La quarta casa di Neruda

di GIORGIO OLDRINI*

Nel 2000 sono tornato in Cile e sono andato a cercare tutti quelli che avevo conosciuto quando ero stato in quel Paese sotto la dittatura sanguinaria di Pinochet. Ero tornato da Gloria, una psicologa che viveva in una villettina nel quartiere di Nunoa. Ai tempi della dittatura era una trenticinquenne single, dall’aspetto semplice e dagli occhi nerissimi e vivaci, una pelle scura che testimoniava di qualche indio o india mapuche che si era infilato/a nella sua ascendenza, e viveva con i genitori. Aveva una casa piena dei dischi di tango di Carlos Gardel, di animali peluche e una tartaruga vera si aggirava nel piccolo giardino, la Cutufa. Ma a quei tempi Gloria era la responsabile dell’organizzazione del Pc clandestino di Santiago, e sapeva bene che se la avessero scoperta sarebbe stata fatta a pezzi.

Ero arrivato in Cile nel 1977 su richiesta del Pc cileno, che aveva visto scomparire i suoi dirigenti, assassinati dopo orrende torture. Avevo solo il nome di un compagno e fu lui a dirmi: “Devi incontrare una nostra dirigente. Meglio che andiate in un ristorante, sembrerete una coppia”. Poi con quei guizzi di ironia che rompono anche i momenti più tesi e drammatici mi chiese: “Preferisci il pesce o la carne? Sai, per decidere il ristorante”. Fu pesce e alla fine Gloria mi convinse ad andare a visitare la casa di Pablo Neruda di Santiago. La Chascona, in onore a quella che al momento della costruzione era la sua amante e che poi divenne la sua ultima moglie, Matilde Urrutia. Lei aveva una capigliatura folta e arruffata, appunto una “chascona”. La casa era stata devastata dai militari subito dopo il golpe del ’73 e dopo l’assassinio di Neruda. Erano entrati rompendo mobili, libri preziosi e oggetti, spesso ricordi di una vita, e cercando perfino di allagarla. Ma Matilde con pazienza e coraggio la aveva ricostruita e i militari non avevano più avuto l’ardire di entrarci.

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(La Chascona)

La Chascona era stata la residenza degli incontri clandestini tra Pablo e Matilde, quando lui era ancora sposato con Delia Del Carril, la pittrice argentina molto più anziana del poeta, sua seconda moglie. Ma quando nel 1955 la relazione con la Urrutia era diventata pubblica, Neruda si era trasferito alla Chascona e l’aveva fatta ampliare. Sulle prime pendici del Cerro San Cristobal la casa in realtà è costituita da tre edifici, uno, in basso, con gli ambienti per la vita sociale, il secondo, nel mezzo, per quella privata, e più in alto una straordinaria biblioteca, saccheggiata dai golpisti. Neruda amava giocare, organizzare scherzi e nel grande salone del primo edificio, dopo un tavolo immenso che avevano dovuto fabbricare già dentro la sala perché per le sue dimensioni non avrebbe potuto essere fatto passare da una porta, aveva ideato una sorta di doppio fondo, dal quale usciva improvvisamente, sorprendendo i suoi ospiti.

Alla casa di Neruda di Isla Negra ero andato quando ero tornato in Cile qualche tempo più tardi.  E’ quella di cui parla lo scrittore Antonio Skarmeta nel suo “Il postino di Neruda” da cui è stato tratto il film con Troisi “Il postino”. Davanti all’Oceano, come fosse una nave che affronta le mareggiate frequenti, l’odore penetrante delle alghe e gli scogli poco sotto. Piena di polene di navi e degli oggetti marinari e non solo trovati in mezzo mondo. Lì, alla fine, Pablo e Matilde sono stati sepolti, in tombe che sembrano barche pronte a salpare. Del resto, lo aveva previsto Neruda, come si conviene ai poeti che conoscono il futuro: “Dopo, quando non vivrò, cercate qui, cercatemi tra pietra e oceano alla luce burrascosa della schiuma”. Durante la dittatura molti venivano qui e attaccavano bigliettini affettuosi alla staccionata. Per il poeta dell’amore, per il simbolo della opposizione. Poco lontano un ristorante, “El cielo” che io immaginavo fosse quello della fidanzata del postino, ma che meritava un pranzo, per il nome e per i frutti di mare.

