Merckx non si tocca, ma Cavendish è un fenomeno del Tour numero 108

di PAOLO BRANCA* 


Premessa: nel ciclismo le vittorie si pesano, non basta contarle. Un po' come i voti in politica.  Un conto è una Parigi-Roubaix, un conto una corsa di seconda fila. E anche nel corso delle stesse corse a tappe ci sono le vittorie per distacco, le imprese in salita, le cronometro, le volate. Dunque: è improponibile il paragone tra le 34 vittorie di Eddy Merckx al Tour De France (ottenute con grandi distacchi, in salita, a cronometro, difendendo o conquistando la maglia gialla e anche in volata) e le 34 di Mark Cavendish, tutte in volata. E' stato lo stesso velocista inglese a ribadirlo con apprezzabile modestia, dopo la vittoria numero 34, quella del pareggio: "Merckx? Non fate nemmeno quel nome...".  

Del resto il campione belga non sembra facilmente paragonabile neppure ai fuoriclasse che gli sono meno lontani, come ad esempio gli altri vincitori di 5 Tour de France (Anquetil, Indurain, Hinault) e quando ce n'è stato uno che di Tour ne ha vinti sette, l'americano Lance Armstrong (prima della revoca dei titoli per "doping sistematico"), a nessuno sarebbe venuto in mente una similitudine: Armstrong correva solo il Tour, Merckx correva e vinceva il Tour e tutto il resto. Del resto gli stessi italiani cresciuti nel mito di Coppi hanno dovuto coniare la frase un po' dorotea: "Merckx è stato il più forte, Coppi il più grande...".


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Detto tutto questo, l'impresa di Mark Cavendish in questa edizione 108 del Tour de France è a dir poco straordinaria. Non tanto per un fatto statistico. E' la sua storia personale a rendere questa impresa unica: Mark Cavendish ha 36 anni, è originario dell'isola di Man, tra il Regno Unito e l'Irlanda, prima di scoprirsi ciclista lavorava in banca e aveva intrapreso la carriera di calciatore. Nel ciclismo si è rivelato un fenomenale sprinter. Oltre 120 vittorie, tra cui un mondiale su strada, un mondiale su pista e una Milano-Sanremo. Ma da tempo si era eclissato. Non vinceva più, al Tour addirittura da 5 anni, era ormai giunto sull'orlo del ritiro. Colpa di una complicata mononucleosi a cui era seguita una forte depressione. E lo sprinter più vincente non trovava più un ingaggio. E' stato ripescato alla vigilia del Tour dalla sua vecchia squadra belga - la Deceuninck-Quick Step - e dal suo storico presidente Lefevere, quasi come un omaggio alla carriera. Ma non era nella lista degli iscritti: è stata solo la rinuncia dal velocista numero uno della squadra - Sam Bennett - ad aprirgli la strada della sua ennesima Grande Boucle.
All'inizio sembrava più che altro un ritorno affettivo. Poi sono tornate anche le sue volate imperiose. Alla quarta tappa a Fougeres, grande festa per il campione ritrovato. Poi a Chatearoux, Valence e Carcassonne, sempre mettendo in fila i velocisti più forti. Ed eguagliando così il record di Eddy Merckx. Ma senza darsi troppa importanza. Nelle interviste del dopo tappa, invitava a guardare altrove, ad esempio alla ciclista olandese Marianne Vos che lo stesso giorno aveva conquistato la trentesima vittoria al Giro d'Italia femminile. E di Merckx nemmeno a parlarne: "Lui è il più grande di tutti i tempi".


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Forse è vero, la storia non va scomodata troppo facilmente. Ma è difficile dare torto al Guardian che ha definito quello di Cavendish "il più grande ritorno nella storia del ciclismo". Se riuscirà a superare indenne i Pirenei, potrebbe ottenere il record assoluto nell'ultima tappa sotto l'arco di trionfo. Se nel ciclismo le vittorie si pesano, quella sarebbe comunque una vittoria pesantissima.


*PAOLO BRANCA  (Cagliaritano, 1958. Giornalista in pensione dopo una vita professionale trascorsa interamente a l'Unità. Tra i suoi vanti aver visto il Cagliari vincere lo scudetto e aver corso sei volte l’Eroica da 135 chilometri)


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