Le nere croci di Steyr
di GIORGIO OLDRINI*
Quelli che
sono contro l’Europa li porterei in visita al cimitero di Steyr. E’ questa una
cittadina austriaca a una cinquantina di chilometri da Linz, ma soprattutto a
una ventina da Mauthausen. Un luogo molto bello, alla confluenza di due fiumi, Enns e Steyr, che attraversano la città con acque abbondanti, con strade
punteggiate da infiniti ponti che permettono di passare da un quartiere
all’altro. E’ stato grazie a questa combinazione di fiumi e ponti che Peppino
Valota, tanti anni dopo, ha potuto scoprire dove nei primi mesi del 1945 è
stato assassinato dai nazisti suo padre Guido, operaio con la passione per il
violino.
Valota è il Presidente dell’Associazione nazionale degli ex deportati nei lager nazisti di Sesto San Giovanni-Monza e ha dedicato la sua vita a ricostruire la storia della deportazione. Ha scritto due libri importanti, il primo ( “Streikertransport”, Guerini e associati editori e Istituto di storia dell’età contemporanea, Isec) ricostruisce le vicende dei quasi 600 deportati dell’area industriale di Sesto San Giovanni, di cui la metà morti nei diversi campi. Ai negazionisti, a quelli che sostengono che i lager non esistevano o che erano poca cosa, Valota risponde con l’elenco preciso degli operai, tecnici, impiegati che dopo gli scioperi del ’43 e del ’44 sono stati arrestati, spesso torturati, quindi spediti nei campi. Una ricerca quasi maniacale, con nome, cognome, data di nascita, modalità dell’arresto e, quando possibile, data e luogo della morte di ciascuno dei 600. Una storia documentata dolorosamente.
Il secondo libro (Dalla fabbrica ai lager, Mimesis editore) invece è costituito dalle interviste alle famiglie di chi ha visto un proprio caro scomparire nei campi. Mogli, figli, madri parlano di quel che è successo al loro congiunto e a loro stessi in quegli anni tremendi. Da questo libro Renato Sarti ha tratto la sua opera teatrale “Matilde e il tram per San Vittore”, rappresentato al Piccolo Teatro di Milano e poi in varie città.
Intervistando i protagonisti, Valota ha incontrato un deportato che ce l’ha fatta a tornare e che gli ha raccontato: “Ero con tuo padre nella marcia della morte, quando ci spostavano a Mauthausen per sfuggire ai sovietici che avanzavano da est. Lui era molto debole. Arrivammo a un paese dove c’erano due fiumi che si incontravano. Passammo un ponte e c’era una piccola salita. Era molto lieve, ma lui non ce la fece, si accasciò per terra e un nazista gli sparò un colpo alla nuca”.
Anni dopo, durante uno dei pellegrinaggi con famigliari dei caduti e con centinaia di studenti che ogni maggio Sesto San Giovanni organizza per ricordare i suoi deportati, Valota arrivò a Steyr, vide i due fiumi, trovò il ponte con una leggera salita e si emozionò fino alle lacrime.
Da allora nel tradizionale viaggio dell’Aned di Sesto San Giovanni-Monza, alle tappe consuete del castello di Harteim, di Gusen e di Mauthausen, si unisce un momento al cimitero di Steyr. Un viaggio emozionante, ma che raggiunge uno dei momenti più alti quando nel cortile del castello di Harteim, Mariela Valota, nipote di Guido, figlia di Peppino, violinista di professione, suona in memoria del nonno morto a qualche chilometro di distanza, e di Renato Cardesi, un altro operaio sestese, violinista dilettante, assassinato nelle stanze del castello.
All’entrata del cimitero di Steyr colpisce subito un immenso campo con croci nere, tutte uguali, sulle quali c’è scritto un nome o a volte due. Ho contato approssimativamente, saranno almeno 600. Sono i soldati della zona morti nella Prima Guerra mondiale. Date le dimensioni che aveva la cittadina all’inizio del ‘900, quel campo infinito di croci nere è la prova che praticamente un’intera generazione di giovani maschi è stata cancellata.
