Ottava tappa, Foggia-Guardia Sanframondi - Da Federico II ai tornanti del Matese
di MARCELLA CIARNELLI*
Se ci fosse Renzo Arbore, napoletano per sorte ma figlio colto, fantasioso e dirompente di Foggia, alla partenza dell’ottava tappa del Giro d’Italia che prende il via proprio dal cuore della città più a nord della Puglia, dovrebbe per necessità cambiare il titolo ad una delle sue trasmissioni televisive più popolari. E come si fa a dire agli oltre duecento atleti in gara “Indietro tutta!”. E no, ci vuole un avanti tutta per invitarli a percorrere, con i polpacci tesi e i polmoni e il cuore in pressing, i 170 chilometri del percorso tra pianura e picchi, con l’arrivo fissato a Guardia Sanframondi, antico comune in provincia di Benevento le cui origini sono forse romane ma anche sannite o normanne. Comunque antichissime. Come quasi tutto da queste parti.
Puglia, dunque. Ma anche Campania e per un po’ di chilometri anche Molise per questa ottava tappa, la più a sud. Sono tre le regioni da scoprire attraverso un percorso di neanche duecento chilometri. Il tavoliere della Puglia, tremila chilometri quadrati di pianura, la più estesa d’Italia dopo quella padana, di cui anche Federico II subì il fascino fino a dire “se il Signore avesse conosciuto questa piana si sarebbe fermato a vivere qui”. Il massiccio del Matese che supera i duemila metri nel punto più alto, e poi, poco lontano, anche se di là il Giro per riavviarsi al nord non passerà, si avverte la presenza del Gargano e, quindi, del mare. Anche da lontano.
(Foggia)
Foggia, capoluogo della Capitanata, è città antica. Antichissima. La città faceva parte del più grande villaggio del Neolitico in Europa, tra il VI e il IV millennio avanti Cristo. Ricca di storia ma anche di tragici eventi. Terra ballerina, da sempre ha pagato nei secoli uno scotto molto caro ai terremoti, il peggiore nel 1731, che l’hanno ferita mutandone aspetto e potenzialità. Come hanno fatto le bombe dell’ultima guerra. Una città con forte vocazione agricola, e come potrebbe essere altrimenti con quel ben di dio di terra su cui sorge. Ma è anche luogo di ricerca e innovazione. Il passato da rammodernare. Il futuro da costruire.
Sono
pienamente belle e ricche le coltivazioni da queste parti, con quei filari di
uva e gli alberi d’olivo, il grano e le piantagioni di pomodori. Attirano i
braccianti che devono lavorare per vivere ma la cui necessità si scontra ancora
con il caporalato. Ingaggiati a giornata, pagati in nero e senza diritti.
Questa è la terra di Giuseppe Di Vittorio ma lo sfruttamento è ancora una
cronaca tragica e attuale, non modificata se non in parte dalle leggi che
pure ci sono state.
Una situazione antica che è stata cantata da Matteo Salvatore, il poeta analfabeta di Apricena, dei cui versi Italo Calvino scrisse “le parole di Matteo Salvatore noi le dobbiamo ancora inventare”. Dal ’55 in poi è stato il “grande poeta della povera gente” per dirla con Eugenio Bennato. Un artista che piaceva a Lucio Dalla, a Pier Paolo Pasolini, a Giovanna Marini e a Vinicio Capossela. Un uomo sensibile al dramma degli ultimi ma che non ebbe alcun rispetto per la sua compagna arrivando ad ucciderla nel 1973. Un omicidio, un femminicidio atroce per cui scontò solo quattro anni. Lui è morto nel 2005. Vive ancora nella sua musica con festival e rassegne in suo nome.
