Ritorno alla Siria, dopo la guerra - 2) Aleppo

foto e testo di LUCA FORTIS*

La mattina dopo siamo partiti alla volta di Aleppo. Nel 2019, al contrario di oggi, pezzi dell’autostrada Homs-Aleppo erano ancora in mano ai ribelli e per arrivare a destinazione bisognava fare ampie deviazioni ad est. Le strade, come dovunque fuori da Damasco, erano pattugliate da militari e con check point ogni dieci chilometri. I militari ti davano indicazioni su come proseguire il viaggio. Deviazione dopo deviazione, costeggiando antichi villaggi in architettura tradizionale, abbandonati probabilmente già da prima della guerra, siamo giunti ad Aleppo.



All’arrivo abbiamo costeggiato quartieri moderni completamente distrutti, simili a quelli di Homs, poi di colpo ecco la vita ricominciare. Anche qui, per anni, la città era divisa in due e i quartieri filo governativi sono rimasti del tutto intatti, mentre quelli in mano ai ribelli sono stati distrutti durante la guerra. Il centro storico di Aleppo, protetto dall’Unesco, è stato pesantemente danneggiato, ma per fortuna è recuperabile. Più che una città rasa al suolo e sparita per sempre, sembrava piuttosto l’Aquila dopo il terremoto, con già alcuni siti sotto restauro e anche qui una sorprendente vita che riprendeva possesso del territorio.

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(Maaloula)


Quello che mi ha colpito di più era l’isola pedonale sotto la cittadella, uno spazio pieno di ristoranti alla moda, ambulanti che vendevano cibo, dolci, palloncini per i bambini e gente che passeggiava al tramonto. Un spartiacque o forse un metaforico ponte tra la cittadella, che non aveva quasi subito danni e in cui erano rimasti asserragliati i militari governativi, e lo splendido suq e centro storico, nelle cui labirintiche vie si erano nascosti i ribelli e che è stato pesantemente danneggiato.


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(Aleppo)

La cittadella era già riaperta e si poteva visitare pagando un regolare biglietto. Si poteva anche visitare quel che resta del suq. Entrando, alcune aree hanno conservato le volte di copertura e alcuni negozi avevano già riaperto, anche se le pietre erano annerite dal fuoco che aveva bruciato tutto. In alcuni cortili laterali del suq si trovavano ancora i sacchi pieni di sabbia dietro a cui si sparava e dovunque si vedevano casseforti aperte e penzolanti tra i muri rotti. Segno che i proprietari dei negozi le avevano lasciate aperte prima di scappare o che erano state aperte in qualche modo dopo. In altri tratti, le volte sono crollate e le pietre sono state ammonticchiate ai lati delle strade per essere rimontate. In altre aree ancora, c'erano artigiani che restauravano porte in legno o riaprivano i loro negozi. Nel centro storico non era raro vedere un palazzo semi crollato, con i negozi già aperti al primo piano e il secondo in parte collassato, con le pietre a terra, in attesa di essere rimontate.

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(Aleppo)

Abbiamo trovato anche un caravanserraglio che era già stato completamente restaurato, se non ricordo male, da un progetto finanziato dal governo belga.

Il resto del centro storico è ridotto molto male, ma non perso per sempre. Le case sono quasi tutte pesantemente danneggiate, ma le pietre sono lì. Come si è fatto per Sarajevo o Mostar, con un paziente lavoro e un meticoloso restauro, rispettoso delle regole Unesco, il centro potrà rinascere. La moschea degli Omayyadi di Aleppo, che all’epoca non era visitabile e il cui minareto è stato distrutto, era già in fase di restauro.




La sera abbiamo mangiato nell’isola pedonale sotto la cittadella e abbiamo passeggiato immersi nella folla all’imbrunire. Dovunque la gente stava seduta nei ristoranti o passeggiava con i bambini, comprando street food nelle numerose bancarelle. Dopo cena abbiamo fatto un giro in un grande mercato all’aperto in un quartiere anni Sessanta perfettamente conservato. Siamo poi ritornati a dormire in albergo, una struttura appena ricostruita, accanto al rudere di un albergo che era stato fatto esplodere in un attentato durante la guerra. Nella piazza troneggiavano delle enormi lettere pop che formavano in inglese la parola “I love Aleppo”.

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(Aleppo)


La mattina dopo aver mangiato un gelato tradizionale siriano in una gelateria affollata di gente, siamo partiti alla volta di Hama. La città delle immense e magiche ruote idrauliche, lungo i canali e gli acquedotti, è rimasta per fortuna in gran parte intatta. Le ruote sono lì, funzionanti e splendide come sempre. Anche qui troneggiavano immense lettere pop che formavano la frase “I love Hama”. Abbiamo passato un paio d’ore a visitare la città e poi siamo partiti alla volta di un grande monastero vicino a Damasco e siamo poi rientrati nella capitale. Siamo tornati nel nostro albergo, ospitato in una splendida dimora antica, immersa tra chiese. Abbiamo passato l’ultimo giorno, prima di tornare a Beirut, facendo acquisti nel grande suq e in altri negozietti. È importante aggiungere che mai durante il viaggio ho percepito che la situazione fosse pericolosa, quello che rimaneva della guerra era la distruzione architettonica o la voglia di tornare a vivere della gente, ma mai ho avuto situazioni o incontri spiacevoli. Le persone sono sempre state sorridenti, al massimo stupite di vedere turisti in giro.


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(Hama)

In questo articolo non sono deliberatamente entrato nelle questioni politiche siriane, ho voluto solo raccontare che prima del covid si poteva già viaggiare lì come turisti. Per altro avevo già organizzato un secondo viaggio, a marzo dell’anno scorso, per andare a vedere ciò che resta di Palmira, recarmi a Bosra per ammirare il suo splendido teatro per fortuna non danneggiato dalla guerra e poi raggiungere a costa nella regione di Latakia. Purtroppo ho dovuto rimandare all’ultimo momento, quando i siriani hanno chiuso le porte agli italiani per paura del covid. A volte le vicende si ribaltano. L’Italia, a marzo del 2020, era considerato un paese pericoloso i cui viaggiatori potevano portare un grande pericolo, un virus non desiderato.





In attesa di questo secondo viaggio, il senso dell’articolo è testimoniare come la vita a volte siaaa più forte delle guerre e a modo suo vada avanti lo stesso. Ecco perché consiglio caldamente di viaggiare in Siria appena saranno riaperte le frontiere, non solo per vedere quel che resta di un paese meraviglioso, ma anche perché in molti casi è comunque importante guardare le cose con i propri occhi. Per coglierne davvero sfumature e complessità, al di là dei giudizi politici o storici, che ognuno si farà per conto proprio.

(2 - fine)

leggi la prima parte




*LUCA FORTIS (Mi considero un nomade, sono attratto dai percorsi irregolari, da chi sa infrangere le barriere e dalla scoperta dei tanti “altri”. Ho un pizzico di sangue iraniano. Sono giornalista freelance specializzato in reportage dal Medio Oriente e dalle realtà periferiche o poco conosciute dell’Italia. Lavoro anche nel sociale a Napoli)


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