Ma Putin è un criminale di guerra?

di ANNA DI LELLIO*

(immagini da pixabay)


Avrebbe fatto bene il presidente americano Biden a chiamare Putin un criminale di guerra, il suo segretario di stato Tony Blinken a rincarare la dose, e oggi il ministro britannico della difesa James Heappey a unirsi al coro? Forse no. Se l’obiettivo è il cessate il fuoco, sarebbe meglio evitare di stuzzicare le ire di Putin con un’escalation della retorica. Il messaggio però non è diretto solo al leader russo, ma anche alle sue truppe. Dall’inizio della guerra si sta accumulando un enorme numero di prove sulla condotta criminale dell’ esercito russo in Ucraina, cioè sulla sua totale mancanza di rispetto della distinzione tra combattenti e non. E se Putin è davvero un criminale di guerra, lo sono anche le sue truppe. 

Sarà certamente molto difficile, quasi impossibile, arrestare e portare in tribunale Putin, ma lo stesso non vale per gli altri. Se possiamo leggere una qualche strategia in quella che sembra una leggerezza imprudente nelle dichiarazioni dei leader americani e britannici, forse è quella di usare la legge e la giustizia internazionali come deterrente per le truppe russe. Potrà il timore di essere un giorno indiziati e processati frenare gli ufficiali e i generali russi? Restiamo ottimisti.



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Leggo invece in alcuni commenti che sarà difficile stabilire la colpevolezza di Putin, che resta seduto al Kremlino o in un bunker a Mosca, a chilometri di distanza dalla guerra. Invece non è vero, e non è vero da tempo che la lontananza dal teatro della guerra possa servire come assoluzione. La responsabilità del comando è infatti definita in modo preciso dalle leggi della guerra da molto tempo, e precisazioni aggiunte dalla Corte Penale Internazionale (ICC) aggravano la situazione di Putin.


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(Il procuratore della corte penale internazionale   Karim A.A. Khan)


Ma procediamo con ordine. Secondo la Regola numero 153 del Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) “responsabilità del comando” significa che sono responsabili di crimini di guerra i leader militari e politici (capi di stato, ministri o anche sindaci, per esempio), che sono a conoscenza o dovrebbero aver saputo che i loro subordinati hanno commesso o stanno commettendo crimini di guerra. Lo statuto dell’ICC, specificatamente l’Articolo 28, ha introdotto invece un ulteriore standard per i superiori civili: per riconoscere la responsabilità di un leader come Putin si deve dimostrare che o è a conoscenza, o ha “coscientemente ignorato informazioni che indicano chiaramente che i suoi subordinati stanno commettendo o stanno per commettere tali crimini”.  

La giurisprudenza è chiara. Come applicarla è un po’ più complicato, ma non impossibile. La prima domanda è: Chi può decidere se l’accusa di Biden ed altri è solo un insulto o invece rappresenta un’affermazione dimostrabile in tribunale?

Ho deciso di procedere con l’apertura di una inchiesta” ha detto il 28 febbraio Karim A.A. Khan, il procuratore dell’ ICC, parlando della guerra di aggressione russa in Ucraina. Da un’inchiesta preliminare, il suo ufficio ha determinato (qui) che esiste già una “base ragionevole” per credere che crimini di guerra e contro l’umanità siano stati commessi in Ucraina e quindi per lanciare un’ investigazione a tutti gli effetti.

Può farlo? Né l’Ucraina né la Russia hanno firmato il trattato che ha istituito la Corte, quindi non sono sotto la sua giurisdizione. (Se per questo neanche gli USA, che l’hanno firmato ma non l’hanno mai ratificato, quindi la firma da sola non vale). La stessa ICC risponde in modo chiaro e succinto a quella domanda (qui). È vero che la Corte può aprire inchieste su un conflitto solo agendo su richiesta del Consiglio di Sicurezza dell’ONU o di uno stato che fa parte del trattato che l’ha istituita, e sappiamo che dal Consiglio di Sicurezza non verrà alcuna richiesta.


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Esiste però una terza possibilità: il procuratore può agire motu proprio, cioè di propria iniziativa, ma solo se i crimini in questione sono commessi da uno stato, o sul territorio di uno stato, che riconosce la Corte. Se la Russia e l’Ucraina non fanno parte di questa categoria, accade però che l’ Ucraina abbia accettato ufficialmente la giurisdizione della Corte nel 2014 (qui) e nel 2015 (qui). In questo modo ha offerto alla Corte la capacità di esercitare la propria giurisdizione su crimini che sarebbero stati commessi in Ucraina dal 2014.  

