La montagna incantata fra la Cassia e il mare / 2

di GIANNI CERASUOLO* 

L’ Amiata è grande e grossa e cambia pelle di continuo. Eravamo quattro amici al bar della piazza che un Natale molto freddo decisero di andare a vedere il presepe ad Abbadia San Salvatore. E lo facemmo da gente di città un po’ bischera,  scegliendo la strada più impervia, l’attraversamento del monte salendo fino al Prato delle Macinaie, il primo step di una montagna che in cima misura poco più di 1700 metri, una distesa d’erba che d’estate sembra una spiaggia di Rimini: tanti camper, sdraio e odore di carne alla brace.

 Era sera e il buio era favorito anche dai boschi fitti di faggi e castagni aperti appena da un black carpet d’asfalto e pietriccio bagnato, ghiacciato:  l’auto pattinava in certi punti nella discesa verso Abbadia. Però valeva la pena arrivare in quella cripta dalle mille colonne bianche nella pancia di una chiesa, l’abbazia di San Salvatore, austera, impregnata di leggende longobarde, codici benedettini e potenti signorie. Tra i Sessanta e i Settanta, e anche dopo, qui venivano a villeggiare molti romani: c’erano l’aria buona d’estate, un po’ di piste innevate per sciare di inverno. Poi le cose non andarono per il verso giusto, la neve non cadde più, la gente scelse altre mete. E prima, a chiudere furono le miniere, i pozzi di mercurio di Abbadia, quelli che davano il cinabro, il rosso dei colori. Ora le miniere sono diventate un museo. Capita sentirsi dire all’improvviso nelle conversazioni: "Ah, conosci l’Amiata? Io ci andavo da piccolo con i miei genitori", come se questo mondo appartato, millenario, lavico avesse goduto un tempo di notorietà. Molto più di oggi. E lo conoscessero soltanto le persone avanti con gli anni.stefano-bernardo-jweL1Ixxkc0-unsplashjpg

(foto di Stefano Bernardo da unsplash)

In tanti si accorsero, invece, della spiritualità accigliata della Montagna Incantata, della sua identità: Camilleri veniva qui già quarant’anni fa, Montale le dedicò dei versi, Mario Luzi faceva merenda a Rocchette di Fazio, vicino Semproniano.

A Santa Fiora, la Capalbio di queste parti, ghibellina, scicchettosa e di sinistra, per quel che ne resta, si sale e si scende tra le pievi arricchite dalle “robbiane”, le terracotte di Andrea Della Robbia, e la piazza che sta di sopra, salotto estivo di spettacoli e concerti, di tanghi mozzafiato per gli spacchi delle gonne e di dibattiti seriosi, delle sagre e e dei mercati. E ancora: l’olio e il pecorino, le cipolle della Selva e le patate delle Macchie. L’Amiata è uno strapaese, dalle mille contrade ai palii, dalle castagne ai funghi, dai pittori minori del Cinque e del Seicento e dalle loro botteghe agli artigiani in via d’estinzione. E’ un viaggio nella piccola Italia. Quella dove il giornale si compra ancora all’edicola e Lucio, nella piazza di Castel del Piano, è il centro di ogni cosa e ti intrattiene su Renzi , Sarri e gli ultimi film di Virzì e Sorrentino.

Da qualche tempo c’è chi accusa che il suolo e l’aria amiatini siano stati avvelenati dall’estrazione dell’energia geotermica, il calore che viene succhiato da mostri d’acciaio dalla pancia della terra e arriva nelle case, dappertutto. I Comuni prendono soldi e servizi dall’Enel, l’energia costa poco: è rinnovabile e pulita affermano gli uni; no, la geotermia qui è più inquinante che a Larderello, ribattono gli altri. Ma né accusa né difesa portano prove certe a sostegno delle proprie tesi.amiata2jpg

