La luce di Lisbona, ossessione da pittori

di GIOVANNI COTTICELLI*

La luce. Un’ossessione per i pittori, che sanno che una sola tra quelle di tante ore di tanti giorni e di tanti luoghi può tradurre la realtà come la filtra il loro intimo; e per chiunque vi cerchi anche solo la volgare verità oggettiva. L’ho trovata anche altrove ma, per me, sempre solo di fronte all’Oceano. 

Ci siamo arrivati così, sciamando da casa nostra: un B&B di un vicolo come tanti di Lisbona, con le case rivestite di azulejos, anonimo come i nostri di giorno, lastricato di bottiglie e bicchieri a mezzanotte o le due quando ce ne andavamo a dormire, e tirato a specchio, come il resto della città, la mattina dopo alle otto.

LA SCHEDA GOOGLE:             LISBONA

Da lì a Praça Camoes erano pochi metri e un altro mondo, obliqua come è verso il mare, il pavimento di lastroni colorati e lucidi, che i tram colorati risalgono e riscendono, piena di gente ma attenti: ero il più vecchio, ed ero un italiano tra centinaia di ragazzi di tutto il mondo. Subito a sinistra trovai Baixa Chiado, e Pessoa seduto a un tavolino.Lisbona3JPG

Sedemmo anche noi, presi un caffè al bar di fronte a lui e il mio toscanello mi fece compagnia per un po’;  ma sentivo il richiamo. Tornammo indietro e prendemmo verso il giù, come sa chi è nato sul mare. Cinque minuti ed ecco Praça do Comercio: immenso teatro di bellezze architettoniche su tre lati e per palcoscenico il Tejo che si è già fatto Oceano.


LA SCHEDA TRIPADVISOR:            Il ristorante Ti Natèrcia

E lì chi è nato sul mare si ferma, e chi cerca la luce ci rimane un po’ di più; quando fui sazio ritornammo. Era sera ormai ma ancora ci inoltrammo nei tanti vicoli, qualcuno ancora in ricostruzione. Case al livello strada, le porte aperte; da ognuna usciva il fado. In uno di questi vicoli, nel quartiere di Alfama, c’è Ti’ Natercia: ci portò lì nostro figlio che a Lisbona ci ha vissuto un anno - credo ben speso. Un unico ambiente, quattro tavoli, cucina in fondo e Natercia da sola a cucinare e servire. pasteisjpg

Un caratteraccio: intanto le devi star simpatico perché ti accetti come suo ospite, è prontissima a sfotterti e poi magari s’indispone se fotografi i piatti. E guai a non mangiare tutto; ma non successe - e non so come potrebbe essere mai - per il suo “folhado de bacalhau”, baccalà pastellato in pasta sfoglia che innaffiammo con un buon vinho tinto (chi l’ha detto che sul pesce si beve solo bianco?).

La mattina dopo colazione in piazza con le pasteis de nata, dolci di crema cannella e pasta sfoglia, buonissime ovunque. Ma le migliori, tanto da bissare, le trovammo poco dopo a Belém, dove a un chilometro di distanza c’è la Torre, cinquecentesco bastione a guardia dell’estuario del Tejo, in gotico manuelino con torri in stile arabo e statue e balconi in pietra intagliata, costruita con gli scarti dello splendido monastero dos Jeronimos, anch’esso di quello stile e di quell’epoca del massimo splendore del regno.

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Il giorno dopo lo dedicammo a Sintra: a mezz’ora da Lisbona, è zona rupestre intervallata da bellissimi giardini che a Lord Byron parvero il “giardino dell’Eden”. Ma dalla roccia e dai boschi a un tratto vedi spuntare il Palacio da Pena, e torni nella magia della luce e dei colori.

Castello ottocentesco, fu fatto costruire sulle rovine di un convento gerosolimitano da Maria di Braganza come dono di nozze al marito Re Ferdinando II. Ed è una suggestiva quanto strana, unica mescolanza di gotico, manuelino, rinascimentale, barocco...

…Erano solo quattro giorni; ma che volete che siano, per la velocità della luce…


*GIOVANNI COTTICELLI (Nato l'1 settembre del 1958, stabiese. Medico, ecografista, con anamnesi personale di esposizione ultraquarantennale agli ultrasuoni. Passioni: l’Inter e i concerti live. Non è convinto di essere “too old to rock’n’roll”, ed è invece ragionevolmente sicuro di essere “too young to die”)                            

                                   

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