(Lucera)
Tutta un’altra musica quella di Umberto Giordano, il compositore foggiano cui la città ha reso omaggio intitolandogli il teatro più importante, il Conservatorio e una piazza. Quasi a risarcimento di un rapporto difficile con il compositore che se ne andò da qui, pare offeso poiché mentre lui suonava al piano del Circolo cittadino le sue melodie i soci avrebbero scelto di giocare a carte, facendogli preferire, alla fine del 1800, Milano, la città dove fu composto Andrea Chénier e poi Fedora. E che una piazza dietro San Babila gliel’ha intitolata. La ricucitura che pure ci fu non è mai stata tale da cancellare l’incomprensione di fondo.
E tutto un altro gusto per l’ironia e la battuta rispetto ad Arbore quella di Pio e Amedeo, i due artisti foggiani sostenitori dell’opposizione al politicamente corretto. L’intervento nel corso della loro trasmissione “Felicissima sera” ha fatto molto discutere. Può la buona intenzione consentire l’uso di determinate parole in certe situazioni altrimenti considerate offensive ? Loro hanno continuato a difendere la tesi per cui più della parola usata conta il significato che vuoi darle. Su questo presupposto negro equivale a nero. Il dibattito continua.
(Il Matese)
Federico II ha lasciato qui tracce importanti. La sua passione per questa parte di Puglia è nei documenti, negli scritti e nelle costruzioni. Nonostante i terremoti sono molti i palazzi antichi e i monumenti. Mura, archi, dimore di nobili e potenti, più di cinquanta chiese. L’antico palazzo della dogana delle pecore che gli Aragonesi vollero per sovraintendere al passaggio degli animali in transumanza e trarne guadagno.
Sono chilometri in pianura quelli che vanno da Foggia a Lucera, la “chiave di Puglia”, che mostra con orgoglio la sua fortezza svevo-angioina, il suo ben conservato centro storico, l’anfiteatro augusteo che è tra i più antichi dell’Italia meridionale. Da qui in poi il dislivello sale fino a Campobasso che è Molise. Il Castello Monforte, anche qui un antico teatro e chiese romaniche. E le mozzarelle, Bojano è vicina, che con l’olio, il vino e il grano di queste terre sono da considerarsi monumento nazionale come i caciocavallo e il provolone, il canestrato e la ricotta. Tutti patrimonio dell’umanità. Da difendere e far crescere. In nome della tradizione ma anche di una prospettiva sempre maggiore di sviluppo. Come tutti i prodotti di questa parte d’Italia.
(Guardia Sanframondi)
Dai, si comincia a salire. Si va per venti chilometri. Il punto più alto della tappa è fissato a Bocca della Selva, siamo già in provincia di Benevento, una località turistica a 1392 metri d’altezza che comprende i territori dei comuni di Piedimonte Matese, Cusano Mutri, San Gregorio Matese. Durante il Giro 2016 qui fu assegnato il Gran premio della montagna di seconda categoria. Il premio per la fatica della salita è previsto anche quest’anno. Anzi due, poiché ce n’è un altro all’arrivo a Guardia Sanframondi.
La lunga discesa da Bocca della Selva porta a dieci chilometri dal traguardo. Passando per Telese, l’antica Telesia i cui ruderi sono ancora visitabili. Luogo di grandi abbandoni e di rinascita è la città delle Terme e del lago che hanno contribuito ad una vocazione più turistica che agricola anche se lì vicino c’è Solopaca che è come dire il vino. Lo stesso vale per i pugliesi bianchi, rosati e i rossi Primitivo, Negroamaro, Nero di Troia
Un buon bicchiere e domani si riparte da Castel di Sangro per arrivare a Campo Felice. Tutto un saliscendi in altitudine.
*MARCELLA CIARNELLI (Romana di ritorno, napoletana per sempre. Giornalista per passione
sempre all’Unità. Una vita a seguire le istituzioni
più alte fino al Quirinale senza perdere la curiosità per ogni altro
avvenimento. Tante passioni:
il cinema, il teatro, i libri, gli animali, il mare, i viaggi, la cucina, gli umani nelle loro
manifestazioni più diverse…e la squadra del Napoli)
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