Le sette signore di Chenonceau

di MANUELA CASSARA' e GIANNI VIVIANI*

Sette donne hanno lasciato il loro segno nel castello di Chenonceau e nella storia di Francia. Sette donne potenti: cortigiane intriganti, regine lungimiranti, borghesi megalomani, ereditiere eroiche.  Non a caso viene chiamato “ Il castello delle Regine” o, più propriamente,  il “Castello delle Dame”, perché di Regine ce ne vissero solo due, in realtà. Fatto che nella mia crassa e a volte sublime ignoranza, prima di visitarlo, ignoravo.

I Castelli della Loira erano un sogno che avevo coltivato a lungo, che mi ero ripromessa di soddisfare. Così, nel luglio del 2018,  mentre con un paio di cari amici ci dirigevamo verso la Bretagna, attratti dal miraggio di brumose brezze, fresche ostriche e qualche bicchiere di Chablis, ero riuscita a convincerli che al ritorno un piccolo pit stop culturale nella Loira non avrebbe comportato un vero detour, e non avrebbe zavorrato più di tanto il ritmo della nostra tabella di marcia: più di duemila chilometri in sette giorni,  suddivisi in dieci tappe. Questo per consentire ai nostri compagni di viaggio di tornare ad occuparsi del loro agriturismo nell’Alto Oltrepo.  Fattibile, se ci fossimo accontentati di un toccata e fuga ad ogni tappa.

Alla fine, di castelli ne avremmo visti, anzi “ intravisti”, solo quattro.  Due perché di strada: quello d’Angers, un’austera fortezza che mi aveva lasciata freddina, e  quello di Langeais, che almeno si avvicinava alle mie aspettative estetiche. Quello di Chambord, invece, era stato scelto con cognizione di causa. In fatto di grandeur non era secondo a nessuno, ma a mio avviso, pur nel suo splendore gli mancava qualcosa: la storia che mi accingo a raccontare.

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(La Torre di Katherine Briconnet)        

Chenonceau di storia ne aveva, e tanta.  Una storia tutta al femminile. Dopo aver percorso quel rinfrescante vialone alberato, il castello appariva piccolo se rapportato a Chambord, un gioiellino dalle proporzioni perfette, ben tenuto e curato nei dettagli, ogni sala arredata con amorevole cura, quasi le sue antiche proprietarie passassero ancora, quotidianamente,  ad aggiustare e controllare quelle sublimi composizioni di fiori freschi, grandiose e raffinate, in tinta con ciascuna stanza.

L’INIZIATRICE, LA PRIMA CASTELLANA

La storia ha inizio con Katherine Briconnet in Bohier, che posò la prima pietra. Un arazzo ce la raffigura come una leggiadra fanciulla dall’acconciatura botticelliana,  ma le sue sembianze  si fecero via via più matronali con il passare del tempo e dei ritratti. Il marito, Thomas Bohier, nel 1513 si era aggiudicato quel terreno incolto e ingombro con le macerie di una precedente fortezza con l’intento di costruire un castello. Distratto da più pressanti e bellicose  attività, partì per la guerra, lasciando a Katherine l’onore e l’onere di supervisionare la costruzione di un imponente torrione cilindrico  che rimarrà corpo a sé stante, a guardia del Castello che verrà. Per completarlo ci vollero otto anni, dal 1513 al 1521.  Fu luogo di feste ed eventi, ma i coniugi Bohier non riuscirono a goderselo a lungo; morirono pochi anni dopo, a soli due di distanza l’uno dall’altra. Prima lui nel ‘24 durante l’ennesima battaglia in Italia, poi lei, nel ‘26, non prima di aver lasciato inciso nella pietra il loro marchio per così dire di fabbrica “TBH” e un motto, "S'il vient à point, me souviendra” che tradotto, più o meno significa ” Se riesco a finirlo, mi sopravvivrà”. Alla morte dei genitori, al figlio Antoine il compito di pagare i debiti accumulati dal padre, che lo costringeranno  a cedere il castello alla corona.

