LA RECENSIONE - Viaggio diegetico (o diegesi odeporica). Ovverossia: così ti racconto il viaggio

di GIGI SPINA*

Questa recensione non è una recensione.

Il titolo, prima che il Direttore si arrabbi, vale come “Viaggio narrativo (o narrazione di viaggio)”. C’è di mezzo la lingua geniale, e questa volta a buon diritto, perché proprio il greco antico ha un bellissimo verbo per esprimere il raccontare: dieghéomai, composto da un verbo che significa letteralmente conduco, guido (vi dice niente l’egemonia?) e una preposizione (dià-) che indica un attraversamento. Dunque, il raccontare consisteva per i Greci nel guidare a visitare qualcosa nella quale si era implicati, della quale si aveva esperienza personale: una metafora spaziale, che aveva a che fare con la capacità degli oratori brillanti di far vedere con le parole, di “porre sotto gli occhi” con il linguaggio.

Non una recensione, dunque, ma un diario di viaggio.

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"Ti racconto il viaggio (e quel che ho imparato)" di autori vari
Curatore Mariangela Giusti      Editore Franco Angeli       prezzo euro 32

Ho viaggiato per 284 pagine in compagnia di 14 persone, 6 scrittrici (Mariangela Giusti, Emanuela Mancino, Franca Zuccoli, Annamaria Ciocchetti, Annamaria Poli, Silvia Guetta) e 8 scrittori (Marco Dallari, Andrea Saccoman, Giovanni Colombo, Vincenzo Matera, Stefano Malatesta, Antonio Hans Di Legami, Mauro Van Aken, Guido Veronese); nelle ultime due pagine ho letto anche i cenni biografici; una scrittrice la conoscevo già.

Ero pronto per questa avventura? Avventura, come mi ha spiegato bene Giovanni Colombo con i suoi appunti di viaggio su Cuba, Cammino di Santiago e Genova: luoghi, suoni, persone.

Sì, ero pronto, perché avevo in mente due punti fermi del mio bagaglio culturale (e repertorio conversazionale).

Il primo: un caro amico dantista tenne una conferenza dal titolo Il motivo del viaggio in Dante. Alla fine, una signora, di quelle che frequentano abitualmente le conferenze, di qualsiasi cosa si parli, si avvicinò al mio amico: “Grazie professore, la sua conferenza è stata bellissima. Mi rimane un unico dubbio: ma qual era realmente il motivo del viaggio?”.

Il secondo: una storica vignetta di Altan. “Da dove veniamo? dove andiamo? e, soprattutto, perché ci siamo mossi?”.

Mariangela Giusti, curatrice e ispiratrice del volume, mi ha insegnato a viaggiare con una Winter School che molti vorrebbero aver frequentato. Ne ho colto il suggerimento a trasformare ogni viaggio in un momento pedagogico, anche se le ho obiettato che si può essere, credo, viaggiatori e turisti allo stesso tempo, proprio perché abbiamo bisogno, in qualche modo, di sviluppare tutte le nostre pulsioni, educandole al meglio.

Confesso che non mi aspettavo compagni di viaggio così originali ed esperti di tanti itinerari diversi. Perché è vero, ogni viaggio è intertestuale, anche da fermi, come sostiene Marco Dallari, che mi ha introdotto al terzo paesaggio, quello che possiamo ogni volta individuare e cercare noi stessi. Per Napoli, per esempio, ho consigliato ai miei compagni di viaggio le scale della Pedamentina, in discesa. Mi sapranno dire.

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(foto da pixabay   https://pixabay.com/it/users/dariuszsankowski-1441456)


E si può anche viaggiare nel tempo e nella storia, non necessariamente in quella dei musei: in quella del Sessantotto milanese, per esempio, come mi ha indicato Andrea Saccoman, qualunque sia la durata di questo ‘mitico’ anno; anche se, gli ho suggerito, trovandosi vicino al Duomo, un salto alla Scala lo avrei fatto, stando attenti a non capitarci proprio quando il Sessantotto proponeva le sue dissonanze, per così dire, al pubblico elegante e melomane.

