Nibali, viale del tramonto di un eterno attaccante
di PAOLO BRANCA*
L'ultima vittoria di un italiano al Giro risale a cinque
anni fa, 2016.
Di due anni prima, 2014, è l'ultima vittoria azzurra al Tour de France.
Negli albi d'oro il nome è naturalmente lo stesso, quello di Vincenzo Nibali, per giudizio pressoché unanime il più forte ciclista italiano del nuovo millennio. L' omaggio è dunque doveroso in questo Giro d'Italia nel quale ancora ieri, nel tappone del Passo Giau, ha dato l'ennesima prova di orgoglio e di coraggio, in fuga col solito gruppo di attaccanti sotto la pioggia battente nonostante una condizione non proprio ottimale. E' andata male, è stato ripreso e staccato dai migliori della classifica generale, ma ci riproverà ancora. Alle soglie dei 37 anni, per temperamento e caratteristiche del resto Nibali sembra più vicino ai suoi eredi che ai suoi contemporanei: attaccante nato, pronto a buttarsi nelle fughe anche più improbabili, intelligente ma non proprio calcolatore, come è frequente (e bello) vedere nel ciclismo d'oggi.
(Dal passo Giau)
Avrebbe potuto vincere di più? Forse qualche classica (anche se nel suo palmares ci sono due giri di Lombardia e una Milano-Sanremo, vinti con irresistibili attacchi da lontano). Mancano le corse monumento fuori dall'Italia, ci ha provato solo alla Liegi-Bastogne-Liegi, ma forse gli era più congeniale il Giro delle Fiandre, anche per il suo grande talento nel guidare la bicicletta, sia in discesa sia nello sterrato e nelle pietre. E naturalmente gli manca la maglia iridata, sfiorata nel mondiale di Firenze del 2013, quando una caduta nella discesa bagnata pose fine al suo sogno. E un oro olimpico: ci riproverà a luglio ai Giochi di Tokio, per l'ulima volta.
Ma il suo "medagliere" è comunque quasi senza uguali. Il corridore siciliano fa parte del ristrettissimo club di campioni capaci di vincere, nella loro carriera, tutti e tre i grandi giri, Giro, Tour e Vuelta: Anquetil, Gimondi, Merckx, Hinault, Contador, Froome e appunto Nibali. (Non tragga in inganno l'assenza di Bartali e Coppi, ai loro tempi la Vuelta era considerata una corsa minore e snobbata). Se è stata la vittoria al Tour del 2014 a proiettarlo nel gotha del ciclismo mondiale è però nel Giro che probabilmente ha dato il meglio. Il primo successo nel 2013 è stato un capolavoro di classe e di potenza, una sfida vinta sulle grandi salite innevate, davanti a Uran e Evans. Il secondo ancora più bello - tre anni dopo - soprattutto perché frutto di una rimonta clamorosa, sempre nelle salite e nelle discese dell'ultima settimana, sulla quale ormai nessuno scommetteva. E oltre alle vittorie finali altre quattro volte è salito sul podio. Otto partecipazioni, mai un ritiro. Anche questa volta, nonostante un'altra caduta ne avesse messo in dubbio la prosecuzione proprio alla vigilia della tappa di ieri.
(Nibali 2016 foto Andrea Pellegrini - Opera propria, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=50768227)
Certo riesce difficile immaginare un ciclismo italiano senza più Nibali. Della generazione successiva si nutrivano grandi speranze per Fabio Aru, ma dopo un esordio che sembrava ripercorrere le orme del suo ex capitano ai tempi dell'Astana (la vittoria di una Vuelta, la conquista della maglia gialla per alcuni giorni al Tour, il podio al Giro, la conquista della maglia tricolore), nelle ultime stagioni del corridore sardo si sono perse le tracce. Di quella generazione resta Damiano Caruso, l'altro grande siciliano condannato però ad una vita da gregario, che si sta confermando come l'unico vero rivale del colombiano Bernal in questo Giro. Non mancano naturalmente le giovani promesse, i Ciccone, Masnada, i Ganna (per le classiche e le cronometro), i Fortunato, trionfatore sullo Zoncolan, ma il confronto con alcuni loro coetanei (Pogacar e Bernal su tutti) è impietoso.
Teniamoci dunque Nibali, finché è possibile. Magari anche sul viale del tramonto troverà un saliscendi, un poggio, dal quale lanciare gli ultimi attacchi.
*PAOLO BRANCA (Cagliaritano, 1958. Giornalista in pensione dopo una vita professionale trascorsa interamente a l'Unità. Tra i suoi vanti aver visto il Cagliari vincere lo scudetto e aver corso sei volte l’Eroica da 135 chilometri)
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