Profumo di Giro, un finale di tappa e la tv di un complice sconosciuto

 di STEFANO ELMI*

“Dino Buzzati al Giro d’Italia” “Indro Montanelli al Giro” e “La fiamma rossa” di Gianni Mura. Negli ultimi mesi ho letto i loro resoconti dei grandi giri ciclistici a tappe. Tre giornalisti e persone molto diverse fra loro, ma tutti e tre mi hanno lasciato la medesima cosa una volta letti: non ricordavo mai chi ha vinto il giro o il tour narrato, meno che mai le singole tappe. Poi dopo un po’ di tempo ho capito che il motivo non era la mia scarsa memoria, ma il fatto che non veniva raccontato, o se veniva raccontato era un fatto secondario. Quello che ricordo benissimo invece sono i luoghi e gli incontri con le persone definite comuni, che siamo noi tutti del resto. 

Se qualcuno volesse studiare un po’ di storia recente del nostro paese gli sarebbe sufficiente aprire le cronache di un giro d’Italia qualsiasi di uno di questi tre giornalisti e scrittori, per ammirare delle fotografie chiare e nitide del nostro paese.

“Il Giro d’Italia parla milanese” scrive Montanelli riferendosi evidentemente all’organizzazione della manifestazione, “anche se poi” – continua - “a vincerlo, è sempre qualche toscano o qualche romagnolo”.

In queste poche righe ci sta già tutta la sintesi di quello che è la corsa. Chi l’ha ideata. Dove è nata. Chi l’ha finanziata. Ma il Giro si sa è anche altro, specialmente se come stadio si usano oltre 3.000 chilometri di strade percorse ogni giorno dalle nostre, di storie.

Non esistono stadi o luoghi dove poter relegare le gesta di questi campioni. La salita dietro il minuscolo paese dell’Appennino può divenire teatro di epiche battaglie fra campioni, oppure quel gruppo di case solitarie da qualche parte lungo la via Emilia può vedere gregari in fuga in un giorno di libertà. Per un giorno le porte delle nostre case affacciate sulla strada possono diventare tribune d’onore da dove osservare la corsa. Una corsa che si fa storia a sua volta sulle strade di tutti i giorni. 

Per un giorno tutti possiamo diventare non allenatori come nel calcio, ma ricominciare a stupirci di quanto è bella l’attesa di chi e che cosa passerà oggi. Il passaggio dei corridori è talmente rapido e veloce che sembra impossibile esprimere emozioni complesse se non qualche urlo concitato, ma invece nell’attesa l’emozione ha tutto il tempo che merita, tanto da far sì che sia il momento più bello dell’intera tappa.


Belfiore-3737143_960_720jpg


Giro d’Italia del 2000. Io da poco diciottenne con amici più grandi che mi portavano in giro in bicicletta, e coi quali mi potevo allontanare di più da casa. Salita di San Pellegrino in Alpe, Appennino Tosco-Emiliano. Ricordo la strada occupata da una massa di persone aprirsi come un’onda un istante prima del passaggio dei corridori, ed in una frazione di secondo vedo ondeggiare le schiene a tutta velocità (neanche i volti) di Francesco Casagrande e Danilo Di Luca su quelle rampe micidiali al 20%. 

Ci eravamo organizzati giorni addietro e quella mattina eravamo partiti baldanzosi per vedere tutto questo così rapidamente? Dopo svariati minuti Mario Cipollini, in evidente difficoltà, passò spinto dal pubblico. Alcuni spagnoli della Kelme con gli occhi sgranati a fissare l’asfalto sotto le  ruote arrancavano sulle ultime rampe ed andavano talmente piano che rischiavano di cadere. Poco dopo la macchina col cartello di fine corsa.

 Se dovessi ricordare le gesta sportive di quel giorno, questo è il mio scarno bottino. In tutto sarà passata una mezz’ora circa. Se però accendo la memoria sul resto, il tempo come per magia si dilata. 