Le gambe sanno pensare, o insegnano a pensare, mi sembra di aver capito da Vincenzo Matera, dove per gambe si intende anche quelle di un cavallo o quelle meccaniche di una carrozza o di una nave. Perché mettersi in viaggio significa affrontare un universo sconosciuto e bisogna essere pronti a conoscerlo e a scriverne. Gli antropologi direbbero: bisogna essere emici, cioè entrare a fondo nella cultura del mondo che si percorre, in tutti i suoi aspetti, cercando di silenziare ogni esuberanza etica, cioè ogni sovrapposizione della propria cultura a quella altrui, soprattutto nel resoconto finale. Solo così si uscirà arricchiti e pronti a scrivere della propria ricerca, credo, invece di costruire oggetti culturali marcati da una potenziale (e pericolosa) estraneità all’Altro. Guardando alla storia secolare di queste esperienze, di viaggi di scoperta, di evangelizzazione, etnografici, fino alla letteratura di viaggio, direi che scontiamo ancora i possibili, opposti esiti.

Con Stefano Malatesta, viaggiatore geografo, ho vissuto l’esperienza di un soggiorno nel centro di ricerca collocato nell’arcipelago delle Maldive. Lui esemplifica, col suo racconto, il potere che i luoghi hanno nel costruire le nostre mappe esistenziali. Lo leggo tutto d’un fiato. E come dargli torto?

Emanuela Mancino, la mia amica dell’Accademia del Silenzio, mi ha spiegato bene cos’è lo spaesamento, l’uscire dal paese del mondo noto. Poi mi ha parlato di Ulisse e dei Feaci; allora le ho suggerito che ogni spaesamento comporta un po’ di nostalgia, perché c’è sempre un paese in cui si vorrebbe tornare, e non è mai quello in cui ci si trova; anche se quest’ultimo, Lisbona per esempio, potrebbe diventarlo a sua volta, soprattutto se uno ha visto Lisbon Story, di Wim Wenders.Pedamentinajpg

(Napoli, Pedamentina foto Baku CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=68405546)

Ho amici che sono stati a insegnare in Eritrea e in Etiopia, ma non ho chiesto ad Antonio Hans Di Legami se li abbia conosciuti o ne abbia sentito parlare. Lui ha fatto questa esperienza, quattro anni di Corno d’Africa: un viaggio per insegnare e per imparare. Inutile che ve lo riassuma. Bisogna sentirlo o leggerlo direttamente da lui, anche perché mentre lo racconta si capisce che sta meditando sul viaggio stesso e perfezionando il suo pensiero.

Franca Zuccoli non è di quelle viaggiatrici che studiano a fondo prima di partire, preparandosi su tutti gli aspetti del paese che stanno per raggiungere. Lo confessa: è andata in Cina totalmente impreparata, trovando quindi l’ignoto e, soprattutto, l’irriconoscibile, che è categoria che riporta alle limitatezze delle propria cultura. Sa descriverlo e raccontarlo, ma sa quanto ancora rimane di inconoscibile. Ed è, anche questo, un insegnamento prezioso.

Con Annamaria Ciocchetti torno al ‘motivo del viaggio’ del mio aneddoto iniziale, ma questa volta proprio nel senso della motivazione: che può essere, per esempio, letteraria, cioè voler sperimentare la messa a fuoco, in presenza, delle pagine lette su un città come Parigi (un po’ come fa la nostra Federica Iacobelli nella sua rubrica su foglieviaggi). Un viaggio non finisce mai, perché oltre alle tre fasi, della preparazione, della messa in pratica, del ricordo, c’è anche quella della ripetizione. Come per i romanzi, che Calvino diceva bisogna leggere almeno due volte, quando si è più giovani e quando si è più anziani di qualche protagonista; così i luoghi bisogna visitarli almeno due volte, la prima per conoscerli, la seconda per riconoscerli. Il che non è mai la stessa esperienza.

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(foto https://pixabay.com/it/users/theandrasbarta-2004841)


Mariangela Giusti introduce un nuovo punto di vista: gli inviti a viaggi. Non una scelta personale originaria, ma una scelta, come dire, indotta, che costringe a riflettere e decidere. Una risposta da dare a chi ha proposto uno ‘spaesamento’. Sostituendo il vivere con il viaggiare, in un aforisma di Ramon Panikkar (di cui parla l’autrice): “Si viaggia come si vuole, come si deve, come si può”. Due viaggi proposti e accettati, nei quali si sperimentano lo spostamento, la meditazione, la novità; viaggi che danno alla conseguente scrittura nuova occasione di riflessione. Anche in questo caso, bisogna leggere, non si può riassumere.

