L'ARTE SU DUE RUOTE - Bartali e il prete bello

di GINO CERVI*

La scena di ciclismo più bella nella storia del cinema italiano (per me, s’intende) è questa qui. Due ragazzi spingono a mano una bicicletta su per un sentiero, dentro a un bosco. Stanno andando a vedere passare una corsa ciclistica. Arrivano a un tornante e dietro a un cespuglio, seduto per terra, con la bicicletta da corsa stesa di fianco, c’è un corridore. Ha la maglia rosso-verde e il volto quasi nascosto da due grandi occhialoni anti-polvere.

Due ragazzi, due amici, Sergio, il piccoletto, e Cena, sono i protagonisti dei film di Carlo Mazzacurati, Il prete bello (1989), tratto dall’omonimo romanzo di Goffredo Parise, il suo più bello (sempre secondo me). I due ragazzi si sono “guadagnati” furbescamente una bicicletta alle spalle della signorina Immacolata che smania per le bellurie del vanesio don Gastone, il prete del quartiere, il “prete bello”, appunto, nella Vicenza degli anni Trenta del secolo scorso. La bicicletta è una Bianchi, ma è una sola, e Sergio e Cena sono due: per non stare l’uno a guardare l’altro che la usa, escogitano il sistema. Così lo descrive Parise nella pagine del suo romanzo:

"Nelle ore meno fredde del pomeriggio ci si allenava sul viale della Stazione: scoprimmo così che nessuno dei due arrivava con le proprie gambe dalla sella ai pedali; allora si risolse il problema infilando una gamba nel telaio, appesi al manubrio da un lato, ma successero litigi, malcontenti e risse perché il turno di uno veniva a risultare sempre più breve di quello dell’altro. Escogitammo allora un altro sistema; quello di far girare un pedale a testa, entrambi appesi ai due lati della bicicletta".



Ma torniamo alla scena del film. Il corridore si accorge dei due ragazzi, si alza e, sfregandosi le mani, dice: "Ehi, voi due, c’ho fame. Non è che avete qualcosa da mangiare?". Sergio stringe tra le mani un sacchetto di carta. Guarda Cena e, implorante, gli chiede: "Posso dargli il mio panino?". Cena scrolla le spalle. Sergio infila una mano nel cassetto, passa il panino al ciclista, ma prima che gli venga in mente di dargli anche l’altro Cena gli strappa dalle mani il sacchetto, agguanta il panino che resta e inizia a mangiare. "È già passato il gruppo?" chiede Sergio al ciclista rossoverde che mastica voracemente quell’insperato rifornimento e dice no con la testa e la bocca piena. Cena invece ha un’altra curiosità: "È difficile diventare ciclista? Pagano bene?". Sergio gli dà di gomito, perché sono domande che non si fanno. "Ma tu sei in fuga?" chiede Sergio. "Cinque minuti" risponde il ciclista, con le dita della mano bene aperte. Ma intanto in lontananza si sente arrivare un’automobile dalla strada. È la macchina del seguito: stanno cercando il corridore: "Dai, dai, rimonta in sella, che il gruppo sta arrivando". Il corridore inforca la bici e si butta giù per la discesa. "Oh, hai capito?" chiede Sergio esterrefatto a Cena. "Cosa?". "Quello era Bartali!". "Ma va!". "Sì, l’ha chiamato Gino!". Passa dopo un po’ il gruppo degli inseguitori, e Cena e Sergio si affacciano dal ciglio della strada sui tornanti sottostanti, dove vedono allontanarsi giù di sotto il corridore solitario in fuga. A gran voce, chiamano: "Ginoooo!", sbracciandosi per un saluto. Gino li sente, si volta e li saluta da lontano.

È una scena tenerissima. L’incontro inatteso e ravvicinato col campione dei loro sogni. L’emozione di avergli dato da mangiare, forse di averlo aiutato a vincere la corsa. E quel saluto di lontano, amichevole e anche grato. È una scena che si è inventato il regista, Carlo Mazzacurati, perché nel romanzo di Parise non c’è. Nel testo i riferimenti, nei giochi e nelle fantasie ciclistiche di Sergio e Cena, sono tutti ad Alfredo Binda e a Learco Guerra, i campioni della prima parte del decennio anni Trenta. La trama del romanzo si colloca sicuramente dopo il 1936, perché si fanno espliciti riferimenti alla guerra di Etiopia, che inizia nel 1935, e soprattutto a quella di Spagna, che comincia nel luglio del 1936, in cui addirittura ha partecipato don Gastone, come cappellano militare. A rigore, sarebbe stato possibile che Bartali ci entrasse nel romanzo, dal momento che fin dal 1935 aveva già corso il suo primo Giro d’Italia, vincendo anche una tappa per poi aggiudicarsi la corsa sia nel 1936 sia nel 1937. Ma Parise non ce lo mette. Mazzacurati invece “forza la mano” e fa comparire Bartali, in maglia Legnano, in una corsa, magari la Vittorio Veneto-Merano, una sua vittoriosa tappa del Giro del 1937. Del resto, a Carlo Mazzacurati piacevano le bici e le metteva volentieri nei suoi film. Nella scena iniziale di Notte italiana, del 1987, si vede una bimba che pedala su un argine del Delta, mangiando un gelato.

Ne La lingua del Santo (2000), Antonio Albanese e Fabrizio Bentivoglio sono due improbabili e coloratissimi mountain-bikers. E se non mi ricordo male, anche nei soliti paesaggi di provincia de La giusta distanza, a contorno di una meravigliosa Valentina Lodovini, girano delle biciclette. Insomma, per farla breve, il Bartali del Prete bello di Mazzacurati è un Ginettaccio apocrifo. Ma forse sarebbe piaciuto anche a Parise. 

*GINO CERVI (Classe 1964, la stessa - ma solo in senso anagrafico - di Gianni Bugno. Segue il ciclismo dai tempi delle lacrime di  Michele Dancelli sul palco di Sanremo. Da 35 anni lavora nell’editoria: dizionari, enciclopedie - prima di carta, poi in cd-rom e infine sul web - , manuali scolastici di letteratura, storia e geografia, guide turistiche, storie di sport. Fa abitualmente il "meccanico" dei libri degli altri, ma qualche volta gli è capitato di correre in proprio. Sua miglior stagione il 2019, quando ha scritto un libro su Coppi e uno sul Milan. Va - ma piano - in bicicletta e vorrebbe farlo di più - ma sempre piano)

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