La cassoeula, come la faceva la mamma

 di ANTONIO SILVA*

I grandi piatti della tradizione culinaria regionale stanno tutti dentro una precisa categoria: quella detta “come lo faceva la mia mamma, nessuno”.

Lì sta ovviamente anche la cassoeula, il tipico piatto della cucina milanese.

Quello che vedete qui sotto è il foglio sul quale mia mamma, classe 1921, ha trascritto la “sua” ricetta: il vero disciplinare della cassoeula milanese. Attenzione: milanese, cioè come la si cucina a Milano e non in altre parti della Lombardia che pure conoscono il piatto.

E’ un documento storico, ma anche un saggio di filologia, di arte culinaria e di molto altro ancora.

Vediamolo in dettaglio.


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La data.

Mia mamma scrive il pezzo il primo novembre del 2014: lei ha 93 anni compiuti. Ma lo scrive su un foglio di una vecchia agenda del 2008, che lei ha conservato perché non si butta via mai niente: se trà via mai nagott.

Approfittiamone per notare la scrittura: una vera calli-grafia di una signora che aveva come titolo di studio i corsi di avviamento al lavoro dell’Umanitaria di quei tempi.

Il titolo.

“Ricetta per la casola”. Il Cherubini lo scrive come “cazzoeura”; il dizionario milanese a cura del Circolo Filologico Milanese scrive invece “cazzoeula”. Nel parlato quotidiano contemporaneo si è poi affermata la versione “cassoeula”.

Mia mamma però, la furbetta, sa che sta scrivendo per i posteri colti e quindi pensa di nobilitare la forma in “casola”. Che è un orribile mostro – ne era ben consapevole – giustificato solo dalla paura di fare brutta figura, col dialetto che in realtà era la sua lingua madre.

La ricetta.

Battuto di lardo con uno spicchio d’aglio. “Battuto”, perché prendeva un bel pezzo di lardo e lo batteva sul “pestalard” – un ampio tagliere – servendosi di un coltellaccio dalla lunga, larga lama.

“Con” uno spicchio d’aglio. Fondamentale: l’aglio non sta per conto suo ma viene battuto, tritato, insieme al lardo, mischiato col lardo.

Aggiungere le costine, codino e cotenne. Qui non si scherza: quelle sono le uniche parti del maiale ammesse nella ricetta milanese.

Lo so che altrove ci mettono la “lugànega” (salsiccia lucanica, per chi ha studiato il latino) o i verzini (insaccati freschi di maiale cotti nella birra). A Milano non se ne parla neanche.

Dopo aver fatto rosolare ben bene il tutto, bagnare con vino barbera. E preciso, anzi precisa mia mamma, barbera del Piemonte, perché il, o, la Barbera è solo piemontese. Pare che ci siano coltivazioni di barbera autorizzate, con tanto di IGT, anche in Basilicata. Va bene tutto, ma siamo seri dice la mamma.

Sciogliete del concentrato di pomodoro e traduco: un po’ di salsa, così a occhio, e aggiungetela in pentola.

Mettete carote e sedano spezzettati e, dopo un po’, nel minor tempo possibile finire con le verze.

Passaggio assai difficile. Dovrete aver preparato prima carote e sedano a pezzetti. Poi avete lavato ben bene le verze e le avete sfogliate, eliminando le foglie più esterne e più dure.

A ‘sto punto buttate carote e sedano nella teglia. Parentesi: mia mamma usava quella di alluminio che vedete qui sotto.


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Lasciate giusto il tempo a carote e sedano di prendere un po’ di calore e poi avanti con le verze: nel minor tempo possibile, precisa la mametta. Fate pure una montagna di foglie di verza sopra la marmitta, vedrete che pian piano la montagna si smonta e le foglie di verza si accomoderanno tutte nella pentola.

Piccola digressione. Alcuni sciagurati, per evitare di sbracciarsi con la montagna di foglie di verza fresche che coprono la pentola, le sbollentano prima a parte. Anatema su di loro e su di voi, se lo fate.

Appena le verze si afflosciano nella teglia, piano piano ogni tanto rimestate aspettando che tutto giunga a cottura.

La durata della cottura dipende dal gusto: ci vorrà meno tempo se le verze vi piacciono croccanti, un po’ di più se le preferite ben cotte.

Diciamo che, comunque, ci vorrà ancora circa un’ora prima che possiate portare il tutto in tavola.

Ebbene, questa che vi ho appena descritto è la ricetta della cassoeula “come la faceva la mia mamma”.

Nell’orbe terraqueo circolano infinite varianti, ognuna delle quali sostiene di essere la ricetta “vera”.

Ma l’unica vera ricetta della cassoeula è questa qui. Così vi dirà ogni milanese autentico parlando della cassoeula come la cucinava la sua mamma.

 

 

*ANTONIO SILVA (Ha insegnato storia e filosofia in diversi licei di Milano e provincia per quindici anni. Poi, per altri trenta, è stato Preside di licei classici e scientifici in Milano e provincia. Ha collaborato con diverse testate giornalistiche - La Repubblica, il Sole 24 ore - discutendo i problemi della scuola italiana. Con un nom de plume ha gestito la rubrica "Il Giudizio Universale” sul settimanale di resistenza umana "Cuore". Dal 1976 è lo "storico" presentatore della "Rassegna della canzone d'autore - Premio Tenco", che si svolge ogni anno a Sanremo)

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