Italia coast to coast. In bicicletta 1) La Sardegna da un mare all'altro

di ALESSANDRO CALDERONI e ANGELO MELONE*

Tutto nasce da un gruppo di amici innamorati della bicicletta e sensibili al fascino di un’idea – “coast to coast” – che partendo dagli Usa ha conquistato il mondo. Due coste ci sono anche qui da noi. E così un anno dopo l’altro, per quattro o cinque giorni alla fine di maggio, tutti in sella sui percorsi tracciati da uno di loro – Alessandro – che fossero i più belli anche se spesso i più faticosi. Da un mare all’altro, da Sud a Nord. Li raccontiamo seguendo gli appunti di Alessandro, per chi ha la curiosità di leggerli e anche per chi volesse provare a farli, ognuno con il suo ritmo: l’importante del viaggio, si sa, è viaggiare. In quanto tempo è del tutto irrilevante.

 

Primo giorno

Porto Torres, giù dal traghetto e subito in sella tra abbracci (che nostalgia, ora, degli abbracci…) e pacche sulle spalle: sul molo si incontrano il gruppo di ciclisti-amici che arriva da Milano e quello da poco sbarcato da Roma: siamo 14. Sosta rituale al bar e poi via, in direzione Stintino, tra basse colline e campi coltivati sotto un cielo grigio di umidità. Il viaggio da una costa all’altra della Sardegna è cominciato. Puntiamo al primo bagno (“almeno i pedi in acqua”, è un obbligo quasi liturgico) ed alla sosta-pranzo sulla famosa spiaggia della Pelosa di fronte all’Asinara. Le mille sfumature di turchese del mare sono la prima immagine magica di questa terra.

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Poi ruote verso Sud, tra colline ed eucalipti, lungo il golfo di Porto Conte: arriviamo in cima a Capo Caccia un po’ alla spicciolata e certamente accaldati: affascinati dalla vista sulla scogliera, ma a nessuno viene voglia di scendere i gradini per visitare la Grotta di Nettuno sia perché è troppo tardi sia, e soprattutto, perché poi tocca risalire e per oggi sembra che “abbiamo già dato”.


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L’aria comincia a muoversi: le prime folate di ponente ci accompagnano mentre si pedala veloci verso Alghero: c’è chi sogna la doccia, chi l’aperitivo sul porto, chi la cena coi gamberoni, chi le bellezze aragonesi che la città tiene in serbo. E Alghero, quei sogni, li soddisfa tutti.


Secondo giorno

Sempre a Sud, lasciandosi Alghero alle spalle baciata dal sole ormai quasi caldo e accompagnati dal blu intenso del mare lungo la prima salita. Sopra di noi la montagna si copre di umidi cumuli spinti dal maestrale. Pedaliamo immersi nel profumo del mare lasciando alle spalle Torre Argentina e poi dritti fino a Bosa dove, al primo market, riusciamo finalmente a soddisfare quella voragine che è lo stomaco del ciclista quando ha fame da un bel po’. Caffè nella via centrale, deserta come un villaggio del far West nell’ora della siesta. Giro per la città, e rieccoci in salita. Così, tanto per digerire.

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Nessuno ha fretta, cambio fisso sui rapporti più leggeri: la strada è ancora lunga prima di sera. Attraversiamo Suni e arriviamo a Tinnura, inondata di murales pittoreschi e con una bella fontana decorata coi segni zodiacali. Poco dopo siamo soli in un paesaggio bellissimo, lungo le pendici del Monte Ferru verdissime di boschi e pascoli. Il gruppo si ricompatta a Cùglieri nell’unico bar aperto, prima di affrontare la salita finale. Otto chilometri di asfalto perfetto in mezzo a un fitto bosco di querce da sughero e castagni che emergono da un mare di felci. Nessuno scatta, nessuno si attarda. Una vera squadra. Siamo in cima e, almeno per oggi, basta salite. Ricoperti ben bene (quassù fa quasi freddo) scendiamo a S. Leonardo De Siete Fuentes (bella località boschiva dove la devozione del pellegrinaggio volentieri si fonde con le degenerazioni del turismo), sfioriamo appena S. Lussurgiu e proseguiamo nell’altopiano di Abbasanta tra una vegetazione sempre più rada che lascia spazio ad ampi pascoli e campi coltivati delimitati da antichi muretti a secco. E’ una discesa assai piacevole e lunga: in fondo il nostro albergo, isolato in mezzo alla campagna.