Alla mattina partiamo da Barga (LU) in direzione Passo delle Radici, decidiamo di arrivare a San Pellegrino per la via più facile, ma non più breve, sono pur sempre 45 km di salita in direzione Emilia. Altri ciclisti ci superano ed altri ancora li superiamo lungo salita. All’ingresso di San Pellegrino c’è già moltissima gente assiepata sui curvoni ed al passaggio previsto dei corridori mancano ancora più di 4 ore. Ci sistemiamo all’interno di un minuscolo tornante e mangiamo un panino. Passiamo il tempo che resta a guardare chi passa. Ciclisti di tutte le età stanno terminando la scalata, compreso Paolo Brosio col suo gruppetto di amici giunti da Forte dei Marmi. Passa una BMW con gli adesivi de La Repubblica con alla guida il suo inviato. Una signorina dell’organizzazione vestita in abiti succinti, alla guida di una grande monovolume molto in voga in quegli anni, rimane bloccata all’interno di un tornante. Nella brusca ripartenza brucia la frizione lasciando una nuvola di fumo denso alle sue spalle. E poi le moto di ogni forma, coi loro mille adesivi variopinti ed i fotografi seduti dietro. I toscani e gli emiliani con i loro accenti diversi giunti dai rispettivi versanti ad attendere appoggiati ai guardrail. Altri amici giungono dai sentieri completamente infanganti con le loro mountain-bike. E poi quattro ore di commenti fra i più vari: sulla corsa, sulla salita, sulle biciclette, sul tempo.

Ma la cosa che ricordo più di tutte con piacere è, dopo la delusione di avere visto i corridori per una manciata di secondi, quello di scendere le rampe della tremenda salita e fermarsi al primo paese a guardare l’arrivo di tappa in una televisione posta nel giardino di un signore. 

Chi stava nel giardino, chi in mezzo alla strada senza scendere neanche dalla sella, chi aveva abbandonato la moto nella sede stradale per guardare gli ultimi chilometri dell’arrivo posto sul passo dell’Abetone. Per un istante una complicità unica ci univa. Tutto era sospeso, pure il traffico nella strada riaperta. Doveva arrivare la tappa, ed eravamo presi dalla comune curiosità nel conoscere il vincitore, solo dopo potevamo ripartire. Tagliato il traguardo ognuno andò per la sua strada. 


giro1jpg


Ci ripenso molto a questa scena di condivisione nel guardare la fine della tappa sul televisore di un signore sconosciuto che se ne stava tranquillo nel suo giardino, mentre noialtri ci eravamo assiepati alla rete alle sue spalle per capire come andava a finire il duello Casagrande-Di Luca. Lo stesso signore sconosciuto che per quei momenti ci trattava come i suoi amici più fraterni, senza nessun fastidio, anzi felice di fornire il suo prezioso elettrodomestico alla causa comune. 

Ed io ancora così ingenuo delle cose del mondo, ero così sorpreso ma allo stesso tempo rinfrancato di quell’ospitalità genuina e sincera. Alle volte credo che oggi non accadrebbe più, ed incolleremmo i nostri occhi solitari allo schermo dello smartphone scorrendo col pollice i vari social per capire il vincitore della tappa che dimenticheremo subito dopo.


*STEFANO ELMI (Nato a Barga - Appennino Tosco-Emiliano -  il 4 Luglio del 1982. Ama scrivere e andare in bicicletta, fare trekking e sci-alpinismo. Il suo diario di bordo si chiama scritti maiali.com. Di recente, a seguito di un suo viaggio esplorativo in bicicletta fra Canada ed Alaska, ha scoperto che “In Alaska fa caldo”e ne è nato un libro edito da Ediciclo)


clicca qui per mettere un like sulla nostra pagina Facebook
clicca qui per rilanciare i nostri racconti su Twitter
clicca qui per consultarci su Linkedin
clicca qui per guardarci su Instagram

e.... clicca qui per iscriverti alla nostra newsletter