Siamo quasi alla fine del viaggio, le ultime 60 pagine, e avverto come un cambiamento di clima nel gruppo. L’atmosfera si è fatta più seria; non che prima si scherzasse; è che i ricordi e le riflessioni personali fanno sentire dentro una bolla protetta, più familiare, che puoi capire, magari criticare, ma discutere con una certa serenità.

Ora Mauro Van Haken ci invita a riatterrare sulla terra, ci spinge a riflettere su noi non in quanto viaggiatori, ma ‘viaggiati’, cioè immersi in un ambiente che muta, nel quale non possiamo muoverci disinvoltamente, come se fossimo i soli ad abitarlo. L’antropocene: questo l’ ambiente in cui ci tocca viaggiare (sembra strano dirlo nel momento in cui viaggiare è diventato così difficile, ma la difficoltà era, come dire, prevedibile). Anche in questo caso il greco aiuta, perché il suffisso -cene, che conosciamo anche per i nomi delle ere geologiche, nasce da kainòs, che indica non solo il nuovo, che poi rallegra comunque, ma l’inedito, il non conosciuto. Mi viene in mente la trilogia cosiddetta ‘-qatsi’ di Godfrey Reggio, tre film sull’ambiente Terra che mi ha fatto viaggiare per l’antropocene già dai primi anni Ottanta. Dobbiamo quindi riscoprire altri compagni di viaggio, “i soggetti non umani che ci limitano ma da sempre ci raccontano, in relazione, i viaggi e i processi interdipendenti della vita”.

Anche Guido Veronese ci racconta di aver viaggiato cercando di assumersi rischi e responsabilità degli ambienti visitati, anche se molto diversi da quelli di origine. Per uno psicoterapeuta questo cambia la prospettiva, perché non vale sempre rimediare e risistemare il ‘come prima’, se proprio in quella condizione si condensavano malattia e sofferenza.

Annamaria Poli racconta in breve il suo viaggio finalizzato a portare avanti la ricerca sui diritti dell’infanzia e a parlarne con altri ricercatori in un conferenza ad Harvard (che è l’Harward del titolo, refuso che persiste anche nell’indice, quindi editoriale, ma è davvero l’unico disagio): l’uso del cinema e della fotografia come esperienze didattiche dalla parte dei bambini e dei loro diritti aprono un altro spiraglio sulla complessità dei diritti che abitano l’ambiente, richiedendone il rispetto.

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(foto https://pixabay.com/it/users/theandrasbarta-2004841)


Di un altro viaggio di ricerca ancora più intenso racconta Silvia Guetta, anche per diretto coinvolgimento: un viaggio in Israele per un progetto universitario che vale la pena nominare per intero: “Scambio di conoscenze e di buone pratiche tra studenti universitari e costruzione di un modello di Osservatorio sull’educazione, la formazione e la didattica della Shoah”. Le voci di alcuni partecipanti, raccolte dall’autrice, testimoniano meglio di ogni racconto - vanno quindi lette - come il viaggio nella e per la memoria sia una necessità al quale bisogna allenarsi con continuità e impegno.

Stiamo per salutarci e la padrona di casa, Mariangela Giusti, vuole lasciare un ricordo speciale di questo viaggio collettivo. Un racconto sulla necessità del viaggio e sul coraggio della fuga, per una donna, di fronte alla violenza. Un racconto che dà forma personale ed empatica a una ricerca e a una riflessione. Come dovrebbe essere ogni ricerca, in fin dei conti: mai asettica e impersonale, ma capace di far sentire le emozioni e le difficoltà, le certezze e i dubbi

Il viaggio è finito, non posso che suggerirlo ad altre lettrici e lettori. Ne vale davvero la pena.


*GIGI SPINA (Salerno, 1946, è stato professore di Filologia Classica alla università Federico II di Napoli. Pratica jazz e tennis. Gli piace pensare e scrivere, mescolando passato e presente)   


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