LA MOSTRA - Un immenso scandalo, così finì all'Indice il principe di san Severo
di TINA PANE*
In un vicoletto alle spalle di
piazza San Domenico Maggiore a Napoli c’è un posto famoso che tutti i turisti
si mettono in fila per visitare, il Museo Cappella San Severo, che ospita il Cristo velato, una scultura realizzata dall’artista Giuseppe
Sanmartino su commissione del principe di San Severo.
L’opera rappresenta la figura del Cristo morto, a grandezza naturale, coperto da un sudario trasparente realizzato nello stesso blocco di marmo. Con moderna sensibilità l’autore affida al velo - che lascia trapelare le vene, le trafitture dei chiodi, il costato - il compito di trasmettere la sofferenza patita dal corpo deposto e di elevarla a simbolo della sofferenza umana.
(Ritratto di Raimondo di Sangro, di Francesco De Mura Museo Cappella Sansevero foto di Marco Ghidelli)
È veramente un’opera straordinaria che parla a tutti, e anche la sua collocazione al centro della ricca cappella barocca contribuisce a creare nel visitatore uno stano sentimento di magia e religione. Ma sarebbe un errore limitarsi alla statua e non approfondire la figura del suo committente, quel Raimondo di Sangro principe di San Severo che - nato a Torremaggiore (FG) nel 1710 e morto a Napoli nel 1771 - è stato quello che oggi chiameremmo un intellettuale fuori dagli schemi.
Autore, inventore, mecenate delle arti, alchimista e anche Gran Maestro della Massoneria: un personaggio geniale, che alimentò il mito di se stesso, e che volle suscitare la meraviglia, superare i limiti, scombinare gli ordini precostituiti, muoversi sul filo del mistero.
(La lettera Apologetica esposta nella mostra "Un immenso scandalo" Cappella Sansevero)
La mostra “Un immenso scandalo”, appena inaugurata all’interno della stessa Cappella, ci consente di cominciare a indagare il principe di San Severo a partire dall’esposizione di una sua opera, la Lettera Apologetica del 1751, che destò - proprio come lui avrebbe voluto, forse anche di più - tale meraviglia e disapprovazione da essere messa all’Indice dei libri proibiti in quanto “pericolosa, temeraria, offensiva”.
La Lettera si presenta come un’apologia, cioè una difesa e un’esaltazione, di un antico sistema comunicativo degli Incas del Perù, i quipu, ossia dei nodi fatti con cordicelle colorate di cui quel popolo si era servito per registrare conti, date ed eventi storici. Tutto qui, direte? Nel libro in realtà, che l’autore firma con il suo nome da Accademico della Crusca, Esercitato, Raimondo coglie l’occasione per far trapelare il suo punto di vista poco ortodosso su diversi temi, dall’origine del mondo e dell’uomo al miracolo di San Gennaro, dalla natura dell’anima alla necessità della libertas philosophandi, confermando la sua fama di pensatore più che illuminista, irriverente e libertino.
(Il punto ironico, precursore degli emoticon)
Insieme alla Lettera, il cui frontespizio è stampato a sette colori con un metodo innovativo messo a punto dallo stesso autore, sono esposti due rarissimi opuscoli a firma di due gesuiti contro il testo, la Supplica che il principe indirizzò nel 1753 a Papa Benedetto XIV nel tentativo fallito (e qualcuno dice opportunistico) di riabilitarsi agli occhi della Chiesa e anche l’Indice dei libri proibiti dove la Lettera compare nella lista nera.
Ma accanto all’esposizione in teca delle edizioni rare di questi volumi c’è una postazione touch screen dove è possibile sfogliare una selezione di pagine delle opere digitalizzate ad altissima risoluzione e accedere a vari contenuti di approfondimento. Tra questi, una scheda è naturalmente dedicata alla figura del principe e una ai quipu cui Raimondo attribuì dignità di scrittura.
(Il gioco interattivo su touchscreen della mostra)
La parte più interattiva propone al visitatore di scegliere un profilo - ironico, amante del mistero, irriverente, complottista… ce ne sono otto in cui identificarsi - con cui procedere a scoprire le idee dell’autore. Percorrendo questi profili si scopre che il principe di San Severo aveva inventato un nuovo segno di punteggiatura, il punto ironico, precorrendo gli emoticon; che non definiva miracolo quello del sangue di San Gennaro, ma solo una “meravigliosa liquefazione”; che non considerava le civiltà extra europee inferiori ma diverse e che pensava che gli esseri umani, come tutte le altre forme di vita, derivassero dall’acqua, e non dalla creazione del buon dio.
Ce n’è abbastanza per capire il clamore suscitato dalla pubblicazione della Lettera Apologetica che oltre un secolo dopo lo scrittore siciliano Luigi Capuana ancora definiva “un immenso scandalo!”.
(La locandina della mostra)
Era in realtà, come dicono gli studiosi, “un’opera a strati”, aperta a vari livelli di lettura, dove non mancavano idee di ispirazione massonica, che ebbe l’onore di essere messa al bando nello stesso decreto del 2 marzo 1752 con cui la Chiesa condannò anche “Lo spirito delle leggi” di Montesquieu.
Raimondo e il suo relativismo culturale, la sua ironia, il suo scrivere criptico, erano davvero troppo pure in quel periodo in cui l’Illuminismo cominciava a capovolgere i punti di vista. E cosa si poteva poi aspettare uno che per difendersi dall’accusa di avere scritto in “gergo” (ossia in codice) la sua Lettera Apologetica disse di aver fatto come Gesù, “il quale usava di non parlar mai senza parabole?”.
L’eredità culturale di Raimondo di Sangro principe di san Severo non è dunque solo il Cristo velato, ma la sua testimonianza di libero pensatore che rivendicò con tutta la sua opera il diritto per tutti a “esaminare e pensare liberamente”. La mostra lo celebra - anche - nel 250° anniversario della morte.
“UN IMMENSO SCANDALO” - Il caso della Lettera Apologetica del principe di Sansevero
Libri rari e contenuti digitali in mostra al Museo Cappella Sansevero 24 giugno > 26 luglio 2021
* TINA PANE (Napoli, 1962. Una laurea, un tesserino da pubblicista e un esodo incentivato da
un lavoro per caso durato
30 anni. Ora libera: di camminare, fotografare, programmare viaggi anche
brevissimi e vicini, scrivere di
cose belle e di memorie)
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