Quattordicesima tappa, Cittadella-Zoncolan - Dalle ronde di Cittadella al Kaiser dei monti

di ANGELO MASCOLO*

Se guardate dall’alto la pianta di Cittadella, partenza di questa quattordicesima tappa del giro d’Italia, sembra una navicella spaziale atterrata al centro della pianura veneta. Questo per le sue ellissi volubili e massicce e soprattutto per i suoi colori vivi e tanto simbiotici con il paesaggio circostante: a sud Padova, città di spada e croce con il suo Sant’Antonio a baluardo di uno dei centri religiosi più importanti della cristianità d’occidente, e i colli Euganei ricordati da Foscolo nelle disilluse Epistole di Jacopo Ortis; a nord un tappeto verde esteso per centinaia di chilometri che si protende fino in Friuli e alla Carnia, approdo della frazione odierna della corsa rosa. 

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Una navicella, dicevamo. Un disco non identificato nel cuore del padovano. In realtà Cittadella non è poi tanto fantasmagorica. È al contrario solida, reale, concreta. Le sue mura di origine medievale, fondate probabilmente nel 1220 quando il libero comune di Padova decise di creare nel mezzo della pianura veneta un luogo fortificato al confine con il suo dominio, vantano un primato. Sono le uniche di tutto l’Occidente ad avere un camminamento di ronda. Per trovare qualcosa di simile bisogna risalire indietro di secoli nella storia d’Europa e arrivare alle mura aureliane che cingevano la Roma dei Cesari.

Questa corona di merli e ronde, a protezione della piana patavina, accompagna l’abbrivio della tappa. A ben guardare metà di questi 205 km non sembrano nemmeno una tappa. Tutti in pianura, tra declivi di colline dolci e lussureggianti, con il punto più alto raggiunto dai 300 metri sul livello del mare del piccolo borgo di Meduno. Prima però di approdare a Meduno, discreto sulla carta ma grande nella storia per i moti risorgimentali friuliani del 1864 di Navarons, la sinfonia ordinata delle colline venete si infrange per un attimo nella bellezza intatta del Castello di Caneva. 

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Secondo un’ipotesi abbastanza diffusa tra gli studiosi, il castello sarebbe stato edificato su una precedente torre di avvistamento romana. Visto da lontano, con le sue merlature di bianche pietre carsiche, appare nelle vesti di un feudatario a riposo dopo mille battaglie. La natura docile, con i solerti cipressi che sorgono intorno all’edificio, accentua il desiderio di pace e serenità. Colline, un castello e un borgo di eroi sacrificati alla patria. Tre istantanee di un territorio docile ma con un passato che non ha lesinato lotte e sofferenze. A ricordarlo ai ciclisti è la fine della pianura. Dopo Meduno, infatti, la strada impenna e l’altimetria inizia a fare sul serio. Forcella Monte Rest si presenta con i suoi mille metri, senza alcun accenno alla diplomazia. La collina c’è ancora ma ha un volto meno conciliante di quello che i ciclisti hanno incontrato nei primi cento chilometri. Eppure il paesaggio che appare sul Monte Rest sembra essere il paradiso: verde bruno ovunque, cipressi e una natura prepotentemente primaverile a perdita d’occhio. E poi la sua perla più preziosa: il lago artificiale di Tramonti con la gigantesca diga alta più di cinquanta metri.


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Monte Rest è un valico alpino. Ed è forse questa connotazione di passaggio a ingannare. Scollinati i mille metri e più del Rest la strada si fa di nuovo piana e scivola via con la stessa tempestosità del Tagliamento che scorre a non molta distanza da qui. Ma è tutta un’illusione. Quaranta chilometri appena e un titano di roccia appare ai corridori: Monte Zoncolan. Solo scrivere il suo nome mette i brividi. In fondo lo Zoncolan non è una delle vette più alte della corsa rosa. Perché allora i suoi 1730 metri procurano tanto timore anche nei corridori più scafati? Perché questa montagna, nel cuore della Carnia cantata dal Carducci, è interamente scolpita e forgiata dalle fatiche degli eroi del ciclismo di ogni tempo: Bartali, Coppi, Gimondi, Merckx, Pantani e tanti altri. Ogni patria ha i suoi sacrari. Il ciclismo ha lo Zoncolan.

Arrivare in cima a questo monte, primo grande arrivo in salita di questo giro, non significa solo conquistare un’altura ma piantare per sempre cuore e gambe nella Storia.


*ANGELO MASCOLO (Sono archeologo, giornalista e scrittore. Ho collaborato con i quotidiani «Roma», «Metropolis» e «Il Mattino». Nel 2016 il mio romanzo "Palestra Italia" si è classificato secondo al Premio Letterario RAI «La Giara». A novembre 2017 è uscito «La primavera cade a novembre», giallo edito dalla casa editrice Homo Scrivens, arrivato alla seconda ristampa, che ha ottenuto diversi riconoscimenti a livello nazionale)

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