E così ci andavamo a sdraiare a metà della montagna per fare la nostra notte di San Lorenzo: brandine, sedie da regista, plaid, maglioni e berretti di lana poco prima di ferragosto, ma anche frittate di maccheroni, pizza scrocchiarella, Coca Cola e birre. Si aspettava di veder cadere le stelle tra una battuta, storie da raccontare, una cantata (ma non c’erano chitarre, i figli erano partiti da anni inseguendo i Blues Brothers con i loro sax). Lunghe attese senza vedere, a volte, nessuna luce abbattersi o attraversare il cielo. A quel punto, immancabile, si alzava qualcuno dell’allegra brigata che proponeva di spostarci: andiamo su in vetta, alla Croce, lì vedremo meglio. Che si fa, ragazzi? Il freddo, la voglia di dormire avevano la meglio. Si finiva per scendere al paese nelle case più accoglienti  e con un po’ di terreno attorno. Non era finita. Si rimontavano le postazioni, il tempo di far bollire l’acqua e buttare due spaghetti per un aglio e olio notturno, un po’ di tozzetti con il vin santo. Innocue zingarate e trasgressive mangiate e bevute.

Come al pranzo di ferragosto: un rito svaporato via via che il tempo passa tra assenze, dispersioni, malinconie. Il giorno dopo mi arrampicavo con il cane su per i castagneti per smaltire quel ben di Dio; Nina mi fregava sempre, al ritorno, arrivando per prima a casa in mezzo a sentieri tutti suoi  mentre io la cercavo preoccupato tra le balze di terreno.

Come con i tortelli fatti in casa, quando si trascorrevano giornate tra i fornelli e la tavola, il vino e il camino acceso. Guardando il paesaggio: lì ci sono le “poppe” di Livorno, due protuberanze all’orizzonte e una città solo immaginata; lì entri verso la Val d’Orcia, Castiglione, San Quirico. Domani si va tutti a Bagno Vignoni. Lo ripetiamo ancora.bagno-vignoni-3699590_1920jpg

(Bagno Vignoni                      Foto di alefolsom da Pixabay) 

La prima cosa che si fa arrivando in quel borgo d’acque termali, Bagno Vignoni appunto, è immergere i piedi nel ruscelletto caldo che scorre tra la pietra bianca e va a gettarsi in basso verso il Parco dei mulini. Poi, immancabile, un giro nella piazza/vasca del Cinquecento dove in alcuni punti l’acqua bolle. Questa è Val d’Orcia ma la piattaforma per lanciarsi e arrivare lì, dal versante di Grosseto, è l’Amiata. Attraverso un saliscendi fantastico di distese di grano e di viti, di cipressi dalla chioma affusolata che ti scortano agli ingressi dei B&B, fino ad incrociare la via Francigena, la via dei pellegrini medievali e di quelli di oggi, che si mischia con la Cassia: di lì vai a Monticchiello e a Pienza, di là a Bagno Vignoni, San Quirico, Buonconvento, Siena. Ho visto il vascone qualche settimana fa, nella personale rassegna dei dvd da “iorestoacasa”: Verdone girò una delle ultime scene di Al lupo al lupo in quella singolare e calda piscina.

Quanti viaggi. I pellegrini si riposavano, oltre che a Bagno Vignoni, anche alla Abbazia di Sant’Antimo che sta di strada. Succede anche oggi che in tanti visitino quel tempio cristiano che si staglia come una fortezza in mezzo ad un terreno pianeggiante sotto Montalcino. Prima che se ne andassero i frati francesi, i canonici premostratensi dall’abito bianco, si ascoltavano il Vespro e le altre preghiere della giornata con il canto gregoriano. E’ già un miracolo che l’abbazia resti ancora aperta.

Lì dentro per me è come salire al Monte Labbro e issarmi sulla Torre del messia dell’Amiata. E viaggiare con la mente.

(2   -  FINE)

Leggi la prima parte 

*GIANNI CERASUOLO (E’ nato nel 1948 a Pozzuoli - non ditegli: ah, il paese di Sofia Loren!. Ha lavorato all’Unità, a Repubblica e al Quotidiano della Calabria. Emigrante? Si. Strimpella il piano ma è certo di suonare la Polacca in la bemolle maggiore - Héroїque - di Chopin al prossimo scudetto del Napoli)

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