PENSIERI A PEDALI - Il palco a pedali, un lampo di vita

di ANDREA SATTA*

Il Palco a Pedali è una visione, una illusione, una utopia. Come tutte le utopie allontana i limiti dell'umano e straccia tutti con la fantasia. Poi un po' di quello che immagini si realizza anche, e quel passo in più è la breccia che traguarda domani. Mio nonno tornava dall'orto con la secchia piena di verdure, il passo macilento sulla stradina orlata di papaveri dietro la chiesa del camposanto e nell'imbrunire di fine estate, nonostante le maledizioni, ti rendi conto che il tramonto è già cosa fatta e le giornate si accorciano. In quello specchio di bruma si accendeva la lucina anteriore della sua bici nera con i freni a bacchetta e la marca stampata dorata sulla canna, mascherata dagli schiaffi dell'acqua e dal cancro della ruggine. La lucina andava per merito della dinamo che rotolava sul copertone anteriore e ai colpi di pedale reagiva aprendo la sua unica palpebra pesante. Lampi di vita in risposta alle accelerazioni.



Una quindicina di anni fa cominciai a torturare il mio amico del cuore, l'ingegnere elettrico Gino Sebastianelli. “Gino, ma io posso cantare mentre il pubblico pedala? Tu puoi trovare il sistema di sfruttare l'energia delle dinamo e farla diventare energia elettrica vera con cui far suonare delle casse e dentro quelle casse ci mettiamo il suono dei Têtes e la mia voce? Facciamo passare i poeti dentro i muscoli di chi va in bici, di chi ci regala i chilometri e la passione, i versi di Baudelaire, Rimbaud, Ferré, Verlaine e di Dino Campana e di quelli che abbiamo conosciuto come Edoardo Sanguineti. Ci proviamo? Non ci hanno forse definito band interstiziale, band situazionista? Non abbiamo suonato dappertutto, noi Têtes, sui tram, nei vagoni dei treni e nelle metrò, nella vasca delle otarie allo zoo o durante la fila per la consegna dei “740” e alla Posta, nei quadrifogli autostradali, per anni su un vecchio camioncino da rigattiere inteso come palco? Gino non puoi lavorarci?”. “Andrea no. Ci vorrebbero migliaia di pedalatori e poi comunque mi pare tanto difficile”.

 Un po' mi rassegnavo, un po' glielo ricordavo, poi un giorno arrivò una telefonata di Gino, quella che sognavo. “Andrea, sei un rompicoglioni, ho rifatto i conti, forse, e dico forse, ce la facciamo, ma servirebbero queste dinamo, dinamo di questo tipo ... e le devo trovare, costeranno un sacco di soldi”. Gino le dinamo le trovò, le trovò in Texas. Ma i soldi? Andammo dall'assessore della Regione Puglia Guglielmo Minervini. Il fratello di una amica mi disse che questo personaggio così speciale poteva innamorarsi davvero di una faccenda tanto visionaria. E così fu. Gli spiegai tutto e prima che finissi di parlare mi disse: “Andrea, mi sembra una cosa bellissima, quanti soldi ci vogliono per mettere in piedi questo Palco a Pedali?” Io feci i conti all'osso e lui: “Ci siamo” e nell'estate del 2011 il Palco a Pedali, dopo pachidermica gravidanza, venne alla luce al porto di Bari, con prove generali al Cinema Palazzo, a Roma, nel cuore torrido di agosto.

