Napoli in penombra /2 Sandor Marai e la villa di Posillipo

di VINCENZO CROLLA

 

Quando, anni fa, mi imbattei in Sandor Marai e nel suo "Le braci" volli sapere tutto di lui e della sua opera. Scoprii così un borghese mitteleuropeo a tutto tondo, innamorato di quella parte di Europa, l'Europa di mezzo, compresa tra i mari del Nord e il Baltico, tra l'alto Adriatico e il Bacino danubiano. Spirito ribelle e inquieto, aveva trascorso gran parte della sua vita tra Budapest, Vienna, Berlino e Parigi;  per cui scoprire che fuggito dall'Ungheria nel '48 volle vivere a Napoli, sulla collina di Posillipo,  quattro anni della sua vita mi sorprese non poco. Ancora più stupefacente fu scoprire che in quel tempo - e a quei luoghi - aveva dedicato uno dei suoi romanzi meno noti:  "Il sangue di San Gennaro",  ambientato sul Capo di Posillipo quando questo ancora non era stato preda e vittima delle fameliche "mani sulla città".

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 La Posillipo del Casale era ancora, all'epoca, un territorio extraurbano abitato da cafoni. Persone semplici che si inventavano la vita tra mille mestieri: contadini, pescatori e cacciatori. Tutto insieme. Il romanzo, si sa, cesella la realtà col bulino della fantasia; edulcora e arricchisce secondo gli estri di chi scrive gettando un ponte verso chi legge. Diedi perciò poco peso alla narrazione di Marai che raccontava di come i posillipini, nel loro ruolo di cacciatori, si industriassero a stanare e a impallinare fagiani e fagianelle per aggiungere qualche grammo di proteine animali alla loro dieta povera di nutrienti; e archiviai la cosa come il frutto della classica "licenza poetica".

 Mi sbagliavo. Clamorosamente. Me ne resi conto tempo fa, quando, dopo anni di abbandono, il comune si decise di ripulire e restituire alla città la casa di Vedio Pollione meglio nota ai napoletani come Grotta di Seiano.  Publio Vedio Pollione, liberto di origine beneventana, consigliere economico di Augusto, ormai pensionato, volle trascorrere il resto della vita su quel piccolo promontorio di Posillipo più noto ai napoletani col nome di Gaiola. Arrivarci non fu facile; per raggiungerla fu necessario scavare un tunnel sotto la collina lungo quasi un chilometro. L'impresa richiese tempo e fatica ma ne valse la pena. Lo capirono tutti, anche gli schiavi sfiniti, quando finalmente il sole li stordì. E riempì di luce e di colori i loro occhi increduli. Nisida alla destra, Monte di Procida, Procida e Ischia più in là, la spiaggia di Trentaremi sotto di loro. Intorno una vegetazione autoctona arbustiva ricca e varia: la rarissima Iberide Rossa e il Crescione d’Acqua; la Violaciocca Rossa e il Cappero Spinoso; la Rosa Canina e la Senape Bianca; il Pioppo tremulo e la Malva Silvestre.

 Lo stupore spesso disorienta e intontisce, la meraviglia sbalordisce e regala spesso palpitazioni e senso di svenimento, come un'improvvisa Sindrome di Stendhal. Esattamente quel che successe a me quando un'intera famigliola di fagianelle tinte dei colori di quella terra e di quel mare, attraversando il mio sentiero mi tagliarono il cammino e, sia pure, per un attimo mi impedirono il respiro..

1 - Capodimonte

3 - Spaccanapoli



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