Salerno letteratura fa dieci anni e li festeggia con Martone

di TINA PANE*

Il Festival Salerno Letteratura compie dieci anni e per festeggiare il traguardo inizia le sue attività con molto anticipo rispetto alle date della manifestazione, che si terrà dal 18 al 26 giugno, organizzando delle “tappe d’avvicinamento” in altre città.

La prima si è tenuta sabato scorso nell’Auditorium del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, divenuto sotto la direzione di Paolo Giulierini una gioiosa macchina che affianca alla sua funzione puramente museale eventi e progetti culturali ad ampio spettro.

Un incontro, anzi una conversazione, tra lo scrittore Paolo Di Paolo (nel team dei direttori artistici del Salerno Festival) e il regista Mario Martone sul tema “La città in scena. Un dialogo su Napoli e altri teatri” in cui quest’ultimo ha raccontato la sua carriera, il suo percorso artistico e l’inevitabile legame con la città in cui è nato.


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Gli inizi con il teatro d’avanguardia nella Napoli di fine anni ’70, il rapporto con il gallerista Lucio Amelio, la prima esperienza nel cinema con il film autoprodotto “Morte di un matematico napoletano”, le direzioni artistiche degli Stabili di Roma e di Torino, le regie delle opere liriche e delle tragedie greche, la trilogia dei film sull’Italia dell’Ottocento e il recentissimo, popolare, “Qui rido io” dedicato alla figura di un grande del teatro napoletano, Eduardo Scarpetta: tutto questo variegato curriculum conferma ciò che Martone, sorridendo, dice di sé: “Sono una natura multiforme, e un regista disunito”.

Uno che - assicura - è sempre andato avanti per “inciampi” più che per programmi, seguendo la sua curiosità, cogliendo spunto dagli incontri con persone e opere, non fermandosi davanti all’ignoranza di un evento, di un autore o di un periodo storico, ma avviando “un viaggio di conoscenza” insieme agli spettatori. “Nei miei film io non spiego ma racconto - ha detto fra l'altro al Mann - e lo spettatore non ha bisogno di sapere un bel niente prima di andare al cinema”.

In questo “apprendistato condiviso”, come lo definisce Di Paolo, c’è l’artista mai fermo “che muove le cose intorno a lui”, c’è il “big bang” dei primi lavori che esplodevano in più direzioni producendo, per esempio, quel fare rete che fu, ed è, Teatri Uniti, ma c’è anche la scoperta casuale di Leopardi e del suo potenziale drammaturgico, mentre studiava per realizzare il film “Noi credevamo”. C’è insomma un percorso che pare srotolarsi da sé e che invece è frutto del talento quando con umiltà e semplicità si fa guidare anche dalle sirene del caso e della passione.

“Le cose capitano - dice Martone - e un vicolo cieco è pur sempre uno spazio”.


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Allo stesso modo, forse, capita di nascere a Napoli, uno spazio invece enorme e ingombrante, come erano ingombranti per il giovane Martone le figure di Eduardo e di Roberto De Simone e più avanti quelle dei numi tutelari del nostro cinema, da Visconti a De Sica a Rossellini. “La mia strategia fu di fuggire verso l’Avanguardia, quella americana, di Carmelo Bene, della Gaia Scienza, e sempre stando a Napoli ho girato il mondo. Ma ogni artista muove dall’immaginario del proprio luogo di origine, e Napoli ha la fortuna, la caratteristica, di generare artisti”.

Forse in reazione alla sovraesposizione mediatica delle ultime settimane, Martone non pigia sul tasto della città unica e diversa da tutte, ma tra esperienze e suggestioni ricorda il rammarico di Raffaele La Capria che non voleva essere considerato uno scrittore napoletano, suggerisce la lettura dell’introvabile Dadapolis di Fabrizia Ramondino, ricorda che Domenico Rea già nel 1951 aveva scritto un saggio, Le due Napoli. Saggio sul carattere dei napoletani, in cui si interrogava sulla letteratura “indigena e straniera” che raccontava Napoli e i Napoletani i quali “han finito per credere di essere simili ai personaggi cantati, narrati e rappresentati dai loro scrittori”.


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“Qui sono nato, qui ho vissuto, e da qui guardo, perché il narratore guarda dall’immaginario del proprio luogo di origine”. Forse anche per questo Martone ha voluto, nel 2017, mettere in scena “Il Sindaco del Rione Sanità” di Eduardo De Filippo al NEST, Napoli Est Teatro di San Giovanni a Teduccio, uno dei quartieri difficili della periferia est di Napoli, dove un gruppo di giovani attori, registi, scenografi e drammaturghi ha ristrutturato una palestra e creato uno spazio per le arti.

“Il teatro è un detonatore, e ha nella sua dimensione la politica”, conclude. E poi, disarmante: “E chest’è”. 


 

 * TINA PANE (Napoli, 1962. Una laurea, un tesserino da pubblicista e un esodo incentivato da un lavoro per caso durato 30 anni. Ora libera: di camminare, fotografare, programmare viaggi anche brevissimi e vicini, scrivere di cose belle e di memorie)


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