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Stavamo anche girando le immagini imperdibili e purtroppo perdute di un film che non vedrete mai, proprio sulla nascita di questa utopia, sul Palco a Pedali, con dentro personaggi irripetibili, come Alfredo Martini, il CT del ciclismo e il terzo uomo dopo Coppi e Bartali nella Cuneo-Pinerolo del '49, la mitica Margherita Hack, Francesco Di Giacomo e tanti altri, regia di Agostino Ferrente, recente vincitore ora, con Selfie, del David Donatello come miglior documentario. Agostino compagno di viaggio del palco a pedali dalla prima ora, come Mauro Diazzi che lo ha aiutato a crescere e proposto in giro per l'Italia negli anni successivi. Lo abbiamo difeso il Palco a Pedali da un destino commerciale, abbiamo detto sempre chiaro e forte che è un gesto politico e di tutela del territorio, che avere il Palco a Pedali in una manifestazione è la scelta di uno stile di vita. Abbiamo rinunciato da subito a proposte per noi antitetiche ancorché convenienti. 

Il Palco a Pedali è un segno più che un sogno. È stato a Milano con Roberto Vecchioni e Sergio Staino, a Sanremo nel circuito del Premio Tenco, a Roma con Mario Tozzi nel Parco dell'Appia Antica, in uno degli scenari più incredibili del mondo, ancora a Roma a Castel Sant'Angelo per il giorno della Terra con il WWF con Niccolò Fabi ed Elisa, a L'Aquila, dopo il terremoto, con Francesco Di Giacomo del Banco del Mutuo Soccorso, a Firenze con Marc Augé e tantissimi altri ospiti, a Napoli per inaugurare il Lungomare Caracciolo pedonale, a Cinisi, nel paese di Peppino Impastato, a San Giuseppe Jato in quel viaggio di testimonianza civile in Sicilia, a Latina nella “Giornata delle vittime di tutte le mafie” ancora con Libera. Lì i Têtes non suonarono, ma si pedalò, tutti insieme, solo per ascoltare i nomi dei quasi mille morti ammazzati dalla mafia; a pedali, nel silenzio, fruscio delle catene, cognomi e nomi. Poi si è andati in scena in tante altre piazze d'Italia e ogni volta quella bicicletta, quella personale, ha fatto la magia, acceso il suono, le luci, le voci, ogni volta abbiamo rinunciato alla corrente elettrica per partecipare a un gesto collettivo. Nella Primavera del 2019 il Palco a Pedali era in Piazza del Popolo a Roma, al centro di uno dei momenti più significati e generazionali di questi ultimi anni, amplificando la voce di Greta Thumberg davanti a migliaia di ragazzi giunti da tutta Italia per gridare che la Terra è la loro e che assolutamente “non c'è più tempo” da perdere.

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La bicicletta è trasparenza e semplicità, è un triangolo e due cerchi, è raggi cromati e luminosità. È darsi del tu, è rispetto e fatica, è la leggerezza e la gratitudine della discesa. Per questo ho rabbia quando la vedo sfruttata da chi ne utilizza i valori per promuovere altro, quando le Banche la fanno passare dietro ai loro loghi, ma poi certo non finanziano piste ciclabili. E questa esplosione della bicicletta come mezzo per la libertà non va sprecata, questa incredibile occasione non va perduta. La velocità della bici, il senso del gioco che si trasferisce nell'età adulta e prosegue, un gioco che poi è uno sport, ma anche un mezzo di trasporto, questo è la bicicletta. È l'infanzia che non ti abbandona mai.


*ANDREA SATTA (Cantautore, scrittore e voce dei Têtes de Bois, ogni giorno fa il pediatra nella periferia romana. A 8 anni viene selezionato per lo Zecchino d’Oro, ma la sobrietà familiare fa naufragare il progetto. Ripiega sul ciclismo, la geografia, la medicina. Nel 1992 fonda i Têtes de Bois. Tra i principali eventi ideati e in cui ha svolto il ruolo di direttore artistico “narrante”: il “Palco a Pedali”, “Stradarolo”, “Mamme Narranti”. Con i Têtes de Bois è stato premiato con la Targa Tenco 2002 (come interprete) con “Ferré, l’amore e la rivolta”, nel 2007 con “Avanti Pop”, e nel 2015 con “Extra”. Ha scritto I riciclisti , Ci sarà una volta, Officina millegiri, Mamma quante storie!, Pise e Pata) 


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