Sei a Shushenskoye, giù le mani da Lenin

di CHRIS MIDDLEBROOK*

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La cittadina di Shushenskoye, Siberia orientale, è a oltre 9000 chilometri da Minneapolis. Per arrivarci in treno da Mosca ci vogliono più di tre giorni. Ce ne volevano molti di più alla fine dell’800, quando il governo zarista russo mandò in esilio Lenin per ridurlo al silenzio. Tutti sanno come andò a finire. Dal 1897 al 1900 Lenin visse in una piccola dacia sulle rive del fiume Yenisei. Dopo la rivoluzione russa e la morte di Lenin, Shushenskoye diventò luogo di pellegrinaggio per i  comunisti sovietici più devoti. 

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Nel 1971 il governo sovietico fece erigere un museo per ricordare il soggiorno siberiano. Shushenskoye, per il partito comunista sovietico, era un luogo sacro.

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Era il 1988,  la città si trovava a soli 75 chilometri dalla città di Abakan e dal torneo Russia di bandy, che si teneva a anni alterni,  fra squadre nazionali, nell’intervallo dei Campionati del mondo.

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 Avemmo  la bella idea di portare la nazionale americana, che per la prima volta partecipava al torneo, in visita a quel santo luogo. Per quel che ne sapevamo, saremmo stati i primi americani a visitare Shushenskoye, un altissimo onore.

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Un pullman venne a prenderci in albergo, a Abakan. Ma non arrivò solo il pullman. Le autorità avevano deciso che fossimo scortati da un convoglio di sei veicoli, inclusi camion da trasporto carichi di soldati della gloriosa Armata rossa, tre davanti e tre dietro l’autobus; si trattava di una misura di sicurezza a tutela della nostra incolumità e insieme di una mossa che certificava l’importanza e il significato della nostra presenza in quei luoghi.

C’erano poche auto private in Siberia nel 1988, e nessuna ce n'era quel giorno sulla strada fra Abakan e Shushenskoye. La strada era invece affollata di camion. Ci rendemmo conto presto  che a nessun veicolo era permesso incrociarci venendo dalla direzione opposta. Due dei nostri veicoli di scorta avevano il compito di obbligare tutti i mezzi che procedevano verso di noi a accostare a bordo strada finchè fossimo passati oltre. Tutto questo per evitare la possibilità di incidenti frontali. I militari furono molto efficienti.

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 In un viaggio di 75 chilometri avranno costretto un centinaio forse più veicoli a accostare. Un camion, lento nella risposta, dovette frenare bruscamente e sbandò mettendo la motrice quasi a angolo retto col resto del mezzo.

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Sulla strada di Shushenskoye il convoglio attraversò il centro di Minusinsk, città di più di 70mila abitanti. In attesa del nostro passaggio, tutta la strada principale era stata liberata dalle auto, polizia e i militari bloccavano tutti gli incroci. I cittadini di Minusinsk si affollarono ai lati delle strade salutandoci in festa. Dai palazzi in costruzione anche gli operai ci salutavano, arrampicati sulle impalcature.

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Arrivammo sani e salvi al sacro museo a Shushenskoye. Nell’ingresso principale un busto a grandezza naturale di Lenin era montato in cima a una piattaforma di marmo alta più di un metro e mezzo.

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Le dimensioni si rivelarono fonte di guai. Uno dei nostri giocatori meno riflessivi, infatti, si tirò il giubbotto sulla testa e si mise in posa davanti al busto facendo il segno della pace e alzando i pollici. Il divertimento – culminato nello scatto di alcune foto – durò poco. Da varie direzioni si sentì lo scalpiccio di passi in corsa e il nostro performer venne circondato e trascinato via per l’orecchio come un ragazzino.

Il suo tour del museo era finito, ma gli fu permesso di raggiungerci a bordo del pullman di ritorno a Abakan. Il tentativo malriuscito di fare dell’umorismo in realtà non voleva essere una mancanza di rispetto. Il punto è che negli Usa niente e nessuno è sottratto alla leggerezza della presa in giro; in più, alcuni dei giocatori non conoscevano la storia russa e sovietica, e non avevano chiaro il ruolo di Lenin nella cultura sovietica.

Non capivano che in quel paese le persone aspettavano in fila per ore nella Piazza rossa per potere guardare per trenta secondi il leader nella tomba, e non avevano visto le lapidi dedicate a Lenin sui muri delle scuole. 

Non si rendevano conto che prendersi gioco di Lenin nel suo mausoleo in Unione sovietica equivaleva a sfottere Gesù Cristo nella Chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme. A pensarci, ancora mi vengono i brividi.

(traduzione di Vittorio Ragone)


*CHRIS MIDDLEBROOK (Avvocato, è stato giocatore professionista di bandy e è l’autore di una raccolta di 118 racconti brevi, “Cronache del bandy – Alla ricerca di uno sport dimenticato”. Prima da giocatore della nazionale Usa, poi da allenatore e ora da presidente della Federazione americana bandy ha viaggiato a lungo nei paesi del Nord e in Urss, in Asia centrale e in Cina. Attualmente risiede a Minneapolis, sua città natale, con Cathy, con la quale è sposato da 36 anni).


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