Più libri più liberi - Day 2) Da Marx all'attrice-illustratrice
di LUIGI EPOMICENO*
Oggi è il giorno del riposo. Posso stare più tranquillo. All’EUR, di domenica, il parcheggio si trova. Anzi, sembra una città in lockdown.
A differenza di ieri, ho parcheggiato quasi all’ingresso.
Ormai giro per la Nuvola come un addetto alle pulizie. Conosco ogni angolo. Non devo perdere tempo a cercare l’ubicazione delle sale.
Purtroppo molti appuntamenti a cui tengo si accavallano. Dovrò scegliere.
Devo decidere se alla stessa ora assistere al percorso di Alessandro Dehò (anzi Don Alessandro Dehò) alla ricerca della risposta alla domanda fatta sul sepolcro di Gesù “Dio dove sei?” (Dov’eri? Vivere non è solo un diritto. Edizioni Paoline) oppure scoprire gli interessi letterari del teorico della lotta di classe, Karl Marx.
Opto per quest’ultimo.
Donatello Santarone in “Karl Marx e la letteratura mondiale” (Siegbert S. Prawer Bordeaux Edizioni) presenta un aspetto di Marx forse poco conosciuto. Un Marx erudito letterario che amava leggere (o studiare) Dante, Shakespeare, Goethe e Cervantes. Un Marx che confessa all’amico Engels che una volta terminato di occuparsi di economia politica vorrà dedicarsi a Balzac.
(Il professore Donatello Santarone foto di Luigi Epomiceno)
Che fosse un accanito lettore era già emerso in “La biblioteca di Marx,” sempre di Prawer, dove si legge che, a quanto pare, volesse fare il poeta. Sentiva però l’esigenza di sviscerare il meccanismo del capitale e dell’alienazione dei mezzi di produzione e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. In una struttura economica simile il rapporto tra esseri non consente di vivere a pieno la vita. La poesia doveva aspettare.
Quest’aspetto di Marx mi era del tutto sconosciuto. Che fosse erudito era evidente. Marx è poderoso e ponderoso allo stesso tempo. Per questo il tema è per pochi, come quei pochi nella sala ad ascoltare gli interventi.
Del resto l’età media della platea era sui 65 anni. I presentatori tra 70 e 75.
Altri tempi.
Sono attratto da “La storia delle storie” ovvero le avventure della parola di Marco Balzano. Mi incuriosisce la presentazione di un “audiolibro” o di un libro formato podcast. L’appuntamento è curato da Audible.
A differenza dell’appuntamento precedente nella sala l’età media è notevolmente scesa. Siamo sui 40 anni. L’autore e presentatore forse sui 35. Come prima però, poca gente in sala.
Ed è un peccato.
Assisto a una sessione a mio avviso di una straordinaria importanza.
(Marco Balzano racconta "La storia delle storie" foto di Luigi Epomiceno)
Balzano, insegnante in una scuola credo di Milano, descrive con una mostruosa semplicità la storia della parola fino ai nostri giorni.
C’era una volta la narrazione, un esercizio collettivo in cui le storie venivano raccontate. Immaginate il cantastorie con un gruppo di ascoltatori che a loro volta si trasformavano in narratori. Le informazioni e i racconti di fatti si propagavano arricchiti di personali interpretazioni.
I Fenici con il primo alfabeto e i Greci sostituiscono le parole dette con parole scritte. Il racconto diventa libro.
Tuttavia, la scrittura come la lettura di un libro è un esercizio individuale. Lo scrittore scrive nel suo silenzio. Il lettore legge sempre in silenzio. Se il racconto verbale consente interazione, la lettura di un libro no. (Del resto Socrate non scrisse niente in quanto se lo si interrogava il libro non poteva rispondere.) Il libro quindi è più meditativo.
Il podcast o l’audiolibro si inseriscono in questo rapporto introducendo una nuova variabile, ovvero la mobilità. La narrazione collettiva diventa individuale (l’ascolto avviene con cuffiette o mezzi simili) e il rapporto meditativo della lettura si alleggerisce. (Mi domando quanto si può meditare durante il multi-tasking?). Si può leggere sempre, fuori dal proprio silenzio, per strada o sotto la doccia.
Lo strumento quindi è un potente moltiplicatore di cultura: non “più libri più liberi” bensì più libri e basta. La libertà non è il risultato della quantità ma di come sappiamo leggere.
E qui Balzano mette in evidenza qualche punto debole della nostra formazione letteraria. Tra le scuole inferiori e superiori si studia più volte grammatica e sintassi ma non si insegna mai a leggere. Neppure a come usare un vocabolario. Si trascura cioè l’insegnamento della parola.
Credo che siamo allo stesso punto di quando Gutenberg introdusse la scrittura con caratteri mobili: il futuro sarà molto diverso.
Turbato da quanto ho ascoltato (ne riparleremo in qualche mia riflessione) mi accingo ad ascoltare la presentazione del libro “La mente apocalittica di Dante” di Antonio Gnoli (Edizioni Treccani Libri)
Con il fiorentino Davide Riondino che, chitarra in mano, canta una ballata biografica su Dante, Gnoli e Giacomo Marramao descrivono quanto Dante e Machiavelli abbiano in comune, oltre ad essere stati entrambi fiorentini: entrambi esuli, entrambi politici. Ma mentre Dante è pieno di odio e rancore verso la sua Firenze, Machiavelli è talmente coinvolto nel destino della sua città da proporre la soluzione ai suoi mali.
(Antonio Gnoli foto di Luigi Epomiceno)
Illuminante è il commento che con Dante nel suo De Vulgari Eloquentia si tenta l’unificazione della lingua italiana ben 500 anni prima dell’unificazione politica; in altre parole la poetica ha notevolmente anticipato la politica.
Continuo a camminare tra gli stand. Mi soffermo sugli editori di libri per bambini. Non avendone, cerco di tornare indietro nel tempo e di ricordare la mia infanzia. Credo che sui tavoli degli stand ci siano più libri per bambini che bambini per leggerli.
Mi fermo per guardare due giovani donne sedute a disegnare sulle pagine ancora bianche del libro scritto a quattro mani. Mi ritorna in mente la presentazione dell’audiolibro e della narrazione e mi immagino la classica scena del genitore che legge (o si inventa) la favola serale.
La biografia delle due disegnatrici indica che una è una attrice e regista teatrale, mentre l’altra una disegnatrice professionista. “Come mai dal teatro alla narrazione per bambini?” domando.
Mi risponde che il Covid ha messo l’attività teatrale in ginocchio e si è dovuta re-inventare una passione latente che portava dentro di sè.
A vedere la sua bravura (latente) con il disegno, immagino cosa potesse fare in teatro.
Dovrò approfondire.
*LUIGI EPOMICENO (Nato nel 1957. Sono mezzo americano e mezzo italiano, pugliese di origine, forse greco di stirpe, romano di adozione, con soste prolungate a Firenze, Milano, Genova, Chicago e Londra e continue a Parigi, Marsiglia, Madrid, New York, Amsterdam, Eindhoven, Dusseldorf, Monaco di Baviera, Praga, Amburgo, Bruxelles e Lisbona. Ho girato tutta la Grecia, l’Albania, la Francia, la Spagna, la Turchia e gli USA e ho messo piede in tanti altri posti che neanche ricordo, da Seul a Iguazù, dal Canada al Marocco passando per le isole Lofoten. Ora sono in un altro mondo. Un mondo nel Mondo. Da quasi un anno e mezzo sono il Direttore Generale del Bioparco di Roma. Prima ho fatto tante altre cose. Alcune divertenti, altre meno)
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