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(La casa di Isla Negra)

La terza casa di Neruda è la Sebastiana, a Valparaiso, una città stretta tra le Ande ed il mare, con un porto spettacolare. Così molti degli edifici sono costruiti in verticale e per passare dalla zona bassa a quella alta della città si sale su degli ascensori, sorta di funicolari che scalano faticosamente la salita, spesso tra rumori poco rassicuranti. Neruda diceva che la Sebastiana era “appesa al firmamento, alla stella, alla luce e all’oscurità”, e sul tetto aveva un terrazzo sul quale avrebbero potuto atterrare elicotteri nel viaggio verso le stelle. Un edificio stretto ed alto, dalle cui finestre il poeta ammirava senza sosta il porto e l’oceano.

Le tre case di Neruda. Ma quando nel 2000 andai a reincontrare Gloria, lei, finalmente serena, mi disse: “Ti porto a conoscere la quarta, quella che nessuno conosce”. Era il luogo dove il poeta aveva vissuto con Delia Del Carril, pittrice e scultrice argentina che Neruda aveva conosciuto in Spagna, quando era console del Cile. Lui la chiamava la “Hormiguita”, la Formichina. Perché era gelosa, e ne aveva ben donde, e quando i due passeggiavano e lei si accorgeva che Pablo guardava con troppa attenzione una donna, gli dava piccoli pizzicotti, come fanno le formiche rosse. La casa si chiamava La Michoacana e quando Gloria ed io arrivammo ci accolse il custode. “Vivo una situazione assurda. Delia aveva lasciato la proprietà al Pc cileno, ma col golpe tutte le proprietà dei partiti sono passate allo stato. Ma qui non si è visto nessuno. Adesso che è tornata la democrazia nessuno del Pc si è presentato a reclamare il possesso”. Era una casa, ormai cadente, in un grande giardino con un albero enorme sotto il quale Neruda aveva scritto alcune delle sue poesie.

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(La Sebastiana)

Il giorno dopo avevo un appuntamento con Luis Corvalan, l’ex segretario del Pc. Quando arrivai a casa sua, mi disse: “Vieni con me, devo andare assolutamente a vedere con un compagno. In macchina parliamo”. Lucho guidava come un pazzo, attento più al colloquio che alla strada. Passammo un paio di volte col semaforo rosso, ma quando fece inversione ad U su una superstrada (“stavo sbagliando strada” si giustificò) sbottai “Sei sopravvissuto alle torture di Pinochet, al confino in un’isola australe e all’esilio, ma morirai in un incidente stradale”. Ma riuscii a parlargli della Michoacana e mi promise che se ne sarebbe interessato.

Dopo qualche mese, a Milano ho ricevuto una telefonata di Gloria: “Giorgio, la casa di Delia adesso è di una fondazione ed è diventata un centro culturale”. A volte le storie hanno un lieto fine.


*GIORGIO OLDRINI (Sono nato 9 mesi e 10 giorni dopo che mio padre Abramo era tornato vivo da un lager nazista. Ho lavorato per 23 anni all’Unità e 8 di questi come corrispondente a Cuba e inviato in America latina. Dal 1990 ho lavorato a Panorama. Dal 2002 e per 10 anni sono stato sindaco di Sesto San Giovanni. Ho scritto alcuni libri di racconti e l’Università Statale di Milano mi ha riconosciuto “Cultore della materia” in Letteratura ispanoamericana)

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