L' Aquila ricorda Celestino, la Perdonanza resiste a sisma e Covid

di LUIGI VICINANZA* 

“Ho imparato a mie spese che è difficilissimo essere Papa e rimanere buon cristiano”. Aforisma fulminante. Potrebbe essere attribuito senza scandalo a Bergoglio, il rivoluzionario della chiesa. La seduzione del potere, infatti, è il dilemma irrisolto per i cristiani, impegnati a stare “nel” mondo, senza essere “del” mondo. Ma quel pensiero meglio retrodatarlo di sette secoli. Parole attribuite a Celestino V dallo scrittore Ignazio Silone ne “L’avventura di un povero cristiano”, intensa ricostruzione della vita del pontefice del gran rifiuto. Che spettacolo, però, la sua incoronazione avvenuta nell’agosto 1294 “alla presenza di cardinali, vescovi, principi e d’un immenso popolo in giubilo”, racconta sempre l’abruzzese Silone.Celestino V con lAquila in mano sinistraJPG

Dove? A Roma? No. All’Aquila. Nella basilica di Collemaggio, posta su uno dei siti più alti intorno all’antica città. Gravemente danneggiata dal terremoto del 2009, insidiata dagli incendi nell’agosto di quest’anno, Collemaggio è consustanziale alla figura di Celestino e del suo brevissimo pontificato. Ogni anno, il 28 e il 29 agosto, vi si svolge il rito della Perdonanza, giubileo annuale unico al mondo, grazie al quale i fedeli possono ottenere l’indulgenza plenaria. Una porta verso il Paradiso aperta anni prima che il successore di Celestino, Bonifacio VIII, inaugurasse nel 1300 il primo vero giubileo della storia.

Personaggio semplice e complesso al tempo stesso, Pietro del Morrone quando viene eletto Papa è già considerato un sant’uomo, eremita negli anfratti della Maiella in Abruzzo. Viene scelto da una conclave dominato dalle fazioni avverse degli Orsini e dei Colonna dopo ben 27 mesi di inconcludenti trattative, risse, tumulti. Una chiesa senza più Dio. Ma, per dirla ancora con Silone, fortunatamente Cristo è più grande della chiesa.

Celestino V si spoglierà dei paramenti il 13 dicembre1294, dopo appena cinque mesi, senza aver mai messo piede a Roma e morirà prigioniero del suo successore, Bonifacio VIII, in un’abbazia nel Lazio. A lui risale il canone che introduce nel diritto della Chiesa la facoltà di abdicare liberamente. Principio cui si ispirò Ratzinger nel 2013. Che da sommo pontefice ha riabilitato la figura e la storia dell’umile frate. Infatti pochi giorni dopo il terremoto dell’Aquila, il 28 aprile 2009, Papa Benedetto visitò la città distrutta e volle recarsi in pellegrinaggio nella basilica di Collemaggio, sventrata dal sisma, dove sono custodite le spoglie di Celestino. Doveva restare sul sagrato, ma a sorpresa, sfidando il pericolo incombente e spiazzando il servizio d’ordine, entrò nella chiesa pericolante e donò il suo pallio, la preziosa sciarpa di lana ricevuta il giorno dell’incoronazione. Mai nessun altro pontefice aveva compiuto un atto simile, né probabilmente fu un gesto d’impulso. Ma meditato. Infatti l’anno dopo Benedetto ritornò nei luoghi celestiniani dopo aver pubblicato un’ultima enciclica in cui si afferma: la dottrina sociale cristiana è “aperta alla verità da qualsiasi parte provenga” (“Caritas in veritate”, 9).

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Chi decidesse di recarsi all’Aquila, nonostante le ferite ancora evidenti del sisma di undici anni fa, troverebbe una città accogliente, monumentale, a tratti immersa ancora in un silenzio innaturale. Buone le disponibilità alberghiere, ottima la ristorazione. La leggenda racconta di una città con 99 castelli, 99 chiese, 99 fontane. L’Aquila fu fondata dalla casa di Svevia, l’imperatore Federico II “Stupor mundi” e il figlio Corrado. La fontana delle 99 cannelle testimonia lo splendore di una città seconda per importanza fino al XVIII secolo solo a Napoli nel Mezzogiorno continentale. Quest’anno le celebrazioni legate alla Perdonanza si svolgeranno secondo le restrizioni previste dalle norme anti-contagio. Così lo stesso accesso alla Porta Santa, presa d’assalto dai fedeli in condizioni normali, verrà contingentato. Ma è sempre un’emozione intensa fare un salto in questa città, così vicina a Roma, meno di un’ora d’auto. L’ Aquila rappresenta la cattiva coscienza di una nazione, capace di affrontare subito le emergenze, incapace di costruire il “dopo”. Sia che si tratti di eventi naturali, sia che si tratti di sciagure sanitarie.

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L’odore del terremoto. Lo ricordo. Acre, soffocante, pesante come la polvere dei mattoni sgretolati. Impedisce il respiro, toglie la vita. È tragicamente uguale quell’odore di morte all’Aquila, ad Amatrice, in qualsiasi centro storico colpito da un sisma. O nella Napoli della mia gioventù. Ovunque è lo stesso. Il terremoto ha anche una voce. In nessun manuale di sismologia è stata mai catalogata, ma io l’ho sentita. Parte da lontano, come un tuono. Ma non proviene dal cielo. Si sprigiona dal suo opposto, ti avvolge, ti scuote, ti annichilisce. È il grido di dolore di madre terra che subito si confonde con lo strazio dei sopravvissuti, con le implorazioni di aiuto, con il pianto inconsolabile di chi non ha più nulla.

Ero in Abruzzo, dove dirigevo il quotidiano “il Centro”, la notte del 6 aprile 2009. Non dimentico.


*LUIGI VICINANZA (Castellammare di Stabia 1956, amico sin dagli anni delle scuole elementari del fondatore e amministratore di questo sito: un trauma incancellabile. Terrone con la valigia, ha avuto la fortuna di collezionare più di 40 anni di giornalismo e non intende smettere nonostante si consideri un ex di molte belle esperienze)


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