Terzo giorno

Oggi ci aspetta il “tappone dolomitico”. Ma, prima, visita d’obbligo al Nuraghe Losa col suo mastio centrale ancora ben conservato e coi suoi blocchi enormi di roccia scura ingialliti dai licheni millenari. Pochi chilometri di superstrada ben battuta dal traffico (ma non si può evitare), il lungo ponte sul Lago Omodeo, e attacchiamo la salita. Lunghe nubi si addossano verso la cima dei monti del Gennargentu e lasciano intuire che in quota ci deve essere un bel vento. Ognuno sale col suo passo sapendo di dover centellinare lo sforzo: oggi i chilometri all’insù saranno tanti. Sorradile è il primo paese che incontriamo, quasi un balcone sull’altopiano. Due poliziotti a guardia di un seggio elettorale ci guardano impietositi ma non disdegnano due chiacchere. Ancora “su”, fino a Teti. Siamo a 700 metri dopo un bel tratto di strada in mezzo a rocce di granito e boschi di querce. Il gruppo si allunga e si accorcia ma alla fine le 14 biciclette tornano sempre insieme. Niente pranzo, solo un panino per spingersi più avanti possibile e lasciare alle spalle almeno i “su e giù” dell’itinerario odierno, che sarebbero dei veri e propri “trinciagambe” se percorsi dopo pranzo. E dunque “giù” nella profonda valle del torrente Tino e di nuovo ci si arrampica per Tiana e poi Ovodda dove finalmente la pendenza si addolcisce ed il panorama si allarga. A quota 800 scolliniamo un’altra volta e di nuovo scendiamo fino a un altro lago, di Gusana, e poi a Fonni dove un ristorante rincuora lo stomaco e riscalda le membra intirizzite dalle folate assassine.

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Rieccoci di nuovo in sella: il maestrale soffia sempre più forte, e meno male che è quasi di spalle. Splendido il paesaggio: pascoli e rocce e poi boschi a perdita d’occhio. Gran bel posto il Gennargentu. Ci siamo quasi: Passo di Caravai e dopo Arcu di Correboi a quota 1246, la nostra cima Coppi. Tira un vento bestiale, che si incanala ululando nella gola tra le montagne. Sotto le nuvole basse si intravede il chiarore del mare. In discesa c’è da stare accorti: le folate improvvise fanno sbandare la bici e occorre stringere il manubrio con forza.

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Non è finita. Il nostro itinerario sale per Talana fino a un ennesimo altopiano, tra querce di sughero con rami e foglie mangiati ad altezza di pecora. E all’improvviso il panorama si dilata verso l’orizzonte e molto più in basso ci appare luminosa la costa orientale della Sardegna ed il Tirreno. La sosta al bar del paese non poteva mancare, anche perché il suo nome si addice perfettamente al nostro stato attuale: “Su Stancu”. Percorriamo una splendida vallata con rocce rossastre, dapprima stretta ed incassata lungo il tracciato del fiume, poi aperta verso la costa con ampie colline coltivate, fino a Lotzorai, dove si sente aria di mare. E’ oramai quasi ora di cena quando arriviamo a S. Maria Navarrese, con la sua bella spiaggia ed i famosi olivastri secolari.


Quarto giorno

Oggi tappa breve. C’è chi si rilassa in spiaggia, chi si sveglia tardi, chi va a Tortolì a cercare un copertone. La carovana si mette in moto che sono quasi le 11, sotto il sole a picco, per entrare nella provinciale della costa Orientale, una delle strade più belle in assoluto e non solo della Sardegna. In breve siamo a Baunei, risaliamo il fianco della montagna per poi scendere dolcemente alla bella chiesetta-santuario di S. Pietro, isolata in mezzo ad una radura. Di qui partono gli itinerari di trekking che portano a cala Sisine, cala di Luna e poi cala Gonone. E’ ora di pranzo ed il bar di Baunei si prodiga in panini e bibite. Tanto oggi la tappa è breve.