La posizione del procuratore dell’ICC in questo caso è rafforzata dal fatto che molti stati hanno presentato al suo ufficio una richiesta formale di aprire un’investigazione sul conflitto in Ucraina: per la precisione 39 stati fino a pochi giorni fa, e 41 ad oggi, con la recente aggiunta del Giappone e della Macedonia del Nord. E non è tutto.

La Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) ha chiesto formalmente il 16 marzo alla Russia di sospendere tutte le operazioni militari in Ucraina (qui). Non è la sentenza definitiva nel caso Ukraine v. Russia, è solo una misura provvisoria, approvata con 13 voti su 15. Gli unici a non votare a favore sono stati il giudice russo Gevorgian e il cinese Xue, con il giudice indiano che si è aggiunto alla maggioranza. Anche se provvisoria, la sentenza obbliga legalmente la Russia a rispettare la decisione, secondo l’articolo 94 del Charter dell’ONU. Se in pratica è impossibile fare applicare questa sentenza, rappresenta comunque un’ulteriore aggravante per la Russia, perchè avrà un impatto negativo sulla sua giustificazione della condotta di questa guerra.

Alla base della richiesta di cessare immediatamente le ostilità, l’ICJ riconosce l’alto numero di caduti e feriti civili, la distruzione di infrastrutture ed edifici residenziali, e in generale la creazione di condizioni che rendono la vita impossibile per la popolazione ucraina, inclusa la possibilità di fuggire dal conflitto: sono tutti crimini di guerra.  A questa valutazione si aggiunge la risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU del 2 marzo (qui) che chiede il cessate il fuoco per fermare le sofferenze della popolazione civile. In parole povere, sia la Corte che l’Assemblea Generale hanno avvertito Putin di fronte alla platea di tutto il mondo che, se non se ne fosse accorto, il suo esercito sta commettendo crimini di guerra. Sarà molto difficile per lui negare di esserne stato a conoscenza.

Ammettiamo che un giorno non troppo lontano arrivi un avviso di garanzia a Putin. Cosa succederebbe? Molto probabilmente nulla, a meno che il suo stesso sistema di governo non si sfaldi e decida di spedirlo all’Aja. Non è una decisione facile in un sistema autoritario.



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Slobodan Milošević, il presidente della Serbia indiziato dal Tribunale Internazionale Criminale per l’ex-Jugoslavia (ICTY) per crimini di guerra e crimini contro l’umanità in Kosovo nel maggio del 1999, e più tardi in quell’anno per crimini  commessi in Croazia e Bosnia (qui anche genocidio), non fu arrestato fino al 2001. Fu poi estradato all’Aja il 29 giugno 2001, nell’anniversario della battaglia del Kosovo del 1389 che ha tanto spazio nella propaganda nazionalista serba. Ci volle il coraggio del primo ministro serbo Zoran Djindjić ad arrestare un presidente ancora sostenuto dall’intero apparato statale.  Due anni dopo, Djindjić fu assassinato dagli amici di Milošević sulla scalinata che porta al Parlamento. L’attuale presidente della Serbia è l’ex-Ministro dell’Informazione di Milošević.

 Al Bashir, ex-presidente del Sudan, è stato indiziato dal procuratore dell’ ICC Luis Moreno Ocampo per crimini di guerra, contro l’umanità e genocidio in Darfur. Era l’anno 2008. Arrestato nel 2019 in seguito a proteste popolari che fecero cadere il suo governo, è attualmente in prigione, accusato di corruzione e recentemente anche del colpo di stato che lo portò al potere. Sembra che i sudanesi non vogliano estradarlo ma preferiscano processarlo in casa.

 Ma la storia di al Bashir offre un  avvertimento a Putin. Anche se  non fosse possibile arrestarlo, un avviso di garanzia dell’ICC gli impedirebbe di viaggiare in paesi da dove potrebbe essere estradato. Per esempio, Al Bashir si salvò per un pelo nel 2015 quando, ospite in Sud Africa al venticinquesimo summit dell’Unione Africana,  gli fu servito un  ordine di arresto da parte dell’Alta Corte di quel paese. Neanche il Sud Africa però è parte dell’ICC e le autorità lo fecero salire in fretta su un aereo e lo rispedirono a casa. Da allora al Bashir è rimasto in Sudan.

È dunque probabile che per Putin si profili, se non la detenzione, almeno un’eterna permanenza  a casa.


*ANNA DI LELLIO  (Sono Aquilana di nascita, ma mi sento più a casa a New York, Roma, e Pristina. Un po' accademica, un po' burocrate internazionale, e un po' giornalista. Ovviamente ho lavorato per l’Unità. Tra le mie grandi passioni giovanili c’erano lo sci, la lettura, i viaggi, il cinema e la politica. A parte lo sci, sostituito dallo yoga, le mie passioni attuali sono rimaste le stesse)

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