Quant'è bella la playlist, contro l'assedio del Covid

di TINA PANE*

Sì, sono d’accordo con Massimiliano Di Giorgio che proprio su questi schermi recentemente affermava che una playlist per viaggiare in auto è indispensabile come la meta e il carburante (leggi qui: "Ci vorrebbe una playlist").

 Però non sfugge a nessuno che di questi tristi tempi si viaggi poco, e non solo in auto. Ma la playlist è un genere di conforto utile in molte situazioni, per esempio in casa quando si cucina o si fanno faccende, e per strada quando si cammina. Perché sì, anche nelle zone rosse l’attività fisica - in ristrette fasce orarie e nelle vicinanze dell’abitazione - è una pratica consentita, e in essa si può trovare temporanea consolazione all’impossibilità di viaggiare.

Sul mio prezioso I-pod che si avvia quasi ai dieci anni di vita c’è un mondo di pezzi caricati un po’ alla volta, e periodicamente rinnovati tra aggiunte e cancellazioni, che mi tengono compagnia e danno ritmo al passo. Siccome la riproduzione è casuale e non vi è possibilità di cercare i brani, cammino al buio, senza sapere quale sarà il prossimo brano, senza poterne cercare uno. Ma va bene così, perché attribuisco allo scorrere anarchico dei pezzi precisi significati, penso questa canzone è venuta a cercarmi perché voleva dirmi qualcosa, proprio adesso, proprio oggi. Diciamo che in questo modo l’ascolto (della musica) diventa un mettersi in ascolto (di me e dei miei sturbi contingenti, ma anche della luce che cambia rapida, della strada che mi circonda, del mondo).

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I pezzi più dopanti continuano a essere quelli dei Beatles. Quando accendo l’I-pod ed esce Obladì Obladà o We can work it out, per esempio, mi si accelerano naturalmente i battiti, mentre i piedi battono veloci e leggeri il ritmo. Ma incredibile a dirsi, un simile effetto me lo fa anche il De Andrè di Fiume Sand Creek e di Volta la carta, o Adelante Adelante! e Sotto le stelle del Messico a trapanar di De Gregori (con quest’ultimo brano riuscivo a far ballare mio figlio piccolo, mentre non c’era niente di meglio per addormentarlo che la potente voce di Mercedes Sosa in Todo cambia, anch’ esso in playlist, ovviamente).

Poi ci sono alcuni brani selezionati dalla fantastica colonna sonora di “Fino alla fine del mondo”, come Sex and violins e Summer kisses, winter tears, che per la loro drammaticità ascolto solo nell’impegno di qualche salita tosta, e una discreta quantità di drammi gucciniani che vanno bene nella fase del ritorno a casa, quando più che i piedi va stimolata la mente: Cirano, Eskimo, Cinque anatre.

E poi così, a vergognoso casaccio e a prescindere dal ritmo, mi tramettono energia e beoti sorrisi Uno su mille (Morandi), La strada (Gaber), Baciami ancora (Jovanotti), A horse with no name (America), Teach your children (la premiata ditta CSNY), Ho messo via (Ligabue), I’m yours (Jason Mraz, chi era costui?), I cieli d’Irlanda (Mannoia), La musica che gira intorno (ma nell’interpretazione della Bertè), People stay (Jackson Browne), Show me the way (Peter Frampton)…. con questa roba qui cammino e canto, ricarico mente e gambe, mi sento libera, alla faccia del lockdown!

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Si capisce da questa piccola selezione che il mio I-pod è un tesoretto della memoria, e tutto sbilanciato sul passato e sulla musica d’autore. I brani che mi fanno ascoltare i figli non mi prendono, e sono felice per aver loro trasmesso, a partire da una vacanza a Cefalonia tanti anni fa, un minimo di patrimonio storico cantautorale (vanno pazzi per Battiato, gli piacciono i De Andrè più tristi e perfino un po’ di Fossati).

Quando riprenderemo a viaggiare in auto - che resta il modo più bello di viaggiare, visto che non so più andare in bicicletta - dovremo patteggiare la playlist, ci sta. E allora mescoleremo le nostre età, i gusti, la diversa educazione musicale. Mia figlia pretenderà di inserirci uno dei suoi rapper preferiti, tale Izi, che nel pezzo Al Pacino ha infilato il ritornello di Fischia il vento, e io le imporrò Elton John, perché sia chiaro che la musica popolare è quella, e solo quella, che ti risuona dentro, che sembra sia stata scritta proprio per te.

Un po’come se l’autore ti stesse giurando: And you can tell everybody this is your song.


* TINA PANE (Napoli, 1962. Una laurea, un tesserino da pubblicista e un esodo incentivato da un lavoro per caso durato 30 anni. Ora libera: di camminare, fotografare, programmare viaggi anche brevissimi e vicini, scrivere di cose belle e di memorie)

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