L’AMANTE ONNIPOTENTE, DEUS EX MACHINA

Una ventina e passa di anni più tardi, la parte completata da Katherine venne integrata ed esaltata con un edificio aggiuntivo per volere di Diane de Poitiers, amante di Enrico II. Di lei rimane, tra gli altri, un ritratto che la raffigura come la sua omonima Diana cacciatrice, probabilmente simile per temperamento. Tosta, tattica, con un forte senso del potere, amante dell'architettura e del giardinaggio, a Diane si deve l’attuale struttura del Castello, i suoi primi magnifici giardini e la costruzione di quel famoso ponte sul fiume Cher che tornerà utile un paio di secoli dopo, durante la Rivoluzione Francese.


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(Il fiume Cher     foto di Manuela Cassarà)

Enrico gliene fece omaggio nel 1551, forse per placarla dell’aver contratto un matrimonio con  la giovanissima Caterina de' Medici. La loro relazione era iniziata diciassette anni prima, quando Enrico era solo il Duca di Orleans; ma sia il matrimonio sia l’incoronazione non sembrarono averla turbata granché, anche perché, paradossalmente, Diane ne uscì rafforzata dopo aver accettato con garbo il titolo di Duchessa di Valentinois,  conscia che il suo potere sulla corte e sul re  sarebbero rimasti immutati anche dopo l’incoronazione  di Caterina a Regina di Francia nel ’49, durante la quale riuscì, si dice, a eclissare la sovrana con la sua sola presenza.

LA REGINA STRANIERA, CHE SE NE INNAMORO’

Caterina nata De' Medici,  sospettosamente straniera, fu subito mal vista; una outsider, una parvenu  dalle modeste origini,  per di più nemmeno francese.  Le cronache dell’epoca, quando tutti le davano contro, ce la descrivono come vendicativa, rosa dalla gelosia, dedita alla magia, pronta a tutto. Tutto suo padre si potrebbe dire, quel Lorenzo de' Medici al quale Macchiavelli aveva dedicato il suo “Principe”. Rivalutata in tempi più recenti, Caterina è ricordata e celebrata per il pragmatismo, per la dedizione alla monarchia e alla Casa dei Valois, per la vasta cultura. Oltre all’italiano era fluente in francese, in latino, capiva il greco e possedeva una biblioteca personale di oltre 2000 libri, tra manoscritti rari, testi di storia, matematica, teologia, filosofia, alchimia, astronomia, medicina, geografia, musica, scienze e storia dell'arte.

Tuttavia Caterina - e non si direbbe,  almeno stando ad alcuni suoi ritratti che la ritraggono in età, severa e austera - non disdegnava alcune pratiche frivolezze: suo il merito di aver introdotto in Francia l’uso della forchetta, di aver fatto conoscere la besciamella, chiamata salsa bianca a Firenze,  di aver diffuso l’uso delle mutande, sconosciute ma fondamentali, specie per la civettuola cavalcata all’amazzone, da lei preferita e divulgata. Apparentemente sterile, Enrico arrivò a considerare di ripudiarla, e lei novella sposa si dichiarò disposta a farsi da parte. Ma fu proprio Diana a intervenire in suo soccorso: meglio una nemica conosciuta e controllabile che una pericolosa new entry come neo Regina. Si dice che Caterina ben tollerasse quel menage di fatto a trois, perché pare fosse proprio Diana a convincere il recalcitrante Enrico a compiere, di quando in quando, il suo dovere coniugale. Da parte sua, Caterina si mise d’impegno e provò di tutto, pur di rimanere incinta: cataplasmi, bibitoni a base di urina di mula e intrugli vari. Vuoi che le cure fecero il loro effetto,  vuoi che Enrico smise di farsi pregare, fatto sta che Caterina  scodellò dieci figli nell’arco di dodici anni.  Una progenie cagionevole e sfortunata; nessuno di loro, per un motivo o per un altro, arrivò alla vecchiaia. Nel 1544 la nascita del primogenito, Francesco, futuro erede al trono; poi di seguito Elisabetta nel’45, Claudia nel ‘47, Luigi nel ‘49, morto pochi mesi dopo, poi il futuro re Carlo IX nel’50, poi l’altro futuro re Enrico III nel ‘52, poi Margherita, nel ’53,  Francesco nel ‘54 e infine nel ‘56  le due gemelle, Giovanna e Vittoria, la prima nata morta, la seconda vissuta solo pochi giorni.  Assicuratasi la discendenza al trono, a quel punto, suppongo che Caterina, ne avesse abbastanza.  