A Steyr c’era una fabbrica che produceva aerei, camion, trattori e poi armi e blindati. Ora ha cambiato ragione sociale, ma c’è ancora è la “Steyr Traktor”. Così, durante la guerra vennero portati a lavorare i “coatti”, lavoratori che non erano i deportati, ma praticamente prigionieri di altri Paesi che diventavano poco più che schiavi dei nazisti. A Steyr, tra gli altri, c’erano 60 italiani che venivano condotti in fabbrica la mattina, chiusi dentro per evitare che qualcuno scappasse, e riportati via la sera. Ma un giorno l’aviazione Alleata bombardò la cittadina e una bomba colpì l’edificio dove lavoravano i coatti, si sviluppò un incendio e tutti morirono all’interno, intrappolati, perché le porte rimasero ermeticamente chiuse, nonostante le urla e le invocazioni in lingue diverse di chi stava bruciando. In un angolo del cimitero da qualche decennio c’è un monumento che ricorda quei poveri morti. Proprio davanti è stato costruito un piccolo monumento a ricordo di Guido Valota, ucciso come tanti lì vicino, nella marcia della morte. Una tomba senza salma.
A Steyr negli anni ’30 era stato costruito un forno crematorio dalla giunta comunale socialdemocratica. Per i paradossi della storia, era stata quella una scelta fatta contro il parere della Chiesa austriaca e dei partiti della destra che pensavano fosse peccato cremare i morti. Ma 10 anni dopo i nazisti usarono quel forno per incenerire centinaia di deportati. Quelli che erano morti nel sottocampo, ma soprattutto quelli che come Guido Valota erano stati assassinati nell’infinito viaggio verso Mauthausen, dove moltissimi non arrivarono mai.
In un altro angolo del cimitero di Steyr c’è un monumento sotto il quel ci sono le ceneri di non si sa quanti e, naturalmente, senza nemmeno un nome possibile. Peppino Valota è sicuro che lì sotto ci siano anche le ceneri di suo padre, ma glielo dice solo il cuore di un figlio che a malapena ricorda l’ombra del suo genitore.
La pandemia quest’anno ha fermato anche il pellegrinaggio di maggio ai lager, compresa la visita al cimitero di Steyr dove si può capire visivamente quale è stato il tremendo Novecento per l’Europa divisa. Ma c’è anche una speranza. Perché dalla fine degli anni ’80 in quella cittadina è nato un Comitato guidato dal professor Karl Ramsmaier che ha voluto “contro vento e maree” salvare la memoria degli oppositori del nazismo e unire ricerca storica ed impegno politico, anche a costo di girare il coltello nella piaga di una popolazione che aveva appoggiato il nazismo. Superando opposizioni durissime e accuse di disfattismo, Ramsmaier è riuscito a trasformare le bellissime gallerie che finiscono sul fiume, e che durante la guerra erano un settore della fabbrica di armi dove lavoravano i deportati, in un museo, così come una fabbrica dismessa in un altro luogo di memoria.
In mezzo alla pandemia, a maggio, Karl Ramsmaier con i suoi allievi è andato a portare un fiore al monumento di Guido Valota e a quello delle ceneri degli altri morti senza nome. Peppino e Karl in questi anni sono diventati amici e sono la risposta di speranza per quell’Europa che altrimenti sarebbe solo rappresentata da centinaia di croci nere, da un monumento ai coatti bruciati vivi in una fabbrica ermeticamente chiusa, e da un altro alle ceneri senza nome di chi è stato assassinato lì intorno.
*GIORGIO OLDRINI (Sono
nato 9 mesi e 10 giorni dopo che mio padre Abramo era tornato vivo
da un lager nazista. Ho lavorato per 23 anni all’Unità e 8 di questi come
corrispondente a Cuba e inviato in America latina. Dal 1990 ho lavorato a Panorama.
Dal 2002 e per 10 anni sono stato sindaco di Sesto San Giovanni. Ho scritto
alcuni libri di racconti e l’Università Statale di Milano mi ha riconosciuto
“Cultore della materia” in Letteratura ispanoamericana)
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