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Ripresa la marcia è tutta una meraviglia di montagne e panorami da non dimenticare. Genna Arràmene, ma la salita continua, Genna Coggina e si scollina una prima volta, Genna Scalas (vi si arriva in discesa), Genna Sarbene che ci fa entrare nell’altopiano, Genna Croce, in cima al tratto più duro e, infine, Genna Silana, la più alta di tutte dove inizia la discesa. Al bivio per Cala Gonone resistiamo alla voglia di scendere i 450 metri di dislivello per andare a fare il bagno (ché poi bisogna risalirli…). Molto meglio assaporare una birra con patatine al bar di Dorgali prima dell’ultimo salto al Lago del Cedrino.

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Quinto giorno

Si parte di buon’ora, perché oggi la strada è lunga e soprattutto la nave non ci starà ad aspettare. Percorriamo un territorio sicuramente molto più abitato qualche migliaio di anni fa: lo testimonia, qui vicino, il villaggio nuragico di Serra Orrios, uno dei più importanti di tutta la Sardegna. E poi inizia la salita: una decina di chilometri senza strappi, ma impegnativi quanto basta per ricordarci che anche oggi non si scherza. Prima di arrivare a Lula bussiamo al convento di San Francesco dove dovrebbe esserci una chiesa meritevole di attenzioni. Ma non risponde nessuno: la stagione evidentemente non è ancora cominciata ed è inutile aprire al viandante, ancorché ciclista.

Percorriamo il fianco nord dello splendido Monte Albo che da un lato ci nasconde la vista sul mare, ma ci apre, dall’altro, uno dei panorami più spettacolari tra quelli che abbiamo incontrato nella nostra traversata. Con un’aria che più fresca e tersa di così non si potrebbe chiedere. Saranno le gambe oramai avvezze ai chilometri, o il sedere più che mai collaudato, ma la sensazione di essere quasi arrivati alla méta ci infonde quel tanto di orgoglio che non guasta. La discesa verso il mare è semplicemente inebriante: 8 chilometri di strada perfetta, con curve da manuale che ti trascinano in una danza ritmata che rasenta la magia.

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L’afa di Siniscola ci fa capire che il maestrale ha aperto finalmente la strada all’estate. Procediamo sulla litoranea senza traffico circondati dai profumi della macchia mediterranea non ancora soffocati dal traffico estivo. Siamo a Budoni, Olbia dista solo una trentina di km e questa è un’ottima scusa per non avere remore: si mangia fino a riempire lo stomaco e fino all’ultimo bagno rituale proprio di fronte a Tavolara. Sul molo di Olbia il gruppo si disperde nuovamente: chi diretto al nord e chi verso la capitale. Arrivederci alla prossima Coast-to-Coast.


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*ALESSANDRO CALDERONI (68 anni, milanese di nascita. Le mie passioni? Forse troppe. La bicicletta è la prima: cicloturista da 50 anni. Ho girato le Alpi, con una passione per i Passi: quelli sopra i 2000 li ho scalati tutti. Ho traversato l’Italia da costa a costa in 11 itinerari, con un minimo bagaglio ma con tanti amici. Poi lo scialpinismo e la montagna in genere: anche qui, fatica e soddisfazione, splendidi panorami e silenzi infiniti. La passione per la natura ha altri risvolti: coltivo l’orto, i fiori, mi piace lavorare il legno e da qualche tempo mi diletto anche col disegno botanico e naturalistico)

*ANGELO MELONE (Nato nel '56, giornalista prima a l'Unità poi a Repubblica. Ama fare molte cose. Tra quelle che lo avvicinano a questo sito: la passione per i viaggi, tanta bicicletta e i trekking anche di alta quota)  


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