Scoprendo il Mincio con la vecchia Dauphine

di FABIO ZANCHI*

“Gallia est omnis divisa in partes tres”. Anche il Mantovano, nel suo piccolo, è diviso in tre parti, come la Gallia descritta da Cesare: l’Alto Mantovano, che va dalle prime colline moreniche al Garda; la Bassa, che costeggia il corso del Po e – in mezzo – le terre che accompagnano il Mincio, a formare i tre laghi che abbracciano e proteggono la città.

Come nella descrizione di Cesare – “Hi omnes lingua, institutis, legibus inter se differunt” – le tre parti di queste terre sono radicalmente differenti le une dalle altre. A cominciare dal dialetto: lungo il Po si parla con un’inflessione larga, bassa, che assomiglia molto al reggiano e al parmense. In città si sente una lingua che ricorda il francese, tutta ü e vocali appuntite. Verso il Garda il dialetto assorbe le asperità antiche del bresciano. Cambia il colore stesso della terra (questa l’ho già raccontata, ma mi piace sottolinearla): vicino al Po i campi passano dal color sabbia al bruno intenso, poi man mano che si sale verso le colline la terra diventa sempre più rossa di argilla. E cambiano le colture e i paesaggi: i pioppi e il frumento si diradano e lasciano la scena a viti, ulivi e limoni.

LA DAUPHINE – L’ Alto Mantovano l’ho scoperto a dieci anni compiuti. Eravamo tornati a Mantova dopo due trasferimenti, a Roma e a Milano. Finalmente ci potevamo permettere un’auto, usata ovviamente. Prima però c’era da decidere chi potesse prendere la patente. Mio padre Attilio venne subito escluso. L’unica volta che qualcuno di buona volontà aveva tentato di insegnargli a guidare qualcosa, in quel caso un motorino, sfondò il portone di un convento di suore. Il suo amico, in sella dietro di lui, finì in ospedale con una spalla rotta; lui, invece, se la cavò senza troppi danni, ma con la convinzione che non si sarebbe mai messo alla guida di alcun mezzo semovente. Così, dato che io non avevo l’età, la scelta su chi si dovesse patentare ricadde su mia madre Elda. Che, figlia del primo meccanico della provincia di Mantova, subito passò l’esame: aveva appena compiuto quarant’anni e superare quella prova la riempì di soddisfazione. Valutato il bilancio familiare, sempre risicato, riuscimmo a comperare una Dauphine Alfa Romeo. 

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 Di color panna, era un’auto assurda: motore posteriore, 850 di cilindrata, tre marce, lunga almeno mezzo metro più delle utilitarie italiane. Era tanto instabile che il passaparola degli spericolati che ne conoscevano le prerogative suggeriva di alloggiare un sacco di sabbia nel portabagagli, sul muso. Le prime gite prevedevano che la Elda, neopatentata e ancora un po’ incerta, tenesse ben saldo il volante e si coordinasse bene con acceleratore, frizione e freno. Io, nel sedile accanto a lei, cambiavo le marce. Mio padre, seduto comodo dietro di noi, guardava il paesaggio, dava consigli sulla guida e, al bisogno, litigava con gli altri automobilisti.

CASTELLARO LAGUSELLO – Diventò ben presto la nostra meta domenicale preferita. Un paesino delizioso, frazione di Monzambano, che si raggiungeva lungo una strada immersa nel verde, tutto un saliscendi che mette alla prova i garretti dei ciclisti. Ai tempi, a Castellaro 

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andavamo per mangiare in una piccola trattoria nella parte bassa del paese. Si pranzava in una camera che ospitava un camino che aveva sempre il fuoco acceso. Al centro, il paiolo con la polenta. Ai lati, seduti su due seggiole basse, due anziani: marito e moglie si occupavano di girare sulle griglie appoggiate alla brace filetti di piccole anguille pescate in giornata nel piccolo lago da cui Castellaro prende la seconda parte del nome. Mi piacevano quei due vecchietti. Non li ho mai sentiti parlare, ma si muovevano con gesti talmente sincronizzati che si intuiva la condivisione di una lunga e bella storia. Erano bellissimi davvero. E bellissimo era il paese. Nella parte bassa, il grande spiazzo dove squadre molto agguerrite, sostenute da un tifo sanguigno, giocavano a tamburello: una sorta di pelota basca, molto diffusa nell’Alto Mantovano. La parte più suggestiva del paese era più in alto, superato quel che resta delle mura che recingevano il borgo. Dalla cima della collina si vede il piccolo lago a forma di cuore. Solo parecchi anni dopo quelle gite spericolate ho scoperto che Castellaro, 300 abitanti in tutto, fa parte dei 111 siti palafitticoli del circuito alpino. Diventato Patrimonio dell’umanità Unesco, il paesetto mi è rimasto nel cuore soprattutto per l’immagine elegante di quei due vecchietti silenziosi.

