.

 

(2 - fine)


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*ROBERTO ORLANDO (Nato a Genova in agosto, giornalista professionista dal 1983. Ultimo capocronista del Lavoro. Dopo uno scombinato tour postrisorgimentale che lo conduce in molte redazioni di Repubblica è rientrato tra i moli della Lanterna. Viaggia, fotografa e scrive. Meno di quanto vorrebbe)


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