L'ARTE SU DUE RUOTE - Al velodromo di Parigi con Toulouse Lautrec e Montale

di GINO CERVI* 

Due cerchi (le ruote) collegati tra loro da otto linee rette (le parti del telaio) e da altri elementi di complemento di forma varia (manubrio, sella, pedali…). L’essenzialità delle linee dell’oggetto-bicicletta ha da sempre stimolato la fantasia interpretativa di pittori e artisti in genere. Se alla forma si aggiunge poi anche la peculiare dimensione del movimento dell’oggetto, l’attenzione creativa non poteva non trovare ulteriori motivi di interesse e ispirazione. 

Tra i primi artisti a essere affascinati dal mondo delle corse ci fu il pittore francese Henri Toulouse-Lautrec. Nell’ultimo decennio dell’Ottocento, il ciclismo fondava le proprie tradizioni inaugurando competizioni che sarebbero diventate cosiddette “classiche”. Del 1892 è la prima edizione della Liegi-Bastogne-Liegi, per questo motivo soprannominata “la Doyenne”, ovvero la Decana delle grandi corse in linea. Nel 1896 è la volta della Parigi-Roubaix e della Parigi-Tours.

Ma in quegli anni il pubblico era ancora più attirato dalle corse su pista: i velodromi richiamano la curiosità di appassionati e curiosi. Tra questi, proprio il pittore Toulouse-Lautrec era un frequentatore dell’impianto parigino di Buffalo, nei pressi di Neully-sur-Seine, che venne inaugurato nel 1893 sotto la direzione dell’amico, giornalista e scrittore, Tristan Bernard. Il velodromo venne chiamato così dopo avere ospitato gli spettacoli del cacciatore e poi showman statunitense William Cody, meglio conosciuto col nome d’arte di Buffalo Bill.


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Toulouse-Lautrec si appassionò delle gare, e in particolare della 24 ore del Bol d’Or. Tra i bozzetti realizzati sulla pista di Buffalo alcuni ritraggono il campione americano Arthur August Zimmermann, in posa, mentre tiene per mano la bicicletta, e in sella alla macchina, capelli al vento. Ma le più famose realizzazioni “ciclistiche” del pittore della Belle Époque sono le affiches pubblicitarie realizzate per conto della ditta inglese di catene per biciclette, la Simpson. Grazie al suo agente di commercio in Francia, Louis Bouglé, la Simpson commissionò a Toulouse-Lautrec un manifesto da utilizzare come promozione del prodotto. 

Nel 1896 il pittore ne realizzò due. Il primo bozzetto venne rifiutato dal committente perché il disegno della catena – il prodotto da commercializzare – non era stato, a suo dire, sufficientemente ben dettagliato; oggi è conservato presso l’Art Institute di Chicago, e appartiene alla collezione privata Carter H. Harrison. Il secondo, che raffigurava il campione francese Constant Huret accodato a un tandem che fuoriusciva dalla composizione per dare un senso di dinamismo all’immagine, divenne, riprodotta in numerose litografie a colori, la pubblicità ufficiale del prodotto, con tanto di nome della ditta, La Chaîne Simpson, a campeggiare nella parte alta del manifesto e al piede il nome con l’indirizzo del rappresentante per la Francia: L.B. Spoke, 25 Boulevard Haussmann. Nell’immagine, mentre sullo sfondo passano corridori su singolari bici a cinque posti, al centro della pista si notano due figure in borghese, forse proprio Mr Simpson e monsieur Bouglé, il rappresentante, e più in là un tavolo di commensali serviti da un cameriere.

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(Eugenio Montale)

Il velodromo di Buffalo venne abbattuto durante la Prima guerra mondiale per far posto a una fabbrica di aeroplani. Ma nel 1922, con lo stesso nome, venne costruito un nuovo velodromo, a Montrouge, periferia sud di Parigi. Ed è probabilmente questo ad entrare in un altro capolavoro dell’arte del Novecento, questa volta però non figurativo ma letterario. S’intitola Buffalo una poesia che Eugenio Montale inserisce nella raccolta Le occasioni (1928-39). È uno dei rari, o forse l’unico, riferimento al mondo dello sport che si trova nell’opera del poeta premio Nobel. A dimostrazione che non è necessario essere degli esperti in materia per saper cogliere, con un colpo di matita o pennello, o con le parole e i suoni giusti, l’essenza del correre in bicicletta.


 BUFFALO    

Un dolce inferno a raffiche addensava
nell'ansa risonante di megafoni
turbe d'ogni colore. Si vuotavano
a fiotti nella sera gli autocarri.
Vaporava fumosa una calura
sul golfo brulicante; in basso un arco
lucido figurava una corrente
e la folla era pronta al varco. Un negro
sonnecchiava in un fascio luminoso
che tagliava la tenebra; da un palco
attendevano donne ilari e molli
l'approdo d'una zattera. Mi dissi:
Buffalo! - e il nome agì.
Precipitavo
nel limbo dove assordano le voci
del sangue e i guizzi incendiano la vista
come lampi di specchi.
Udii gli schianti secchi, vidi attorno
curve schiene striate mulinanti
nella pista.


*GINO CERVI (Classe 1964, la stessa - ma solo in senso anagrafico - di Gianni Bugno. Segue il ciclismo dai tempi delle lacrime di  Michele Dancelli sul palco di Sanremo. Da 35 anni lavora nell’editoria: dizionari, enciclopedie - prima di carta, poi in cd-rom e infine sul web - , manuali scolastici di letteratura, storia e geografia, guide turistiche, storie di sport. Fa abitualmente il "meccanico" dei libri degli altri, ma qualche volta gli è capitato di correre in proprio. Sua miglior stagione il 2019, quando ha scritto un libro su Coppi e uno sul Milan. Va - ma piano - in bicicletta e vorrebbe farlo di più - ma sempre piano)