DI GUERRE E VILLEGGIATURE – Il percorso che va da Mantova al lago di Garda, lungo la valle del Mincio, è ricchissimo di suggestioni. Naturalistiche, com’è ovvio, e la stagione migliore per apprezzarle è la primavera. Ma non c’è solo quello. Da Goito in su, verso l’anfiteatro morenico che annuncia il Garda, tutto parla di storia, battaglie, scontri epici. È da queste parti che furono combattute la prima e la seconda guerra d’Indipendenza. È qui che si è fatta l’Italia. E se si hanno figli in età di studio, un giro da queste parti è più che raccomandabile: meglio della Dad, la famigerata Didattica a distanza, è la Didattica a chilometro zero. Una volta si faceva. La gita scolastica a Solferino e San Martino era un classico per i ragazzi delle medie, che magari più tardi, con l’età, scoprivano che tutto aveva un senso. Persino la scuola un po’ nozionistica d’un tempo.

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Da Goito in su, per l’appunto, è come riaprire un libro di storia. È sempre il corso del Mincio a guidarci. A Montanara e Curtatone si scontrarono il battaglione universitario formato in gran parte da studenti toscani e napoletani e le truppe degli austriaci guidati da Radetsky. Era il 28 maggio 1848, Prima guerra d’indipendenza. A Goito l’8 aprile del 1848 comparvero per la prima volta i bersaglieri, guidati dal generale La Marmora. Il 30 maggio dello stesso anno Carlo Alberto di Savoia sconfisse gli austriaci. Più su, a San Martino e Solferino, il 24 giugno 1859, i soldati di Vittorio Emanuele II e di Napoleone III sconfissero gli austriaci di Francesco Giuseppe, nella Seconda guerra d’indipendenza. Fu allora che, per iniziativa dello svizzero Henry Dunant, impressionato per l’incredibile numero di vittime, nacque la Croce Rossa: il museo si trova a Castiglione delle Stiviere, sempre nell’Alto Mantovano.

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Volendo, si può andare anche più indietro nel tempo. A Volta Mantovana, per esempio, si torna ai tempi di Matilde di Canossa, signora e padrona di una fortificazione che dall’XI secolo al XIV svolse una efficace opera di difesa del territorio mantovano. I Gonzaga, dal 1400 in poi portarono una nota meno belligerante, trasformando il fortilizio in un luogo di villeggiatura e, quando a Mantova scoppiarono le pestilenze, di difesa e cura. Di loro rimane una dimora di straordinaria bellezza, come si confà al casato: affreschi e decorazioni cinquecenteschi, trompe-l’oeil e un giardino all’italiana che fa dimenticare tutte le guerre di cui parlano i dintorni.

LA BELLA NOTIZIA – Se si muovono i ragazzi, se si muovono le scuole, siamo in presenza di un’ottima notizia. E in effetti quella che riguarda un centinaio di studenti del liceo Bagatta e delle scuole paritarie Rogazioniste di Desenzano, degli istituti di Castiglione delle Stiviere e i torinesi dell’Annunziata è una storia che non ti aspetti. Questi giovani, raggruppati nel programma di alternanza scuola-lavoro, si sono messi a identificare tutti quei soldati che dal 1848 al 1870 parteciparono alle tre guerre d’Indipendenza. Un lavoro immenso, dato che furono 680mila i soldati appartenenti all’esercito del Regno di Sardegna e successivamente al Regno d’Italia. Fino ad ora nel database costruito dagli studenti si è arrivati a 380mila nomi, e l’obiettivo è di arrivare a concludere il lavoro entro l’anno. Alla fine, nel motore di ricerca della Società Solferino e San Martino si potranno leggere i nomi e cognomi di chi ha combattuto su queste colline, con numero di matricola, grado e luogo di nascita di ognuno. Un’ambizione più che giustificata, dal momento che proprio quest’anno, il 17 marzo, si è celebrato il 160° anniversario dell’Unità d’Italia.



*FABIO ZANCHI (Da piccolo guidava trattori e mietitrebbie. Da giornalista, prima all’Unità e poi a Repubblica, ha guidato qualche redazione. Per non annoiarsi si è anche inventato, con Nando dalla Chiesa e altri spericolati, il Controfestival di Sanremo, a Mantova)

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