Napoli in penombra / 7 Nonn'Anna

di VINCENZO CROLLA*

E così ci siamo finiti ancora. Sempre col cuore in gola: ci sarà? Ci sarà ancora? Oppure dovremo, con faccia contrita e groppo in gola, ascoltare che il tempo ha fatto il suo lavoro da scultore con
subbia, unghietta e mazzuolo togliendo da quel corpo di regina tutto quello che volgarmente considera superfluo?

Entriamo guardinghi e lo sguardo corre subito a quell’angolo ricavato apposta per lei nel vertice opposto all’ingresso, quello dal quale si accede alla minuscola ma agita, ed agitata, cucina.
Lei non c’è più. Non sta più serena al suo posto, con addosso tutti i suoi novant’anni, settanta e passa dei quali trascorsi qui, in questi 30 metri quadrati. Quadrati sul serio.

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Non sta più al suo posto incurante, all’apparenza, dell’andirivieni di figli, figlie e nipoti che si alternano tra banco e cucina e cassa: parenti e non solo. Anche qualche giovane extracomunitario che ha trovato ricetto e qui impara a districarsi tra pasta e fagioli, stocco
alla cassuola, pasta e piselli e purpetielli alla luciana. Era gentile Nonna Anna, affabile, come solo sanno e vogliono essere le persone che hanno faticato la vita senza lacrime da piangere ma con il piacere di dare piacere; di sentirsi gratificate e liete del sorriso dell’altro, dell’apprezzamento del cibo che lei offriva lì, in quel “buco di culo” di mondo nell’angolo in alto a sinistra del
Mercatino Rionale della Torretta.

Era nativa di Mergellina Nonn’Anna. E se non ce l’avesse detto lei, con sguardo e parole complici, ce l’avrebbe detto la sua faccia di scugnizza; ce l’avrebbe detto la sua pelle vizza e pur sempre fresca, piena ancora del sole raccolto tra lo scoglio di Frisio e la spiaggetta di Largo Sermoneta, all’epoca dominio incontrastato di “cozzecari” e spacciatori di frutti di mare crudi. 

Non avevamo in programma questa visita stamattina. L’idea, non il programma, ché mai ne abbiamo uno, era, com’è stato, di scendere verso il mare dal lato di Via Orazio e, dalla Chiesa di Sant’Antonio a Posillipo, percorrendo poi le rampe che da lì menano verso il mare, arrivare al Parco Virgiliano dove accanto al cantore di Enea, tra pini e cipressi, riposa anche quel geniale
recanatese che qui volle morire: Giacomo Leopardi; che a Napoli venne a misurare il respiro nella speranza di riaprirlo libero e forte e, che con l’aria, la luce e il mare, anche la depressione abbandonasse i suoi passi.

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In quel luogo “affatato” l’anima si libera, ma anche il corpo comincia a pretendere del suo e Donn’Anna, il suo lascito popolare e popolano, sembra star lì come le sirene di Ulisse davanti all’isola Li Galli. Il suo canto è irresistibile e a te manca la cera. Che ormai non usa più. E così ti arrendi. E ti siedi. E sei fortunato stavolta, perché i due posti che la figlia di quella regina senza corona ti trova sono proprio i due liberi accanto a quello che, sempre occupato da lei, adesso è vuoto. Ma, miracolo dei miracoli, ti sembra come in sogno che lei stia lì, che ti guardi, ti sorrida e ti riconosca. E si ricordi di te e di Giorgio che, il mercoledì e il venerdì, avevate perfetta coscienza che lì avreste trovato accoglienza gentile e lo “stocco alla cassuola”.


* VINCENZO CROLLA (1947 - ancora vivo; ferroviere, dopo aver viaggiato per 25 anni a sbafo decise che poteva bastare. E comprò una libreria, per leggere a sbafo. Gli riuscì per altri 18 anni)


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