La lunga fuga, e i misteri che restano - la recensione
di MASSIMO RAZZI*
Una figlia esasperata che chiede al padre la verità sul
suo oscuro passato di terrorista. Comincia così la storia (vera) che Giorgio
Galli, oggi bravo e affermato pittore, ha raccolto in “Il caldo era intenso”
(Diario Minimo - Harpo), racconto di un viaggio avventuroso e strampalato da
Venezia a Istanbul e, poi, avanti e indietro tra i paesi del Maghreb,
dall’Algeria, alla Libia, alla Tunisia. Un “viaggio di formazione” come si dice
oggi, che comincia il 5 marzo del 1978 quando le Brigate Rosse si accingevano a
rapire Moro e a sterminare la sua scorta. Giorgio Galli allora aveva 20 anni,
gli piaceva dipingere e (come tanti) voleva fare la rivoluzione. Con un pugno
di compagni dei Castelli Romani aveva fondato un gruppo di fiancheggiatori che
preparava un’azione (non si sa se omicidio o ferimento) contro un noto politico
Dc. Forse volevano, in questo modo, attirare l’attenzione delle Br e, magari,
unirsi a loro. L’azione non si concretizza ma non sanno di avere la polizia alle calcagna.
Qualcuno li avvisa appena in tempo e se la danno a gambe. Ciascuno, per giri
tortuosi, cercherà di arrivare alla Francia della “dottrina Mitterrand” e
salvarsi così dal carcere.
Giorgio Galli viene da una famiglia profondamente di sinistra: il nonno è stato ucciso (par di capire per errore) dagli americani nei giorni della Liberazione, il padre Gino (operaio e poi contadino) e la madre, Comunarda, gli hanno insegnato la giustizia sociale e la necessità di cambiare il mondo. Ma gli hanno anche mostrato i valori della cultura e la necessità di esprimere quello che si ha dentro con i mezzi che la sorte ci mette a disposizione.
(Pertini ai funerali di Guido Rossa)
Giorgio e il suo amico Emiliano passano l’ultima notte italiana a Venezia in casa di una vecchia “pasionaria”, poi la partenza sulla strana nave del capitano Mangiafuoco con la sua ciurma di scappati di casa ciascuno dei quali si porta dietro e dentro storie e misteri. A Istanbul (dove sbarcare è impossibile) comincia una lunga serie di tappe lungo le coste del Nord Africa tra misteriosi “contatti” che si perdono continuamente, alberghi sudici, strani amici che aiutano per il piacere di aiutare e personaggi borderline di cui è meglio non fidarsi.
Mentre Emiliano sembra più maturo, ma anche molto più rigido, Giorgio oscilla tra sogni, incubi, momenti di grande dolcezza in cui tira fuori carta e colori e dipinge cose bellissime e altri in cui estrae inopinatamente la fida pistola e rischia di combinare qualche grosso casino.
Il viaggio, a farlo oggi, sarebbe davvero affascinante e ci porterebbe a scoprire cultura, misteri e piaceri di mondi bellissimi e a noi vicini quanto lontani. Per Giorgio sono settimane di profonde contraddizioni in cui è combattuto tra la voglia di rivoluzione e il senso profondo di un fallimento e di una sconfitta che si concretizza con un sogno in cui il padre Gino gli dice: “Voi siete fuori di testa! È una follia e nessuno vi seguirà, i lavoratori non credono alla vostra rivoluzione, per la maggior parte di loro voi siete solo terroristi… Non ti rendi conto, sei accecato dalle tue idee. Siete rimasti soli e nel vostro futuro vedo solo carcere o esilio”. Nel sogno Giorgio si difende, ma tutto porta a pensare che lo faccia con poca convinzione.
Il viaggio termina nel paesino incantato di Sidi Bu Saib a due passi da Cartagine, con la dolce Celine che ha un occhio azzurro e uno grigio, ospiti di un vecchio giornalista francese definito un po’ sbrigativamente “rivoluzionario da salotto”.
Il viaggio è affascinante, la risposta alle domande della figlia di Galli, onestamente, un po’ meno. Sappiamo che, dopo una puntata forse in Siria, Giorgio e Emiliano torneranno in Italia, saranno processati e si faranno pochi anni di galera. Ma di quel tempo dai sapori forti ci restano molte, troppe domande. A distanza di mezzo secolo, forse, Giorgio potrebbe darci qualche risposta in più: chi erano i “contatti” che aiutavano i fuggitivi (non solo italiani)? C’era una rete tra affari e politica? C’entravano i servizi stranieri? Dobbiamo tornare a pensare all’Hyperion parigino? Galli ha scelto una strada (quella della pittura) meravigliosa anche se non si può dire che con il pennello, le tele e le mostre d’arte si possa fare la rivoluzione. Forse aiutare a ricostruire pezzi di verità sarebbe più rivoluzionario. Anche perché, 50 anni dopo, nessuno (tranne chi ha ucciso) si farebbe male.
*MASSIMO RAZZI (Sono
un giornalista genovese - l’Unità, Corriere Mercantile, Il Lavoro, La
Repubblica, Kataweb - trapiantato a Roma. Dal 1999 mi sono molto divertito a
creare insieme a tanti altri colleghi Repubblica.it. Credo ci abbiano lasciato
fare quello che volevamo anche perché nessuno ci capiva granché. E questo,
nell’unica vita che hai, vi assicuro che non è poco)
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