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(La camera di Caterina de' Medici)

Con la morte del marito nel ’59 arrivò finalmente il momento della vendetta, che a Caterina piaceva servita fredda.  Tempo due minuti per mandare a ramengo colei che aveva cordialmente soprannominato “ la puttana del re”.  Diana, d’altro canto, come era nel suo stile vendette cara la pelle e ottenne come buonuscita lo sfarzoso Castello di Chambord.  Eliminata Diana, Caterina elesse Chenonceau a sua dimora preferita, e procedette col rimuovere ogni traccia dell’odiata rivale, ridecorando le sale, aggiungendo nuovi giardini e quella lunga galleria su due piani, giudicata indispensabile per intrattenere regalmente i suoi ospiti. Galleria che verrà utile, come vedremo, per tutt’altri scopi, durante la Prima Guerra Mondiale. Insignita di diritto del titolo di Regina Madre per aver messo al mondo ben tre re di Francia in rapida successione,  Caterina si occupò delle sorti del regno in veste di Reggente,  a sostegno del cagionevole Francesco e  poi del suo successore, un giovanissimo Carlo IX.

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(Lo studio di Caterina de' Medici)

 Ambedue ebbero vita breve,  ambedue morirono alla giovane età di 24 anni. Sarà solo il terzo figlio, Enrico III, il suo preferito e il più intelligente, a conquistarsi il diritto a governare da solo. Per festeggiarlo con il dovuto rinnovato entusiasmo, Caterina organizzò il primo spettacolo pirotecnico in Francia.  Cosa che entrò negli annali.

LA REGINA BIANCA, CHE QUASI LO MANDO’ IN MALORA

Per un altrettanto tragica coincidenza anche madre e figlio morirono, per cause diverse, nel corso dello stesso anno, il 1589.  Alla morte di Caterina, il Castello passò alla nuora, Luisa di Lorena, sterile e pure vedova  a seguito dell'assassinio del marito, Enrico III.  Luisa, che sospetto fosse una personcina depressa e alquanto noiosa, si chiuse nel castello per vivere il lutto isolata da tutti e trascorrere le giornate dedicandosi alla lettura dei salmi e nella preghiera. Vestita  sempre di bianco in segno di lutto, passò alla storia come la Regina Bianca. E il castello, per colpa della regale vedova distratta da più elevati pensieri, come nella favola della Bella Addormentata  si ricoprì di una patina di morte e di tristezza  al punto di cadere quasi in rovina. Inoltre la morte di questa Regina, dalla vita  sterile e senza eredi, segnò la fine di quella dinastia dei Valois per la quale Caterina si era tanto battuta.

L’ILLUMINISTA FEMMINISTA, CHE NE FECE IL SUO PALCOSCENICO

Dopo Luisa di Lorena il castello passò alla casata dei Borbone; fino al 1720, quando il Duca omonimo lo vendette a Claude Dupin,  un finanziere amante dei fasti e con un discreto occhio per l’Immobiliare, che ebbe il merito di sposare Louise Marie Madeleine Fontaine,  futura bisnonna di George Sand (al secolo Amantine Dupin) scrittrice e autrice anche lei  geneticamente anticonformista.  Con l’arrivo di quella deliziosa peperina di Louise, squisita rappresentante dell’Età dell’Illuminismo, Chenoncheau si risvegliò dal  suo lungo sonno e ritornò al massimo splendore,  diventando luogo d’ idee e di pensiero, culla della contestazione sociale e politica. Ricordata per la sua bellezza, e per una volta i ritratti ne danno ragione, Madame Daupin  era intelligente, colta, ottima conversatrice, animatrice di serate culturali e mecenate delle arti, che celebrò riaprendo quei magnifici salotti per accogliere poeti, scienziati e filosofi del calibro di Rousseau e Voltaire, il quale la definì “dea della bellezza e della musica”. 

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(Grandeur floreale     foto di Manuela Cassarà)

Femminista ante litteram, rivendicò il diritto all’istruzione e alla cultura per le donne, e diede spazio alla sua passione per il teatro, facendone costruirne uno nell’estremità meridionale della galleria al primo piano. Quando quei tempi illuminati si fecero bui durante la Rivoluzione, Chenoncheau riuscì a passare indenne dalle distruzioni della Guardia Rivoluzionaria, perché ritenuto essenziale via di comunicazione, grazie al ponte voluto da Diana di Poitiers. 

