LA MOSTRA / Caruso, un tenorissimo da Napoli a New York

di TINA PANE*

Non era certo quello che si dice un pezzo d’uomo, Enrico Caruso, a giudicare dalle foto che lo ritraggono in costumi di scena o in momenti della sua vita privata e pubblica che si svolse in giro per il mondo, salendo e scendendo dai palchi e dai piroscafi. 

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Una vita breve, stroncata da una sommatoria di patologie a soli 48 anni in una camera dell’hotel Vesuvio di Napoli, la città dove era nato, nel popolare quartiere dell’Arenaccia da una famiglia modesta, e nella quale aveva giurato - non smentito - di non tornare più a cantare dopo un’esibizione al teatro San Carlo di oltre vent’anni prima, poco apprezzata da critica e pubblico.

Eppure Caruso, il tenorissimo, come era stato definito, fu un gigante del palcoscenico e della vita, uno dei primi artisti del secolo scorso a mischiare abilmente i due ambiti diventando una star di levatura internazionale e concedendo con naturalezza a fotografi e giornalisti la sua figura e quella dei suoi familiari. 


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Ma fu anche un rappresentante dell’emigrazione italiana nelle Americhe, convogliando sulla sua storia di successo e soldi le speranze di riscatto di milioni di connazionali, e il primo cantante a incidere arie di opere famose per la nascente industria discografica, con il doppio risultato di contribuire al lancio del settore e a far uscire la lirica dai teatri. 


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Di questa vita intensissima che, tra lavoro, famiglie e viaggi, rivela una personalità vivace, curiosa e pronta a sperimentare, viene dato conto in una interessante mostra inaugurata lo scorso dicembre al Museo Archeologico di Napoli e che durerà, salvo proroghe, fino al 24 aprile.  



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“Enrico Caruso - Da Napoli a New York” celebra l’artista nel centenario della sua morte avvenuta nell’agosto del 1921 e documenta soprattutto la lunga fase americana. Con oltre 250 immagini fotografiche (provenienti dal Metropolitan Opera Archive di New York, dalla Caruso Collection di Baltimora e dal museo Enrico Caruso di Villa Bellosguardo a Lastra a Signa), materiale audiovisivo d’epoca, cinegiornali e registrazioni audio originali della produzione discografica del più famoso tenore di tutti i tempi, la mostra offre un approfondimento non solo sul personaggio ma su quell’epoca a cavallo tra Otto e Novecento in cui le cose della società cominciarono a prendere un altro ritmo e a servirsi di nuovi  strumenti di divulgazione. 


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La carriera di Caruso cominciò prestissimo, tra oratorio, chiese, case private e stabilimenti balneari; poi vennero i teatri di provincia e quelli di tutta Italia, fino alle prime tournée in Russia e in America del Sud, nel 1899. Ma fu solo con l’arrivo in America, alla fine del 1903, che questa carriera prese il volo con la firma di un contratto in esclusiva con la casa discografica Victor e l’inizio del sodalizio con il teatro Metropolitan, dove fu protagonista di 607 rappresentazioni in 17 stagioni. 


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In America Caruso divenne famoso, uno dei personaggi più fotografati del suo tempo, con la stampa che lo seguiva dappertutto per documentare i successi in teatro, la vita privata, l’attività di testimonial per vari prodotti, gli scandali - tra cui quello dello zoo, dove venne arrestato con l’accusa di aver fatto la mano morta a una signora, e che produsse come unico risultato il tutto esaurito la sera dopo al Metropolitan e la standing ovation del pubblico. 


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La costante delle stagioni al Metropolitan d’inverno, le continue incisioni discografiche anche di canzoni napoletane, l’attività nei maggiori teatri europei in primavera caratterizzarono la vita professionale di Caruso fino al 1920, quando ripetutamente si palesarono i primi sintomi della malattia polmonare. Con affianco la moglie americana Dorothy e la loro bambina, la celebrity tornò in Italia per curarsi e scelse la quieta e amena Sorrento, per poi morire ed essere sepolto, per sua volontà, a Napoli. 


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Il suo mito è quello di personaggio autentico, travolgente e popolare, dotato di una voce unica, classica e inconfondibile e sostenuto da un temperamento forte, da uomo del sud. Fu un artista completo, che schizzava caricature e che si cimentò anche col cinema. Determinò il successo dell’industria discografica, pretese compensi esorbitanti ma cantò per beneficenza a favore degli immigrati italiani e durante la guerra. Amò le donne e la musica, visse intensamente e consegnò ai posteri la sua favola, quella di un italiano d’America. 


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La mostra, che termina con il documentario “Enrico Caruso: The Greatest Singer in the World”, di Giuliana Muscio che è anche curatrice dell’allestimento, ce ne consegna un ritratto approfondito e affascinante che sottolinea la modernità del suo rapporto coi media e il contributo che gli artisti, i compositori e gli impresari italiani hanno dato allo sviluppo dell’industria dello spettacolo negli Stati Uniti. 

Le molte arie di opere e le canzoni napoletane che accompagnano il visitatore nel percorso espositivo non lasciano indifferenti. D’altra parte, come diceva Caruso: “La vita mi procura molte sofferenze. Quelli che non hanno mai provato niente, non possono cantare”. 


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La mostra è realizzata da Fondazione Campania dei Festival e Fondazione Film Commission Regione Campania, con il sostegno della Regione Campania, in collaborazione con il MANN e con l’Istituto Centrale per i Beni Sonori ed Audiovisivi e con la consulenza musicale di Simona Frasca, musicologa e docente dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.

 

 

* TINA PANE (Napoli, 1962. Una laurea, un tesserino da pubblicista e un esodo incentivato da un lavoro per caso durato 30 anni. Ora libera: di camminare, fotografare, programmare viaggi anche brevissimi e vicini, scrivere di cose belle e di memorie)


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