LA BORGHESE MEGALOMANE, CHE ESAGERO’

Più di un secolo dopo, nel 1864, il Castello assieme alla sua tenuta di 136 ettari venne acquistato per 850.000 franchi da un’altra ricca borghese, Marguerite Pelouze; anche lei elegante, anche lei seducente e appassionata, determinata a riportarlo ai fasti gloriosi di Diane de Poitiers. Per farlo bisognava fare qualche lavoretto, cioè eliminare buona parte di quei cambiamenti voluti proprio da Caterina, e cancellarne le tracce. Il restauro durò undici anni e poi, finalmente, M.me Pelouze poté accogliere e circondarsi di un nutrito numero di importanti scrittori  come Flaubert,  di pittori come Carulus-Duran che ne eseguì il ritratto e Charles Toché che affrescò la grande galleria. E di musicisti, come un giovane Claude Debussy  il quale, affascinato dalla nuova castellana,  vi trascorse sei mesi, con il compito di mettere insieme una piccola orchestra da camera. 


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(Il viale d'accesso       foto di Manuela Cassarà)

Le spese di rappresentanza furono enormi, quelle di ristrutturazione avevano di certo sforato il budget, ammesso che ce ne fosse uno, e così nel giro di un ventennio le ambizioni di Marguerite la portarono inevitabilmente al fallimento.  

L’EREDITIERA EROICA E GENEROSA

Il maniero passò quindi ancora una volta di mano,  in quelle del Credìte Foncier,  fino all’aprile del 1913, anno dell’acquisto da parte di Henri Menier. Anno che coincise con l’inizio della Grande Guerra e con la morte del nuovo proprietario, che lo lasciò al suo erede,  Gastone Menier.

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(Uno scorcio del castello     foto di Gianni Viviani)

Date le circostanze, una parte del Castello, quella splendida Galleria delle Dame voluta da Caterina De Medici, un tempo fastosa e festosa, venne convertita in Ospedale Militare, attrezzato a spese della ricca famiglia, produttrice di cioccolato. La nuora di Gaston, Simonne, moglie di suo figlio George, anche lei bella e delicata, nonostante la silhouette sottile e la pelle di porcellana si rimboccò le maniche e assunse la responsabilità dell’ospedale, nel duplice ruolo di caposala e di amministratore, facendo da tramite tra i medici e  gli oltre 2000 pazienti.  Di lei non si sa molto, rimangono solo alcune foto che la ritraggono raffinata ed elegante, in viaggio o alle feste, prima che la guerra ne cambiasse lo stile di vita. Donna generosa e coraggiosa,  si sa anche che Simonne, nella Seconda Guerra Mondiale, compì diverse operazioni di resistenza, da eroica combattente.  

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(Le tre Grazie)

Con lei  la carrellata di queste sette magnifiche rappresentanti dell’altra metà del cielo, creature affascinanti, intelligenti e determinate (con la sola eccezione di quella depressa della Regina Bianca) si conclude in bellezza e in generosa grandezza.

Ci siamo persi molte cose a Chenonceau, persino quella parte della galleria allestita a ospedale, non ultimo il ristorante che aveva l’aria costosa ma degna di nota, e i giardini, e pure il negozio del Museo. Ma niente si è perso nella mia memoria, complici quei miei primi appunti pubblicati in diretta su Facebook che mi hanno fatto da traccia e che qui ho arricchito con dettagli storici, peraltro molto parziali. Le vite di quelle donne meritavano di più.


*MANUELA CASSARA’ (Roma 1949, giornalista, ha lavorato unicamente nella moda, scrivendo per settimanali di settore e mensili femminili, per poi dedicarsi al marketing, alla comunicazione e all’ immagine per alcuni importanti marchi. Giramondo fin da ragazza, ama raccontare le sue impressioni e ricordi agli amici e sui social. Sposata con Giovanni Viviani, sui viaggi si sono trovati. Ma in verità  anche sul resto) 

*GIANNI VIVIANI (Milano 1948, fotografo, nato e cresciuto professionalmente con le testate del Gruppo Condè Nast ha documentato con i suoi still life i prodotti di molte griffe del Made in Italy. Negli ultimi anni ha curato l’immagine per il marchio Fiorucci. Ha anche lavorato, come ritrattista, per l’Europeo, Vanity Fair e il Venerdì di Repubblica. La sua passione più recente sono le foto di viaggio)


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